4 aprile 2007

Aggiornamento rassegna stampa del 4 aprile 2007


Nell'attesa della pubblicazione da parte del Corriere delle anticipazioni del libro del Papa, ecco qualche altro articolo.

Vedi anche:

Rassegna stampa del 4 aprile 2007

Il Papa: giovani, non accontentatevi di cio' che tutti pensano e dicono e fanno!


«Hanno mani e cuore puri i veri amici di Dio»

Fabrizio Mastrofini

Non accontentarsi di ciò che tutti pensano o fanno, non puntare alla carriera ma ai valori della carità e del servizio: è il messaggio del Papa, nella Domenica delle Palme, a tutti i fedeli ed in particolare ai giovani, in occasione della XXII Giornata mondiale della gioventù. Un’ulteriore tappa del cammino che porterà all’appuntamento di Sydney 2008. In un’atmosfera di raccoglimento il Papa ha guidato la suggestiva processione delle palme fino al sagrato della Basilica Vaticana. Nell’omelia Ratzinger si è soffermato in particolare sul significato del Salmo 24, inserito nella liturgia delle Palme. «Il salmo – ha commentato – interpreta la salita interiore di cui la salita esteriore è immagine e ci spiega così ancora una volta che cosa significhi salire con Cristo». «Coloro che salgono e vogliono arrivare fino all’altezza vera – ha aggiunto– devono essere persone che si interrogano su Dio», e non considerano come scopo della vita «l’utilità e il guadagno». Sono persone, ha sottolineato il Pontefice, che hanno «mani innocenti e cuore puro» e rifiutano perciò la logica «della menzogna e dell’ipocrisia», oltre che «la corruzione e le tangenti». Dopo la Messa il Papa ha salutato i fedeli nelle diverse lingue e ha recitato l’Angelus. Infine un fuori programma: ritornato nel suo studio privato, ha voluto affacciarsi ancora una volta, a sorpresa, per benedire la folla presente stimata in oltre 60 mila persone.

Avvenire, 3 aprile 2007


Nei discorsi di ieri

L'amicizia alla scuola di Betania

Davide Rondoni

Hanno dovuto mettere insieme le parole dell'affetto e quelle dello sgomento. Hanno dovuto unire le parole dell'amicizia, della vicinanza, e quelle che esprimono il fascino per qualcosa di segreto. Lo hanno fatto loro, e ci capita di farlo noi tutti parlando di lui. Come di uno che conosciamo bene, che ci sembra familiare, che ci è stato vicino. E che però ha in sé qualcosa di profondo, ancora da scoprire. Dapprima il cardinal Ruini, parlando ieri, si è rivolto subito al cardinale Dziwisz, a lungo vicino a Karol Wojtyla, comprendendo quale tumulto di sentimenti doveva avere in sé. Un gesto da amico. Un gesto come di chi si ritrova per ricordare un comune amico su cui ciascuno potrebbe raccontare tante cose, un aneddoto, un'illuminazione. E Ruini lo ha fatto, ricordando la «virilità cristiana» di Giovanni Paolo II e «la libertà da se stesso» che si radicava in un rapporto intenso e personale con Dio.
Papa Benedetto ha preso le mosse dal Vangelo di Giovanni dove si parla di una cena tra amici, vissuta «in un misto di gioia e dolore». A Betania, Lazzaro, Marta e Maria offrono una cena a Gesù. Il Papa ha commentato a lungo il gesto che durante quella cena fece Maria di Betania: con olio profumato cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli. È uno dei gesti che rimangono incisi nella storia dell'umanità. Una devozione e una familiarità al tempo stesso. Una cura piena di devozione e di stima per un Ospite che è intimo e però anche preso in un destino misterioso e grande. Anche Giovanni Paolo II è stato un ospite intimo e misterioso di questi nostri tempi. Analogamente al Signore che ha amato con forza e immedesimazione. E ora, ha ricordato il suo amico e successore Benedetto, il "profumo" della sua testimonianza si è diffuso come quello provocato dal gesto di Maria di Betania. Diffuso in tutto il mondo. «Annuncio vivente della sua passione», lo ha chiamato Benedetto.
Noi tutti abbiamo visto come Papa Wojtyla stringeva la croce. Come la stringeva da uomo che sa cosa è la sofferenza. Che sa che non altrove che lì, in quella croce vissuta da Cristo, sta la forza per vivere ogni altra occasione di croce. E non possiamo cancellare dagli occhi la sua testimonianza. Così che ora la sua stessa figura nella memoria ci dà forza per ogni prova. Nel racconto che Benedetto XVI ha fatto della sua agonia c'è lo stupore di vedere compiersi una personalità straordinaria, e proprio in quel sussurro finale: «Lasciatemi andare alla casa del Padre».
Come se in quel momento noi tutti - i più vicini, le monache, il segretario, i collaboratori, ma anche i più lontani, tutti noi che piangevamo in tutte le stanze del mondo - lo si dovesse lasciare andare finalmente a ciò a cui era proteso da sempre, all'abbraccio che cercava prima nella giovinezza bruciante di arte e di servizio, e poi nel sacerdozio, infine nel culmine dell'essere papa, servo dei servi. Un amico, ma un amico eccezionale. Uno di cui ti puoi fidare, uno che ti viene da starci insieme, che ti fa amare la vita. E che se lo osservi pensi: ma lui a cosa protende il suo cuore, a che mistero... Il cristianesimo è stato sempre l'accadere tra noi di una presenza del genere. Duemila, come due anni fa. Benedetto lo sa, per questo parla del suo amico con commozione personale e con speranza per tutti.

