5 aprile 2007

Aggiornamento della rassegna del 5 aprile 2007


Vengono proposti alcuni editoriali sulla famigerata vicenda che riempie le pagine dei giornali, ma il meglio deve ancora venire: i due articoli di "repubblica" che analizzeremo nel prossimo post.
Vedi anche:

Rassegna stampa del 5 aprile 2007

"Gesu' di Nazaret", rassegna stampa del 5 aprile 2007



LA NOTA

L'offensiva vaticana e il vuoto politico

MASSIMO FRANCO

Prudente, e attento a non alimentare lo scontro col Vaticano, Romano Prodi replica indirettamente. Sceglie di citare lo «spirito laico e cristiano» di Beniamino Andreatta, suo professore e mentore, appena venuto a mancare, per celebrare «il senso delle proporzioni anche nello scontro politico»; e per ricordare che la laicità è «la forma più alta di antideologia, di antifondamentalismo». Sono parole che arrivano mentre la pressione delle gerarchie ecclesiastiche si intensifica. E la manifestazione del 12 maggio a difesa della famiglia assume i contorni del grande «no» alla legge sulle coppie di fatto voluta dall'Unione; e non solo a quella.
Palazzo Chigi appare sulla difensiva. Sente montare l'offensiva della Cei. Intuisce un'operazione che parte da Benedetto XVI, dal segretario di Stato Tarcisio Bertone e dal presidente dei vescovi, Angelo Bagnasco, giù fino alle associazioni. Proprio ieri la rivista 30 Giorni, diretta da Giulio Andreotti, ha diffuso un'intervista a Bagnasco sui «Dico». Una legge di cui «non si sentiva la necessità»; e che «suona un po' ridicolo presentare come il frutto di una modalità cristiana di legiferare». Sono toni liquidatori, che non concedono nulla; e ai quali il capo del governo cerca di opporre una laicità attinta dal Concilio.
Ma la cautela imbarazzata con la quale il ministro Rosy Bindi parla del Family day riflette difficoltà oggettive. Come promotrice della legge sulle unioni di fatto, la Bindi deve difenderla. In quanto cattolica, non può ignorare le gerarchie. E da esponente dell'Unione, sa che la tentazione del muro contro muro col Vaticano è forte almeno quanto in alcuni settori dell'episcopato quello col governo. Assicura dunque che i promotori riceveranno «attenzione e ascolto come le altre manifestazioni». E difende Palazzo Chigi che «ha fatto il suo dovere offrendo al Parlamento una sintesi».
È un'eco della posizione di Prodi, che dopo l'approvazione in Consiglio dei ministri ha delegato le Camere a definire che cosa saranno i «Dico»: un modo per consegnare ad altri una questione che divide la maggioranza e incendia i rapporti con il Vaticano. Il fatto che Bagnasco annunci «tutto il nostro consenso e sostegno» al Family day è un segnale di allarme. L'opposizione, e sotto voce l'Unione ritengono che una mobilitazione così massiccia possa accelerare lo svuotamento, se non la bocciatura della legge. Sulla carta, infatti, non ci sono i numeri per approvarla al Senato.
Ma la sinistra non si rassegna. E torna a guardare a Prodi. Il ministro ds Barbara Pollastrini, autrice della legge con la Bindi, sostiene che «il ruolo del governo non è esaurito»; che il provvedimento non si può ridurre a qualche modifica del codice civile: il risultato a cui puntano la Cei ed i suoi alleati. Ma sembra la difesa generosa di un'operazione sempre più acrobatica. Le accuse al «familismo anacronistico» dell'episcopato non bastano a coprire la debolezza della politica: un vuoto che la Chiesa riempie senza freni né barriere di autentica laicità.
Sul Family day governo in difesa. E i Ds «chiamano» il Professore sui Dico

Corriere della sera, 5 aprile 2007

E' straordinario notare che certi politici non difendono la laicita' o il laicismo in quanto tali, ma si appellano continuamente al Concilio come se avessero il monopolio dell'interpretazione.
Si e' laici? Bene! Non si tirino in ballo continuamente il Vaticano II o qualche cardinale, magari in pensione...

Raffaella


IL RISCHIO CLERICALE

Marcello Pera

Un prelato entra nel merito del disegno di legge sui Dico e arriva quasi a proporre emendamenti. Un altro sponsorizza un partito e lo raccomanda agli elettori. Un altro ancora benedice un intero schieramento. E poi, sul lato opposto, c’è il politico che ha già parlato tre volte col Papa, quello che si accerta che le telecamere lo riprendano mentre, pio e compìto, assiste alla messa; quello che la gerarchia ecclesiastica; quello che la famiglia; quello che i diritti individuali; quello che siamo un partito cattolico, e così via.
Anche le istituzioni seguono: c’è quella che sorride alla sorridente segreteria di Stato e quella che si fa severa davanti alla severa presidenza della Conferenza episcopale. Mentre i mezzi di comunicazione si adeguano: per un direttore che mette Padre Pio alle pareti ce n’è un altro che colloca San Gennaro sulla scrivania; chi sceglie un aspersorio, chi si fa benedire da un altro.
Che cosa sta accadendo? Per tentazione profana da parte ecclesiastica e per calcolo elettorale da parte politica, là perché le porte si spalancano qua perché i consensi si svuotano, sta accadendo che rischia di rinascere, se non un partito, un movimento neo-clericale italiano.
Quanto attuale sia questo rischio ce lo diranno gli eventi prossimi, a cominciare dal Family Day, che da alcuni è già vissuto come una processione politica al séguito della gerarchia ecclesiastica; quanto pericoloso possa essere ce lo ricorda la storia italiana. Ma ancor prima degli sviluppi, su un paio di punti già si può riflettere.
Se il clericalismo rinascerà, allora i laicisti agnostici o atei avranno sperimentato la legge del contrappasso.

