8 maggio 2008

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Quando i turbanti di Persia rendono omaggio al pastore di Roma

Due giorni di colloquio, in Vaticano, tra sapienti del cristianesimo e dell'islam sciita. Come nelle dispute medievali. Sul tema più caro a Joseph Ratzinger. fede e ragione. Le strane aperture del presidente iraniano Ahmadinejad

di Sandro Magister

ROMA, 7 maggio 2008

La lettera dei 138, con i suoi sviluppi, non è né l'unica né la principale pista di dialogo tra la Chiesa cattolica e l'islam. Da parte Vaticana si opera su diversi terreni e con diversi interlocutori.

L'ultimo colloquio con esponenti musulmani è avvenuto in Vaticano con otto rappresentanti dell'Islamic Culture and Relations Organization di Teheran, dunque con una rappresentanza dell'islam sciita, che ha il suo baricentro in Iran ma è presente in molti altri paesi, con un seguito che è circa il 12-15 per cento della comunità musulmana mondiale.

Il colloquio è iniziato lunedì 28 aprile e si è concluso mercoledì 30 con un incontro con Benedetto XVI in una sala adiacente all'aula delle udienze generali. La Santa Sede, in un comunicato, ha riferito che "Il papa si è detto particolarmente soddisfatto per la scelta del tema".

In effetti il tema era uno dei più cari a Joseph Ratzinger: "Fede e ragione nel cristianesimo e nell'islam".

Esso è stato sviluppato in tre sottotemi, introdotti ciascuno da un esponente cattolico e da uno musulmano:

1. "Fede e ragione: quale relazione?", con relatore per la parte cattolica Vittorio Possenti, docente di filosofia politica all'Università di Venezia e membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali;

2. "Teologia/Kalam come indagine sulla razionalità della fede", con relatore per la parte cattolica Piero Coda, docente di teologia alla Pontificia Università Lateranense e presidente dell'Associazione Teologica Italiana;

3. "Fede e ragione di fronte al fenomeno della violenza", con relatore per la parte cattolica il gesuita Michel Fédou, teologo e storico della Chiesa, del Centre Sèvres di Parigi.

Oltre ai tre relatori, componevano la delegazione cattolica Ramzi Garmou, arcivescovo caldeo di Teheran; Pier Luigi Celata, arcivescovo segretario del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso; Khaled Akasheh, capo ufficio per l'islam nello stesso consiglio; Ilaria Morali, docente di teologia dogmatica alla Pontificia Università Gregoriana e specialista delle religioni non cristiane.

Presiedevano congiuntamente il colloquio il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, e Mahdi Mostafavi, presidente dell'Islamic Culture and Relations Organization di Teheran.

Mostafavi è un "Seyyed", ossia un discendente diretto del profeta Maometto, ed è stato fino a due anni fa viceministro degli esteri dell'Iran. Prima di rientrare in patria ha dichiarato al quotidiano di Roma "il Riformista":

"Vedo il presidente Ahmadinejad almeno due volte a settimana. I valori spirituali e morali sono fondamentali nelle nostre scelte governative e io sono il suo consigliere spirituale".
Basta questo per capire come la delegazione iraniana fosse di alto profilo e strettamente legata alla leadership di Ahamadinejad, esponente dell'ala più battagliera del regime khomeinista, la più ostile all'Occidente e la più esplicita nel negare allo stato di Israele il diritto ad esistere.

Va tuttavia notato che il regime di Teheran, durante l'esplosione di violenza che seguì alla lezione di Benedetto XVI a Ratisbona, si distinse per la sua moderazione. L'islam sciita iraniano è da parecchi anni più avanti dell'islam sunnita nel coltivare le relazioni con la Chiesa di Roma, sul terreno religioso, culturale e anche politico. Dopo aver incontrato, lo scorso 6 aprile, il nuovo nunzio apostolico in Iran, l'arcivescovo Jean-Paul Gobel, il presidente Ahmadinejad ha definito il Vaticano una forza positiva per la giustizia e la pace nel mondo. Ossia, secondo gli interessi iraniani, un potenziale alleato contro le pressioni degli Stati Uniti e dei paesi europei.
Il colloquio dei giorni scorsi è stato il sesto della serie. Il prossimo si svolgerà a Teheran entro due anni e sarà preceduto da un incontro preparatorio.
Ciò non significa che la Chiesa di Roma si presenti cedevole, a questi colloqui. Il professor Possenti, tra i relatori di quest'ultima tornata, firmò un appello contro il presidente iraniano Ahmadinejad, il 3 novembre 2005, per le sue dichiarazioni anti Israele. Un appello seguito da un sit-in di protesta davanti all'ambasciata dell'Iran a Roma.