Avvenire, 3 aprile 2007


Via libera dei vescovi: preti in piazza contro i Dico

di Andrea Tornielli

Roma - Al «Family Day» del prossimo 12 maggio i vescovi non scenderanno in piazza, ma i preti potrebbero farlo. È quanto ha spiegato il segretario della Cei Giuseppe Betori, nel corso della conferenza stampa per la presentazione del comunicato finale del Consiglio permanente che si è svolto la scorsa settimana. «Siamo spesso rimproverati di essere i soli a parlare - ha detto il vescovo - ma questa volta è il laicato ad esprimersi. Abbiamo già dato indicazione ai presidenti dei consigli episcopali regionali di far comprendere ai loro confratelli che una presenza dei vescovi renderebbe meno evidente l’espressione laicale». Niente repliche del modello spagnolo, dunque, che ha visto i vescovi in prima fila, ma spazio alle associazioni laiche. Questo non significa che la Cei non abbia influito sulla decisione di scendere in piazza, ma è chiaro che ora l’organizzazione e la ribalta deve essere per i laici. Ad una domanda specifica sulla presenza dei parroci, Betori ha risposto che il Family Day «dipende dai laici e visto che la parrocchia non è una struttura di proprietà del clero, se i laici si appoggeranno alle parrocchie per organizzare la manifestazione non si potrà impedire al parroco di partecipare con i fedeli». Dunque nulla osta, anche se la speranza è quella di vedere sfilare soprattutto famiglie, più che tonache.

Il segretario della Cei è tornato a parlare della Nota sui Dico. Nel comunicato si dice che è stato necessario ribadire «il ruolo della Chiesa, madre e maestra, nell’illuminare il cammino degli uomini e delle donne di buona volontà, di fronte al rischio costante del prevalere di un pragmatismo di corto respiro». Betori ha quindi aggiunto che la Nota «è stata votata da tutti i vescovi tranne uno che si è astenuto»: com’è noto al «parlamentino» della Cei il dibattito è stato molto vivace e alcuni prelati, a cominciare dal cardinale Poletto e dal vescovo di Lanciano Ghidelli, hanno chiesto che il richiamo fosse alla coscienza dei politici, senza gli elementi troppo impegnativi e vincolanti che invece sono rimasti, anche se la formulazione finale è comunque diversa rispetto alla bozza. Ma è la prima volta che vengono dati questi dettagli sulle votazioni. Betori ha quindi accennato alla lettera con la quale il cardinale Tarcisio Bertone ha voluto chiarire che i rapporti con la politica in Italia spettano alla Segreteria di Stato, spiegando che questa va letta alla luce della lettera del Papa al cardinale Ruini. «La lettera del cardinale Bertone al presidente della Cei Bagnasco - ha detto - serve a riconfermare quella che è una costante collaborazione tra la Cei e la Santa Sede». Anche sul testo della Nota il Vaticano «ha dato indicazioni al riguardo, di cui noi ci siamo avvalsi». Ma Betori ha tenuto a puntualizzare che «la presenza della voce pubblica del cattolicesimo italiano non è riservata alla Santa Sede ma è anche della Cei come stabilito dalle norme».
Il segretario dei vescovi italiani ha quindi parlato della preoccupazione per l’evoluzione del disegno di legge sul testamento biologico, «che potrebbe aprire una deriva eutanasica di fatto». Sulle polemiche scoppiate dopo le recenti dichiarazioni di Bagnasco, Betori ha ripetuto che il presidente «non voleva mettere sullo stesso piano» Dico, incesto e pedofilia, e ha lamentato che i commenti siano stati fatti per lo più sui titoli delle agenzie di stampa invece che sul testo effettivamente pronunciato aggiungendo di «condividere totalmente» l’argomento del presidente della Cei: «Se manca un riferimento antropologico forte si lascia tutto alle aspettative, ai desideri e alle brame delle persone», stigmatizzando il rischio che «si passi da comportamenti leciti a comportamenti illeciti».