Quelli che non concedono neppure che l’Italia e l’Europa abbiano tradizione cristiana, che vogliono negare alla religione qualunque ruolo pubblico, che intendono relegare la fede nella sola sfera privata, rischiano oggi di sollevare proprio quel mostro che desiderano esorcizzare. Un movimento neo-clericale li condannerebbe alla sconfitta.
Ma anche i laici non laicisti, quelli credenti oppure aperti al credo, rischiano di perdere. Essi avevano e hanno un altro progetto. È quello del risveglio religioso delle coscienze, della ripresa del senso di appartenenza ad una cultura o civiltà, dell’impegno a difesa di una storia, del recupero di una tradizione, del cristianesimo come religione civile. Questi laici pensano che senza una religione, una fede, una credenza, neppure c’è un popolo e un’identità, e perciò né un’Italia né un’Europa né una qualunque società coesa da princìpi morali. Per questi laici, che vedono il relativismo e lo scientismo come minacce, esiste la verità, esiste la natura umana, esistono i valori non negoziabili, esiste la salvezza. Ma esistono nelle coscienze, nei costumi, negli abiti di vita, nei comportamenti individuali e sociali, non in un catechismo che diventasse prontuario o nei documenti del magistero che diventassero formule. Se un movimento neo-clericale rinascesse anche questi laici avrebbero perduto.
Oggi la politica ha davanti a sé una sfida storica: comprendere le ragioni profonde della rinascita del sentimento religioso, farsene interprete e affidarle un compito rigenerativo contro la crisi che in Occidente stiamo attraversando. Da parte sua, la Chiesa ha davanti a sé una sfida non meno epocale: capire che quella rinascita è occasione non di rivincita, ma di salvezza, non di conquista ma di servizio. «Velut si Christus daretur» è la formula con cui vogliamo vivere. Ma se qualche politico e qualche prelato la intendessero in senso profano, alla maniera, per capirsi, di «come se quel vescovo o quel cardinale fosse ministro o sottosegretario», allora un nuovo clericalismo ci farà perdere un’occasione che invece abbiamo drammatico bisogno di vincere.

La Stampa, 5 aprile 2007


«Sana laicità contrapposta al laicismo»

di Redazione

Nonostante la solidarietà pressoché unanime che monsignor Bagnasco ha ricevuto a seguito della scritta offensiva apparsa sulla porta della cattedrale di Genova, resta il fatto che le parole pronunciate lo scorso venerdì dal nostro arcivescovo segnano come uno spartiacque culturale, un punto che delimita il confine tra la «sana laicità» di cui parla il Papa Benedetto XVI e il laicismo dominante nella grande stampa e nella vulgata politicamente corretta. L'insulto al nuovo presidente della Conferenza Episcopale Italiana è, in questo senso, solo la punta dell'iceberg di un sentimento ostile che circonda il monsignore sin dalla sua nomina ad arcivescovo di Genova, dovuto principalmente al fatto che egli è stato ordinario militare negli anni di Nassiriya e della missione italiana in Iraq; un sentimento ora amplificato dalla scelta del pontefice di conferirgli la guida della Chiesa italiana dopo i 16 anni ruiniani e, soprattutto, dalla netta presa di posizione sul riconoscimento giuridico delle coppie di fatto. E - si badi - il punto più alto in cui trova spazio questa ostilità non è solo quello rappresentato dalla sinistra antagonista e dal radicalismo benpensante, ma anche e soprattutto quello del cosiddetto «cattolicesimo democratico», il cattolicesimo di sinistra che vede come fumo negli occhi una gerarchia ecclesiale che prende posizione sulle vicende che riguardano il bene comune e i fondamenti dell'azione politica.

Dopo la pubblicazione della Nota sul riconoscimento giuridico delle convivenze, molti di questi «cattolici democratici» (il termine designava in origine quei credenti che, in opposizione alla gerarchia vaticana, si schierarono a favore del divorzio) hanno cercato di intravedere in essa quasi una rottura tra la linea portata avanti dal cardinal Camillo Ruini e quella di monsignor Bagnasco; hanno parlato di una «svolta pastorale» del nuovo presidente della Cei in antitesi al presunto «politicismo» del suo predecessore. Bastava leggere con attenzione la Nota per capire che le cose non stavano in questi termini e che Bagnasco restava sostanzialmente fedele alla grande eredità lasciatagli dal cardinal Ruini. Ma tant'è… Ci volevano le parole pronunciate dall'arcivescovo per far comprendere agli anti-ruiniani che non c'è «trippa per gatti», che cioè monsignor Angelo non interpreta la sua missione come una sorta di sconfessione delle scelte operate da Ruini e che, al contrario, egli cerca di far germogliare nella Chiesa italiana la semina abbondante del cardinal vicario. Su un punto, soprattutto, Bagnasco si rivela in continuità col predecessore alla guida della Cei e in sintonia con la proposta di Papa Benedetto XVI: nel momento in cui afferma che «quando si perde la concezione corretta auto-trascendente della persona umana non vi è più un criterio per valutare il bene e il male» e che «quando il criterio dominante è l'opinione pubblica o le maggioranze vestite di democrazia, che possono diventare antidemocratiche o violente, allora è difficile dire dei no», l'arcivescovo di Genova fa suo il grande tema del corretto uso della ragione sintetizzato mirabilmente da Papa Ratzinger nella lectio magistralis di Ratisbona.

Il Giornale, 5 aprile 2007

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