Tutt'altro che remissiva è anche un'altra esponente della delegazione cattolica al recente colloquio, Ilaria Morali. La sua tesi è che il dialogo tra la Chiesa cattolica e le religioni non cristiane deve avere come guida i due documenti del 1964 che per primi ne hanno dettato le linee: l'enciclica di Paolo VI "Ecclesiam Suam" e la costituzione conciliare "Lumen Gentium". In nessuno di essi le religioni non cristiane sono indicate come vie di salvezza. Unico salvatore di tutti è Gesù Cristo, come ribadito nel 2000 dalla dichiarazione "Dominus Iesus". Quindi il dialogo è primariamente missionario, ha per fine di prolungare il "colloquium salutis" instaurato da Dio, in Cristo, con l'umanità. Solo in subordine cerca un comune terreno d'intesa etica e culturale, per una più pacifica convivenza.

Lo scorso 17 aprile, a Washington, parlando a circa 200 esponenti di religioni non cristiane, Benedetto XVI ha confermato ciò con parole inequivoche:

"I cristiani propongono Gesù di Nazareth. [...] È Lui che noi portiamo nel forum del dialogo interreligioso. È l'ardente desiderio di seguire le sue orme che spinge i cristiani ad aprire le loro menti e i loro cuori al dialogo".

Nella relazione da lui letta ai suoi interlocutori musulmani, in effetti, il professor Possenti ha interpretato in questo senso cristocentrico l'incontro per la pace di Assisi del 27 ottobre 1986:

"L'incontro era centrato sull'incompatibilità del Vangelo con la violenza. Colui che morì sulla croce è una vittima, non un carnefice. La passione di Gesù costituisce lo smascheramento della violenza attorno a cui gravitavano le religioni pagane: essa provoca una rivoluzione che non può oggi essere fermata. Propone l'icona del Servo sofferente per amore, il simbolo dell'amore non violento, donato".

Quanto al rapporto tra la religione e la violenza, ha detto ancora Possenti:

"La violenza deve essere laicizzata e attribuita all'uomo, non a Dio".

Al termine del colloquio del 28-30 aprile, le due delegazioni si sono accordate su sette punti, così riassunti in un comunicato:

"Primo: fede e ragione sono entrambi doni di Dio all'umanità.

"Secondo: fede e ragione non si contraddicono; anche se in alcuni casi la fede può essere al di sopra della ragione, ma mai contraria ad essa.

"Terzo: fede e ragione sono intrinsecamente non violente. Né la ragione né la fede si dovrebbero utilizzare per la violenza; purtroppo, a volte, entrambe sono state mal utilizzate per perpetrare la violenza. In ogni caso questi eventi non possono mettere in dubbio né la ragione né la fede.

"Quarto: entrambe le parti hanno deliberato di cooperare ulteriormente per incoraggiare una religiosità autentica, in particolare la spiritualità per promuovere il rispetto dei simboli sacri e valori morali.

"Quinto: cristiani e musulmani dovrebbero andare oltre la tolleranza, accettando le differenze, rimanendo consapevoli delle cose che hanno in comune e rendendo grazie a Dio per esse. Sono chiamati al rispetto reciproco, quindi a condannare la derisione dei credi religiosi.

"Sesto: si dovrebbero evitare generalizzazioni quando si parla di religioni. Le differenze tra le confessioni in seno al cristianesimo e all'islam e la diversità dei contesti storici sono fattori importanti da prendere in considerazione.

"Settimo: le tradizioni religiose non si possono giudicare sulla base di un singolo verso o passaggio presente nei rispettivi libri sacri. Sono necessari una visione olistica e un adeguato metodo ermeneutico per una loro corretta comprensione".

La delegazione musulmana, oltre che da Seyyed Mahdi Mostafavi, era composta da quattro studiosi col titolo di hojjat al-islam: Mohammad Jafar Elmi, dell'Islamic College for Advanced Studies di Londra; Hamid Parsania, docente di filosofia e mistica a Qom e rettore dell'università Baqir al-Ulum; Mahdi Khamoushi; Mohammed Masjedjamei. E inoltre: Rasoul Rasoulipour, decano della facoltà di studi umanistici dell'università di Tarbiat Moallem; Mohsen Daneshmand. membro del corpo diplomatico; Abdolrahim Gavahi.

Benedetto XVI ha ricevuto in dono dagli otto esponenti sciiti un esemplare del Corano. L'agenzia ufficiale iraniana ISNA ha riferito che il papa l'ha definito "un libro prezioso" e ha così commentato il tema del colloquio:
"Fede e ragione sono le due cose di cui il mondo ha bisogno, oggi più che in passato, ed è nostro dovere esaudire questo bisogno della società".

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