15 aprile 2007
"Gesu' di Nazaret", rassegna stampa del 15 aprile 2007 (parte seconda)
Vedi anche:
"GESU' DI NAZARET" DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI
Raccolta della rassegna stampa del 14 aprile 2007 su "Gesu' di Nazaret"
Rassegna stampa del 15 aprile 2007 su "Gesu' di Nazaret" (parte prima)
Il compleanno del Papa, rassegna stampa del 15 aprile 2007
Chi ha paura del vero Gesù
Ratzinger contro i «maestri del sospetto»
VITTORIO MESSORI
Sin dalle prime righe della Premessa al suo Gesù di Nazaret, Joseph Ratzinger (come preferisce essere indicato, scrivendo qui da studioso privato) spiega perché, con una sorta di urgenza, ha dedicato al libro «ogni momento libero» anche dopo «l'elezione alla sede episcopale di Roma». E spiega pure perché, «non sapendo quanto tempo e quanta forza saranno ancora concessi», ha deciso di anticipare i capitoli centrali del testo progettato, quelli sulla vita pubblica del Nazareno, rinviando al futuro la riflessione sui «Vangeli dell'infanzia» e sul «mistero pasquale», cioè i racconti di passione, morte, risurrezione. Ratzinger, dunque, spiega questa fretta usando un'espressione significativa, che sembra in contrasto con i suoi toni sempre pacati ed equilibrati. Se ha deciso di andare alle radici stesse, al Fondatore medesimo, è perché c'è oggi «una situazione drammatica per la fede». Fede che sta dissolvendosi, se non si contrasta l'aggressione — che viene anche da certa intellighenzia cattolica — alla verità storica dei racconti evangelici. Il Cristo, il Messia, il Figlio di Dio annunciato e adorato dalla Chiesa non sarebbe che una costruzione tardiva, che poco o nulla avrebbe a che fare con il «Gesù della storia», oscuro predicatore come tanti altri all'interno della tradizione ebraica. «È penetrata profondamente nella coscienza comune della cristianità» scrive colui che ora è Papa «l'impressione che sappiamo ben poco di certo su Gesù e che solo in seguito la fede nella sua divinità avrebbe plasmato la sua immagine».
Questo libro, dunque, vuole essere uno strumento per «ricominciare da capo», per procedere a quella rievangelizzazione già auspicata pressantemente da Giovanni Paolo II. Pagine, queste, pensate e volute per rivisitare, riaffermare, salvaguardare il fondamento dell'intero edificio cristiano. Soltanto alla luce di una certezza di fede ritrovata è possibile darsi ad elevazioni spirituali e trarre conseguenze morali. Ma se Gesù non è l'Unto annunciato dai profeti ed è solo uno Yeoshua, un predicatore vagante dagli incerti contorni dell'era tra Augusto e Tiberio, sono abusive e grottesche le elucubrazioni che si ricavano da un insegnamento frutto di chissà quali oscure manipolazioni e interpolazioni.
Pur allergico alle iperboli giornalistiche , questa volta aggettivi come «prezioso», se non «decisivo» (per i credenti, ma forse non solo) mi sembrano applicabili al Gesù del teologo bavarese che compie il suo ottantesimo anno e da due è Vicario di quel Cristo di cui qui parla.
