9 maggio 2008

Intervista al sociologo Sabino Acquaviva: “Ecco perché Benedetto XVI è un Papa globale” (Galeazzi)


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Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo:

Intervista al sociologo Sabino Acquaviva: “Ecco perché Benedetto XVI è un Papa globale”

di Giacomo Galeazzi*

CITTA’ DEL VATICANO - "La vita di oltre un miliardo di cattolici e, in parte, di un altro miliardo di cristiani, viene diversamente orientata dall’impostazione strategica del pontificato di Benedetto XVI", spiega il sociologo Sabino Acquaviva, che per ‘Petrus’ analizza il Magistero petrino di Joseph Ratzinger.

Professor Acquaviva, Lei studia da decenni le radici cattoliche della società contemporanea. Qual è la "politica" di Benedetto XVI?

"Non dimentichiamo anzitutto che la strategia pontificia è orientata ad alcuni fattori di base. Primo: i cattolici sono dilatati come non mai in forse 180 Paesi. Il che implica: da un lato la necessità di parlare più di un tempo a culture, anche religiose, differenti; dall’altro, di conservare al cattolicesimo identità e radici storiche. Secondo: il cattolicesimo, e questo è un evento nuovo ed unico nella sua storia (ma più in generale possiamo parlare del cristianesimo), esce dall’Europa, a causa della crisi della religione che vive il nostro continente, e diventa un fenomeno diffuso soprattutto in altri continenti. E il declino demografico della nostra Europa non può che aggravare la situazione".

E il rapporto con il mondo musulmano?

"L’Islam diventa la religione con cui bisogna confrontarsi. Propaganda un monoteismo rigido e semplice che è facile esportare nei Paesi in via di sviluppo. Esso avanza in una grande ellisse di forse quarantamila chilometri che va dalle Filippine al Senegal, con le guerre sante, l’esplosione demografica, la propaganda. La sua presenza nel mondo cresce di continuo. Inoltre, il cattolicesimo ha anche un altro avversario, l’ateismo, che insieme all’agnosticismo si dilata anzitutto in Europa e in Cina. Le risposte di questo Papa sono a tono con eventi mondiali di così grande respiro".

Un Pontificato globale?

"Sì, abbiamo visto un dialogo forte con la modernità, incarnato nel viaggio in America, Paese moderno e religioso insieme, molto diverso dal nostro continente. Si è assistito ad un utilizzo mediatico dei grandi numeri di questa società, che si è concretato anche con i dieci milioni di persone incontrate e con il dialogo con altri universi culturali come quello della Cina, con cui è ripreso il dialogo, ma anche con gli ebrei e i musulmani. Ricordiamo le visite alla moschea blu di Istanbul e alla sinagoga. Guardando ad un orizzonte mondiale così complesso e grandioso, ritengo che la risposta sia stata e possa essere in più direzioni".

Quali?

"Prima direzione: consiste nell’uso dei grandi strumenti di comunicazione che offre la tecnologia moderna di cui non disponevano altri Papi e di cui disponeva in tono minore lo stesso Giovanni Paolo II. Un uso molto positivo come ha dimostrato il viaggio pastorale in America. Seconda direzione: in una società in cui la religione e la cultura guardano alla creazione ed al creato, e il tutto è mediato dalla scienza, penso sia (e soprattutto sarà) valorizzata l’immagine appunto di Dio Padre e Creatore, il che facilita o faciliterà anche il dialogo con l’Islam, con l’agnosticismo e più in generale con la cultura contemporanea. Terza direzione: una Chiesa che si trova di fronte alle minacce di cui abbiamo detto, deve necessariamente rafforzare la sua identità; di qui la riscoperta, a mio modo di vedere molto sottovalutata, e molto positiva, dell’uso del latino".

E' una riscoperta che rafforza radici e universalità?

"Sì, e a questo proposito ricordo sempre un pensiero di Thomas Mann che, entrando in Australia in una Chiesa in cui (ai suoi tempi) si officiava in latino, disse pressappoco di pensare al fatto che nello stesso momento in quella stessa lingua si celebrava il culto cattolico in ogni parte del mondo. In tal mondo egli si rese conto della universalità del cattolicesimo. Universalità e continuità nello spazio di una catena di secoli della storia umana. Penso che mentre Giovanni Paolo II era espressione della dimensione più umana del cattolicesimo, Benedetto XVI è il simbolo del desiderio della Chiesa di essere universale e capace di durare oltre il rotolare di secoli e millenni".

*Vaticanista del Quotidiano ‘La Stampa’

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Secondo me l'analisi di Acquaviva è andata proprio al cuore del pontificato di Papa Benedetto. ad esempio, quando dice che in una situazione di "accerchiamento" per la Chiesa è più che mai necessario affermare chiaramente la propria identità. E poi, l'accento posto alla dimensione "universale" della cattolicità: come non pensare alle afferamzioni del Card. Maradiaga in quell'intervista?

euge ha detto...

Cara Carla probabilmente ti riferivi alla visione settoriale di Maradiaga!!!!! Oggi più che mai la chiesa deve rimanere unita al suo Pontefice ed all'interno di essa; purtroppo, bisogna dolorosamente costatare, che forse non è proprio così e che una parte spero la minoranza, per un ansia di modernità, vorrebbe mandare a fando chissà poi perchè, la dottrina della chiesa e la sua unità. Ritornando poi al discorso che la chiesa è il Corpo Mistico di Cristo e tutti noi le sue membra, vorrei capire di quale modernizzazione ed adeguamento avrebbe bisogno. Condivido le osservazioni di Acquaviva che, ritengo come hai detto anche tu, hanno centrato l'operato di Benedetto XVI che poi sfoci nell'ecumenismo ed il dialogo con le altre religioni. Altro che chiusura della Chiesa...... Bah!