18 aprile 2008

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nostro servizio

Alberto Bobbio

Washington

Alla terza giornata della sua missione americana Benedetto XVI, nel «National park stadium» della capitale, il più moderno stadio di baseball degli Stati Uniti, davanti allo skyline di Capitol Hill, torna a ricordare l'eredità lasciata dai Padri fondatori e il ruolo della religione nel Paese, ma spiega che all'orizzonte ci sono «nuove sfide», non meno «esigenti di quelle affrontate dai vostri antenati».
Parla davanti a cinquantamila persone, in uno stadio avveniristico, trasformato in una grande chiesa con un palco realizzato da due studenti di architettura dell'università cattolica di qui. Ha in mano il pastorale di Pio IX, il primo Papa a mettere piede nel territorio degli Stati Uniti nel 1849, seppur sulla tolda della fregata «Uss Costitution», alla fonda davanti al porto di Gaeta. Rilegge la storia americana, ripercorre le speranze che hanno portato negli Stati Uniti genti da tutto il mondo, spiega che anche oggi il tempo è «pieno di promesse per la famiglia umana» sempre «più interdipendente».
Ma invita a non fermarsi alla superficie delle cose, perché vi sono anche segnali di un «crollo preoccupante negli stessi fondamenti della società»: «Segni di alienazioni, rabbia e contrapposizione in molti nostri contemporanei, crescente violenza, indebolimento del senso morale, involgarimento nelle relazioni sociali e dimenticanza di Dio». Parla alla società, ma anche alla Chiesa americana e continua quella sorta di lezione di futuro sull'evangelizzazione in questo Paese che ha caratterizzato fin qui il viaggio. Loda la presenza di «parrocchie solide», di «movimenti vivaci», ma rileva con dolore «la presenza di divisioni e polarizzazioni» dentro la Chiesa e la «sconcertante scoperta che molti battezzati, invece di agire come lievito spirituale nel mondo, sono inclini ad abbracciare atteggiamenti contrari alla verità del Vangelo».
Poi per la terza volta in tre giorni torna a occuparsi dello scandalo degli abusi sessuali, rispetto al quale, spiega, occorre «promuovere risanamento e riconciliazione» per «aiutare quanti sono stati feriti». Ha usato anche ieri parole forti, su un argomento particolarmente sensibile: «Io prendo atto del dolore che la Chiesa in America ha provato come conseguenza dell'abuso sessuale di minori. Nessuna mia parola potrebbe descrivere il dolore e il danno recati da tale abuso».
E ha parlato di nuovo di «amorevole attenzione pastorale» per quanti «hanno sofferto». Ha insistito anche sul «danno» dentro la Chiesa, che, dice, «neppure riesco a descrivere in modo adeguato». Ma ha ammesso che sono stati fatti «tanti sforzi per affrontare in modo onesto e giusto questa tragica situazione». Così come di nuovo ha chiesto ai fedeli di voler bene ai sacerdoti e di sostenerli nel lavoro che fanno.
Eppure non è il solo problema che il Papa ravvisa per la Chiesa americana. Ieri nella Messa allo stadio ha toccato un punto sul quale da tempo si discute nella Conferenza episcopale americana e sul quale anche l'arcivescovo di Washington Wuerl si era pronunciato alla vigilia del viaggio del Papa: gli errori e i ritardi nella catechesi. Benedetto XVI ha riconosciuto che «sono stati fatti molti progressi per lo sviluppo di solidi programmi, ma molto di più rimane ancora da fare per formare i cuori e le menti dei giovani».
Non bastano tuttavia nozioni, precisa il Papa, ma occorre coltivare una «cultura intellettuale che sia genuinamente cattolica», dove «ragione e fede» siano in «armonia profonda» per rispondere «alle questioni urgenti che riguardano il futuro della società americana». Ieri mattina il «Washington Post» aveva nel titolo di prima pagina insistito proprio sul contributo che le parole del Papa possono dare ai problemi dell'America, riassumendo così il senso di questi primi giorni della missione americana: «Appello del Pontefice per ampli rimedi».
E ieri il Papa sembrava quasi avesse colto l'analisi dell'autorevole quotidiano, invitando l'America anche riflettere sulle «ingiustizie» inferte agli Indiani e a quanti «dall'Africa furono portati qui forzatamente come schiavi». Perché, ha detto, «non tutti gli abitanti di questo Paese» hanno sperimentato solo «nuova libertà e nuove opportunità».
Al termine dell'omelia Benedetto XVI in spagnolo si è rivolto ai nuovi immigrati, perché non cedano «al pessimismo e all'inerzia»: «La Chiesa attende molto da voi. Non la deludete nel vostro generoso impegno». Questa mattina alle 8, le 14 in Italia, il Papa vola a New York, dove alle 10,45, le 16,45 in Italia, parlerà davanti all'Assemblea generale delle Nazioni Unite.

© Copyright Eco di Bergamo, 18 aprile 2008

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