Mentre le attuali classifiche dei bestseller librari nereggiano di titoli che compatiscono l'innocenza o denunciano l'ignoranza di coloro che si ostinano a dirsi credenti, ecco un Papa-professore che spiazza piccoli e grandi «maestri del sospetto», mostrandosi più aggiornato di loro. In effetti, vanno oggi per librerie dei libelli che vorrebbero dimostrare che «non possiamo più essere cristiani» riesumando la propaganda dei polemisti ottocenteschi, ripetendo le trite grossolanità dei farmacisti e dei notai della provincia massonica. Si presentano cioè, come rivelazioni devastanti per la fede argomenti che entusiasmavano anche un giovane socialista, un autodidatta, tal Benito Mussolini che — sul palco dei comizi, avvolto in una bandiera rossa — dava un minuto d'orologio all'inesistente Dio per fulminarlo. Si diffondono, poi, libri certamente più insidiosi perché più sofisticati, ma dove su Gesù discettano professori formatisi sugli schemi novecenteschi, secondo i quali le incerte, spesso arbitrarie, metodologie dette «storico-critiche» sarebbero «scienza» e, dunque, oggettive, indiscutibili. Dimenticando, però, di avvertire il lettore che quegli schemi sono tanto poco «storici» e tanto poco «critici» che ogni generazione di esegeti confuta quella precedente, dando per sicura un'altra verità, destinata ovviamente ad essere essa pure ribaltata. Anche perché, come ricorda con ironia Ratzinger, «chi legge queste ricostruzioni del "vero" Gesù può subito constatare che esse sono soprattutto fotografie degli autori e dei loro ideali» , ciascuno spacciando per "scienza" il suo temperamento e lo spirito del tempo. Difficile prendere sul tragico biblisti come questi, che per decenni hanno venerato come principe tra loro o, almeno, hanno rispettato un Rudolf Bultmann (al quale Ratzinger dedica qualche battuta ironica) che sentenziò che non esiste, che non può e che non deve esistere alcun rapporto tra ciò che i Vangeli raccontano e ciò che davvero è successo, ma che al contempo rifiutò sempre di andare in Palestina: se i luoghi e l'archeologia confutavano la teoria libresca, tanto peggio per loro, non per la teoria.
A chi è rimasto al XIX o al XX secolo, ecco ora far controcanto non un Papa che si appella al principio di autorità o formato a quella che Hans Küng chiama, con lo sprezzo del clericale «adulto», la «arcaica teologia romana», ma uno studioso tra i più apprezzati al mondo che ha attraversato tutta la modernità per affacciarsi, alla fine, al post-moderno. L'epoca, cioè, in cui, dopo aver triturato in ogni modo i versetti evangelici per piazzarne i detriti nel cestino del mitico, del didascalico, dell'edificante, dell'interpolato, ci si è accorti che, in realtà, in questo modo l'enigma di Gesù non si dissolveva ma diventava più fitto. E che, forse, la lettura semplice dei Vangeli «così come stanno» può essere più chiarificatrice di quella di un accademico tedesco.
Dico tedesco non a caso perché in Germania — dove ogni università anche pubblica ha due facoltà di teologia e di esegesi, una protestante l'altra cattolica — è nato e si è via via ampliato, sino a divenire ipertrofico, quel metodo «storico- critico» accettato poi ovunque dai biblisti, intimiditi da nomi teutonici che si richiamano alla severa, inappellabile
Wissenschaft, la Scienza con la maiuscola. Formgeschichte, Redaktiongeschichte ,
Wirkunggeschichte, Entmithologisierung, Ur-Quelle ed infinite altre teorie e sistemi che il professor Ratzinger conosce benissimo, che sono nati e coltivati nelle università in cui è stato docente, che nella sua giovinezza hanno affascinato anche lui. E che ora non condanna né rinnega, sia chiaro. «Spero» scrive «che il lettore comprenda che questo libro non è stato scritto contro la moderna esegesi ma con riconoscenza per il molto che ci ha dato e continua a darci». Nulla rifiuta di quanto di valido venga dagli accademici suoi colleghi. Non vuole andare contro ma oltre, consapevole che proprio la ricerca — purché concreta, sensata e, dunque, pronta a ogni possibilità, persino a quella di aprirsi al Mistero — può mostrarci che ci sono ben più cose nella Scrittura di quanto non scorga la critica positivista, il razionalismo esegetico. Così , alla fine lo specialista come lui, consapevole di ogni obiezione, rotto a ogni teoria, sistema, metodo può concludere che, se si vuol raggiungere Gesù, «ci si può fidare dei Vangeli», che non è vero che la ricerca storica sia in contrasto insanabile con la fede. Al contrario, alla fine può confermarla. In questo senso, il libro che il nostro docente ha iniziato da cardinale e ha completato da pontefice, sembra nella linea del grido di colui che sempre chiama «il mio venerato e amato Predecessore». Ma sì, il «non abbiate paura!» di Giovanni Paolo II risuona anche in queste pagine che non temono la critica dei sapienti, che la rispettano, che ne colgono quanto vi è di positivo ma che vanno oltre.
Corriere della sera, 15 aprile 2007
IL VOLUME
A doppia firma
Si intitola «Gesù di Nazaret» il libro firmato Joseph Ratzinger-Benedetto XVI che la Rizzoli distribuirà da domani in 350 mila copie (pagine 446, e 19,50)
La scelta della doppia firma si spiega con l'affermazione contenuta nell'introduzione: «Questo libro non è in alcun modo un atto magisteriale ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del "volto del Signore". Perciò ognuno è libero di contraddirmi»
Dopo l'edizione italiana, sarà la volta di quelle in tedesco, polacco e greco.