Infine, Betori ha insistito sulla collegialità e sulla corresponsabilità tra i vescovi - elemento decisivo nel comunicato finale - che pure non deve minare l’autorità dei sindoli pastori, ma ha smentito che in questo Consiglio permanente si sia discusso perché c’è stato il cambio di presidente: «L’idea di un Consiglio che non parlava appartiene alla mitologia, io noto molta continuità». È certo però che pur nella continuità, Bagnasco ha voluto insistere particolarmente sulla necessità di scelte discusse e condivise.

Il Giornale, 4 aprile 2007


Retroscena

Il duello Oltretevere

Tensione tra Cei e segreteria di Stato sulla gestione dei rapporti con il governo. La settimana scorsa il cardinale Tarcisio Bertone, attraverso una lettera inviata (in apertura del Consiglio permanente) al nuovo presidente dei vescovi Angelo Bagnasco, aveva esplicitamente attribuito alla Santa Sede il compito di «promuovere trattative con l’Italia». Ora la Conferenza episcopale rivendica la propria autonomia attraverso il segretario generale Giuseppe Betori che contrappone la tradizionale linea autonomista della Cei alla «novità» annunciata da Bertone. «Nessuna discontinuità», ribatte Betori che replica così, con toni garbati ma fermi, all’inedita attribuzione di competenze delineata dal più stretto collaboratore di Benedetto XVI. «La presenza della voce pubblica del cattolicesimo italiano non è riservata alla Santa Sede ma è anche della Cei come stabilito dalle norme - ribatte Betori -. E non c’è nessuna discontinuità tra la linea seguita fino ad ora e quanto affermato dal Segretario di Stato: c’è piuttosto una condivisione della stessa preoccupazione, quella che da tempo ispira le linee di orientamento pastorale della Cei»
Eppure per quanto concerne «i rapporti con le istituzioni politiche», il segretario di Stato aveva annunciato la «rispettosa guida della Santa Sede, nonché mia personale». Una sorta di commissariamento della funzione politica dell’episcopato nel rapportarsi al governo. A sostegno del proprio ruolo di controparte del potere civile il cardinale Bertone si era appellato ad una precisa volontà papale. «Negli ultimi tempi ho potuto apprezzare ancor meglio il compito che i pontefici hanno affidato a questa Segreteria, di intessere e di promuovere le relazioni con gli Stati e di attendere agli affari che, sempre per fini pastorali, debbono essere trattati con i governi civili - aveva scritto Bertone -. Sono consapevole, quindi, che tale ruolo richiede particolare sollecitudine per codesto nobile Paese, intriso di fede cristiana e sul cui territorio, per provvida destinazione, risiede la cattedra di Pietro».
Un segnale mal digerito dall’episcopato italiano, che già nella rivalità tra Ruini e Sodano aveva sperimentato fasi di dualismo sotto traccia tra Cei e Segreteria di Stato nell’occuparsi dei rapporti istituzionali con le autorità italiane. Ieri il numero due della Conferenza, Betori, personalità-ponte tra la presidenza Ruini e quella Bagnasco, ha cercato di riequilibrare la situazione, attraverso dichiarazioni che tra le righe del linguaggio curiale lasciano filtrare una pretesa di autonomia. Betori invita a non disgiungere le due lettere che sono giunte insieme: quella del Papa con ampli elogi per come era stata esercitata la guida di Ruini e quella del cardinale Tarcisio Bertone al nuovo presidente della Cei, Angelo Bagnasco: «Vanno lette alla luce della prima. La seconda non significa una smentita della tenuta globale del cattolicesimo, del suo radicamento affermato anche nel discorso del Papa a Verona, ma è un’affermazione della necessità di un impegno sempre maggiore nella evangelizzazione». Ed è alla stessa preoccupazione di Bertone che si ispirano gli orientamenti pastorali sui quali la Cei sta lavorando da un decennio. Le intenzioni espresse in modo determinato dal Segretario di Stato, però, non sembrano lasciare dubbi sull’esito del braccio di ferro. E’ una «cordiale collaborazione» ma anche una «rispettosa guida» quella che il primo ministro della Santa Sede intende esercitare nei confronti della Cei per quanto riguarda i rapporti tra la Chiesa e lo Stato italiano.

