31 luglio 2007

Il Papa e l'appello alle nazioni sulle armi nucleari


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ATOMICA, LE PAURE DEL PAPA

Arrigo Levi

L’appello, lanciato domenica da Benedetto XVI al suo rientro a Castel Gandolfo, «per un più attuale ed urgente impegno di incoraggiare la non proliferazione delle armi nucleari» e «per promuovere un progressivo e concordato disarmo nucleare», rende più concreto e mirato il suo intervento di una settimana prima sul tema della pace, a cui aveva offerto l’occasione il ricordo dell’accorato, inascoltato appello del 1° agosto 1917 di papa Benedetto XV contro l’«inutile strage» della Grande guerra.
Questa volta è stato il 50° anniversario dell’Aiea (l’«Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica», di cui lo Stato vaticano è membro fin dalla sua fondazione) a stimolare la riflessione del Papa su un tema che l’impegno iraniano per munirsi di un potenziale nucleare, e le aspre polemiche fra Russia e America sull’installazione in Polonia e Cecoslovacchia di un sistema di missili antimissili, rendono ogni giorno attuale. Appare particolarmente importante aver affiancato alla condanna della proliferazione nucleare l’invito alla riduzione degli arsenali nucleari già esistenti: un impegno teorico assunto fin dalla firma, il 5 marzo 1970, dal Trattato di Non Proliferazione, e riaffermato in successivi trattati, dal Salt I del 3 ottobre ’72, fino al trattato Sort russo-americano, firmato a Mosca da George W. Bush e Vladimir Putin il 24 maggio 2002. Quest’ultimo trattato, tuttora in vigore, impegna le due parti a ridurre entro il 31 dicembre 2012 a 1700-2200 il numero delle testate nucleari strategiche (al momento della firma quelle americane ammontavano a 7295, quelle russe a 6094).
L’elenco dei principali trattati sul tema delle armi nucleari è lungo (sono 21, se non ho contato male); ha inizio col trattato del 10 ottobre 1963 per la messa al bando degli esperimenti nucleari nell’atmosfera, nello spazio e sotto i mari, e comprende anche il trattato Abm fra Usa e Urss del 3 ottobre 1972 per la messa al bando dei missili antimissili, considerato il fondamento della «pace del terrore» (Mad, o Distruzione Reciproca Assicurata), ma denunciato dagli Stati Uniti il 13 dicembre 2001. Rimane in vigore il trattato Inf del 1° giugno 1988, che mise al bando i missili «intermedi», ponendo fine alla sfida lanciata da Breznev con la costruzione dei missili SS 20. È di fatto in vigore anche il trattato Cfe del 1990 (rinnovato a Istanbul nel 1999) per la limitazione delle forze convenzionali in Europa; anche se l’Occidente chiede, per ratificarlo, il ritiro delle truppe russe da Moldavia a Georgia.
Questa complessa struttura di trattati miranti a ridurre il pericolo di un conflitto nucleare, capace di distruggere la nostra civiltà, e forse ogni forma di vita sulla superficie terrestre (so bene di suscitare qualche segno di incredulità quando ripeto questa purtroppo incontestabile verità), dà in realtà diversi segni di invecchiamento.Il divieto di costruire missili «intermedi» pone soprattutto la Russia in condizione di inferiorità nei confronti dei Paesi confinanti (non europei) che fanno oggi vanto del possesso di questi missili. Anche il trattato Abm per la messa al bando dei missili antimissili, denunciato dagli Americani, appare superato dalla fine della Guerra Fredda come strumento di dissuasione, non più indispensabile per garantire l’invulnerabilità del proprio territorio; mentre lascia scoperti e vulnerabili Russia e Occidente, in un nuovo e pericoloso mondo multipolare, di fronte alla minaccia del lancio di missili nucleari da parte di nuove potenze atomiche minori, e al pericolo di imprese di «terrorismo nucleare». Molti Stati (fra essi la Corea del Sud, l’India, il Giappone, e la stessa Russia) si stanno già dotando di difese antimissili. La creazione di basi antimissilistiche americane nell’Europa Orientale risponde alla stessa logica: ma ha ragione Zbigniew Brzezinski quando definisce questa iniziativa goffa e irritante, per la collocazione ingiustificata «nella porta accanto» alla Russia. Come previsto, ha dato pretesto a inaccettabili, minacciose reazioni nazionalistiche da parte russa.
Torniamo al monito e all’invito del Papa. Benedetto XVI ha mille volte ragione di invitare a un «più attuale ed urgente impegno» contro la proliferazione e per un disarmo nucleare «progressivo e concordato». Anche se questi non sono obiettivi raggiungibili in un prossimo futuro, anzi proprio per questo, dovrebbero essere in cima alla lista delle priorità politiche delle maggiori potenze, oggetto di intensi negoziati miranti a dar vita a nuovi trattati vincolanti e controllabili, più rispondenti alle vaste minacce di questo nuovo mondo (cito Carlo Jean) «complesso, imprevedibile e pericoloso»: più di quanto sia forse mai stato.

© Copyright La Stampa, 31 luglio 2007

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