Corriere della sera, 15 aprile 2007
LA REPLICA DEL SACRO CONVENTO ALLE ACCUSE DELL’EX PRESIDENTE DEL SENATO
I francescani: non siamo eretici
[FIRMA]GIACOMO GALEAZZI
CITTA’ DEL VATICANO
I frati francescani insorgono contro il senatore Marcello Pera, ex presidente di Palazzo Madama e autore con Joseph Ratzinger del libro «Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, Islam». Pera, in un’intervista alla «Stampa», aveva puntato l’indice contro l’«eterodossia» nella roccaforte cristiana del pacifismo e del dialogo interreligioso con la tesi che «Gesù di Nazareth», l’ultima opera di Benedetto XVI, cancella la teologia di Assisi: «Già da cardinale, Joseph Ratzinger pose un freno agli eccessi ecumenici dei meeting interreligiosi di Assisi e alle derive sincretistiche della teologia relativistica come quelle dei galli sgozzati sugli altari delle chiese concesse ai culti pagani». Parole forti che fanno perdere la consueta bonomia ai Francescani, che non si ritrovano nelle insolite vesti di «eretici» da ricondurre all’ortodossia. «Politicamente gli ha già risposto Giulio Andreotti: il testo papale è un pronunciamento esplicito a favore dell’ecumenismo - protesta il portavoce francescano padre Enzo Fortunato, direttore della “Rivista di San Francesco Patrono d’Italia” -. Scriveremo una lettera aperta al caro fratello Marcello che ci ha sorpresi e sconcertati. Gli daremo una risposta buona per i suoi denti e aggiungeremo spunti di riflessione su qualche passaggio che probabilmente gli è sfuggito nel libro di Benedetto XVI. E, infatti, Andreotti dice il suo esatto contrario». Perché, al massimo, «il Papa potrebbe orientare ma non cancellare lo spirito di Assisi».
Il «J’accuse» dell’ex presidente del Senato turba la quiete del Sacro Convento. Secondo Pera, l’affermazione contenuta in «Gesù di Nazaret» che l’unica salvezza è Cristo è «un richiamo fortissimo contro il sincretismo e il relativismo e cancella lo spirito di Assisi, cioè la teologia relativistica che vede Gesù come una delle tante manifestazioni profetiche della divinità». Quanto basta per provocare una reazione ufficiale dei vertici dell’ordine francescano. «Non facciamo dire al Papa ciò che non ha detto», avverte il custode del Sacro Convento di San Francesco, Vincenzo Coli in una piccata risposta pubblica all’ex presidente del Senato. «Lasciamo che il Papa parli, cerchiamo di capirlo e poi di seguirlo - lamenta padre Coli -.Il pensiero e l’azione di Benedetto XVI si rifanno agli insegnamenti di Sant’Agostino e di San Bonaventura, quindi è culturalmente un francescano, molto più del suo predecessore». Non a caso, aggiunge il custode del Sacro Convento, «lo stesso Benedetto XVI ha detto che Francesco rappresenta la chiave di volta per capire la Chiesa». E del resto il Pontefice, che sarà in visita ad Assisi il 17 giugno, si è laureato proprio con una tesi sul pensiero francescano. Quanto agli «eccessi» dei frati nelle giornate della pace di Assisi contestate da Pera, il Sacro Convento replica: «Noi manteniamo una venerata memoria di Giovanni Paolo II che non si è mai fatto manipolare da nessuno». Ed è una «leggenda» quella dei polli uccisi durante la riunione dei capi religiosi di tutto il mondo a Santa Chiara il 27 ottobre 1986. «Ero insieme al cardinale Etchegaray e non è mai successo nulla del genere», testimonia padre Coli.
La Stampa, 15 aprile 2007
A proposito della "leggenda" del sacrificio dei polli, credo sia corretto riportare un articolo di Vittorio Messori del novembre 2005.