La Stampa, 4 aprile 2007

Quante dietrologie e futurologie...


La Chiesa fa il suo mestiere ma ai laicisti non va giù

di Ruggero Guarini

Poche passioni sembrano oggi più singolari della commovente pertinacia con cui i nostri più fieri laicisti pretendono di contestare alla Chiesa il diritto di fare il suo mestiere. Dalla tenacia con cui non cessano di negarglielo si direbbe infatti che essi non si siano ancora accorti che la Chiesa, da quando ha dovuto rinunciare all’esercizio del potere temporale, il suo insegnamento non può più imporlo a nessuno: può soltanto impartirlo verbalmente esortandoci ad ascoltarlo. E magari ricordando a chi preferisce ignorarlo che è libero di farlo, ma non di pretendere di essere cattolico.

Quale inconfessabile cruccio fomenta questa veemente passione dei nostri laicisti? Tutto lascia supporre che i loro crucci siano più di uno. Uno di essi è l’oscuro, inconfessabile timore che i grandi problemi spirituali del nostro tempo sfuggano completamente alla presa dei loro pregiudizi (sospetto assolutamente ragionevole visto che la cultura laicista, di fronte a ogni grande mistero si rivela sempre di un’incompetenza assoluta). Un altro è il loro bisogno di continuare a immaginare di essere ancora oggi i più tenaci avversari di ogni specie di conformismo, bigottismo e clericalismo. Credenza assolutamente illusoria, in un’epoca in cui dovrebbe sembrare a tutti evidente che lo spirito del conformismo, del bigottismo e del clericalismo sono ormai incarnati, paradossalmente, non solo in Italia ma anche in Europa e in tutto il mondo, proprio dalla cultura laicista. Un terzo cruccio dev’essere infine il non troppo vago sospetto che oggi la Chiesa, paradossalmente, sia una forza molto più laica e liberale di qualsiasi lobby laicista.

Una delle espressioni più toccanti di questo bigottismo sono fra l’altro proprio gli argomenti pseudo-libertari coi quali si pretende di contestare alla Chiesa il suo diritto a opporsi, mediante il legittimo esercizio del proprio magistero, all’equiparazione dei diritti delle coppie omosessuali a quelli delle famiglie normali. I nostri laicisti si sono sempre detti nemici dello Stato ficcanaso. Ma allora per quale ragione appoggiano con tanto entusiasmo la causa del matrimonio dei gay? Non lo capiscono che questa battaglia non torna affatto a vantaggio della libertà e dei diritti degli omosessuali, bensì soltanto della ridicola smania di alcuni di loro di tuffarsi nelle fauci dello Stato?

La verità è che a tutti i grandi interrogativi imposti alle nostre coscienze dalla fatale distretta in cui versa oggi la civiltà occidentale (quale vita vogliamo? quale famiglia? quale società? quale ambiente? quale natalità? quale pace? quale guerra? quale scienza? quale Stato? quali dèi? quale rapporto col sacro?) la cultura laicista non sa più dare nessuna risposta seria.

guarini@virgilio.it

Il Giornale, 4 aprile 2007

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