Raffaella
Ma ad Assisi "sacrificavano" anche i polli
di Vittorio Messori
«La Chiesa ha la memoria lunga. E’ dal meeting interreligioso del 1986 che Joseph Ratzinger aveva un conto da saldare con i frati di Assisi. Ora le cose sono a posto». Vittorio Messori, lo scrittore cattolico italiano più letto nel mondo (unico ad aver scritto un libro con gli ultimi due Papi) svela cosa c’è dietro il «commissariamento» pontificio del Sacro Convento e racconta di quando il futuro Benedetto XVI si indignò per i sacrifici pagani compiuti sull’altare di Santa Chiara, a ridosso della cripta gotica che conserva i resti terreni della fondatrice dell’ordine delle Clarisse.
Sacrifici pagani ad Assisi?
«Ratzinger non ha perdonato alla comunità francescana gli eccessi della prima giornata di preghiera dei leader religiosi con Karol Wojtyla. Una carnevalata, a detta di molti, che forzò la mano al Papa e furono proprio i frati ad andare molto aldilà degli accordi presi. Permisero addirittura agli animisti africani di uccidere due polli sull’altare di Santa Chiara e ai pellerossa americani di danzare in chiesa. Ratzinger aveva fortissime perplessità dall’inizio, non volle andare ad Assisi e le sue riserve limitarono i danni».
In che modo?
«La notte prima del meeting limò il testo del discorso frenando Giovanni Paolo II. E divenne nitido nella sua mente che l’enclave francescana, sganciata da ogni collegamento con il vescovo di Assisi, era un’anomalia da sanare. Andava limitata e riportata sotto il pieno controllo giuridico della Chiesa. Il conto per quelle basiliche cristiane cedute ai culti pagani è stato saldato 19 anni dopo».
Troppa autonomia?
«I frati hanno abusato del cosiddetto spirito di Assisi. In realtà loro venerano e diffondono illegittimamente un santino romantico e di derivazione protestante, ossia il San Francesco del mito, uno scemo del villaggio che parla con lupi e uccellini, dà pacche sulle spalle a tutti. Una vulgata falsa, che ne svilisce il messaggio. Il Francesco della storia, infatti, è il figlio più autentico della Chiesa delle crociate».
Non era pacifista?
«Assolutamente no. Alla quinta crociata San Francesco partecipò come cappellano delle truppe mica da uomo di pace. Cercò in ogni modo il martirio per riconquistare la Terra Santa e cadde in depressione quando i crociati persero. Dal sultano non ci andò per dialogare ma per convertirlo e lo sfidò a camminare sui carboni ardenti per verificare se fosse più potente Cristo o Maometto. E non era neppure animalista. Nel Cantico delle creature gli animali non sono mai nominati. E poi, ma quale ecologista! Si oppone ai suoi seguaci che volevano diventare comunità vegetariana».
Ora, dunque, il Pontefice vuole ristabilire l’ortodossia?
«Certo. Anche a San Giovanni Rotondo i francescani avevano sfilato il santuario dal controllo della diocesi. Adesso sia lì che ad Assisi le iniziative dei frati andranno concordate con l’episcopato. Ed è un bene anche per il Sacro Convento, così la smetteranno con la demagogia del politicamente e teologicamente corretto. Stop all’artificio di pace, ecologia, ecumenismo e alle velleità pseudo-coraggiose che poi fanno stringere le mani dei dittatori e violare le chiese».
Il Pontefice «normalizza»?
«Lo spirito di Assisi non è come lo hanno inteso i frati del Sacro Convento e Joseph Ratzinger è pienamente consapevole di questo colossale errore dalla giornata mondiale di preghiera del 1986. Tanto che tre anni fa riuscì ad attenuare la deriva sincretista dell’ultimo meeting interreligioso di Assisi. Il tradimento della figura storica di Francesco andava corretto. Ed è sconcertante che finora il vescovo di Assisi sapesse delle iniziative dei frati solo dai giornali».
Fine della capitale mondiale dell’ecumenismo?
«I santuari devono coordinarsi con i vescovi. L’intervento di Ratzinger è inappuntabile. Il Pontefice ha seguito il suo stile, agendo in maniera rispettosa, perché non interferisce con la vita dell’ordine religioso, ma decisa, in modo che serva da avvertimento per tutti. Non sono più ammesse realtà ecclesiali sciolte dalle leggi della Chiesa. E’ scelta che rientra appieno nella strategia pastorale di Benedetto XVI. Toccherà anche ad altri. Nessuno può essere “legibus solutus”».
© La Stampa, 21 novembre 2005
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