27 luglio 2007

Il Papa in Cadore: cronaca della diociottesima giornata (2)


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Ventidue sindaci in visita da Ratzinger

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Flaminio Da Deppo: nei cadorini oggi vedo più entusiasmo e fiducia Sta a noi continuare

FRANCESCO DAL MAS

LORENZAGO. E’ stato «un soggiorno indimenticabile». Lo ha detto Benedetto XVI incontrando, al castello Mirabello i 22 sindaci della Magnifica Comunità del Cadore, i rappresentanti di tutte le forze dell’ordine, dei forestali, della protezione civile, dell’Anas, dei vigili del fuoco professionali e volontari e di quanti hanno collaborato alle sue vacanze.
Entusiasta la risposta del sindaci, che hanno ringraziato il papa per l’iniezione di fiducia data ai cadorini, all’economia stessa di questa terra, fino al punto di far dire al sindaco di Lorenzago che preferirebbe essere annesso alla Città del Vaticano che al Friuli. D’altra parte, hanno osservato, è un po’ merito suo se nel lago di Centro Cadore è ritornata l’acqua. Dopo l’appuntamento con il Papa, infatti, tutti i sindaci sono scesi in municipio, a Lorenzago, per esternare ai giornalisti la loro soddisfazione.

Grazie del papa.

La bontà di Dio si vede anche dalla bellezza delle montagne - ha detto il Papa, citando un salmo - ma anche dalla bontà delle persone che ci stanno intorno. «Cari amici, in questa bella terra dolomitica, di tutto il mio cuore dico grazie a tutti e ad ognuno, per una presenza discreta, silenziosa e competente che ha reso indimenticabile il soggiorno».
«Ci ha ringraziato tutti e ciascuno», riferisce il presidente della Comunità montana Centro Cadore, Flaminio Da Deppo, «ha confermato di aver trascorso un soggiorno davvero sereno. E noi gli abbiamo ovviamente augurato di ritornare il prossimo anno».

Tremonti, arrivederci «Arrivederci».

Questo il saluto dei sindaci del Cadore, a Benedetto XVI Lo ripete, a nome di tutti i colleghi, Mario Tremonti, sindaco di Lorenzago, parlando di una «mattinata bella e positiva» col papa. «Il suo è stato un ringraziamento vero, sincero, convinto per tutti coloro che si sono adoperati per la sua accoglienza. Un ringraziamento», riferisce Tremonti, «accolto con piacere. D’altra parte, siamo stati onorati di averlo avuto come ospite. E speriamo che abbia beneficiato di vacanze davvero serene e tranquille. Gli siamo grati degli apprezzamenti che abbiamo ricevuto per il nostro Cadore».

Da Deppo, ritorna la fiducia.

«Noi speriamo che il papa ritorni. E i motivi sono tanti», introduce Flaminio Da Deppo, presidente della Comunità montana. «Il Cadore tutto ha attraversato un periodo particolare, di difficoltà causato dalla crisi dell’industria dell’occhiale e da quella del turismo. Da quando, però, è stato annunciato il ritorno di un papa in Cadore, è ritornata nella gente la fiducia che era scomparsa a seguito della... globalizzazione». Per Da Deppo è una fiducia che si percepisce tutti i giorni. «La gente ha ripreso fiducia in se stessa, nel proprio territorio, nelle bellezze che non riuscivamo più a comprendere. Ha contribuito assolutamente la presenza del papa. Abbiamo ricominciato a capire che, rimboccandoci le maniche, potevamo farcela. Vorrei dire che si tratta quasi di un nuovo rinascimento per queste terre».


Ciotti, una scossa.

Una «benefica scossa». Anche questo è stato il soggiorno di Benedetto XVI per il Cadore. Almeno a sentire Maria Antonia Ciotti, sindaco di Pieve di Cadore. «Credo che il santo padre abbia portato non solo fiducia nelle persone, ma al mondo cattolico in particolare ha dato una benefica scossa, che poi ha contagiato la società civile. Si sono moltiplicate tutta una serie di iniziative religiose e culturali, è stata riaperta la chiesetta dei Santi Angeli. E’ arrivato il cardinale Bertone ed ha portato novità anche lui. La nostra gente, quindi, ha ripreso fiducia e con questo spirito speriamo che innervi la stessa economia».
«La nostra speranza», sottolinea il sindaco, «è che ritorni: per star bene lui, e per farci star bene anche noi».

Manfreda, grazie per le tenerezze.

«Non potremo mai dimenticare le delicatezze, le tenerezze di questo papa», riconosce il sindaco di Lozzo, Mario Manfreda. «Siamo stati colpiti, personalmente e come comunità, della straordinaria capacità di relazione che Benedetto XVI ha con la gente, soprattutto con i bambini. L’ha dimostrato anche nelle due visite al santuario di Loreto, a Lozzo di Cadore. Confessiamolo pure: anche noi non sempre abbiamo queste attenzioni. L’attenzione non sempre ai bambini, ma anche al luoghi meno appariscenti, più semplici, al sentiero di bosco, alla piccola chiesa alpina, insomma alle cose semplici. Quando è stato chiesto a Benedetto XVI perché è ritornato la seconda volta a Loreto, lui ha risposto: perché è bello, perché qui trovo serenità, tranquillità, genuinità. Insomma i valori delle cose semplici».

Pontil, posso dissentire?.

Il sindaco di San Pietro di Cadore, Silvano Pontil, alza la mano e chiede di dissentire. «Concordo pienamente su quanto state dicendo a riguardo della ricaduta di Benedetto XVI sul piano religioso ed umano, ritengo invece che non sia saggio fermarsi alla fiducia nella ripresa economica “provocata” dal papa».
Pontil ricorda, infatti, che «non è la prima volta di un papa in Cadore; negli anni in cui Wojtyla ha soggiornato da noi sicuramente ci ha dato lustro, ma dopo che cosa è accaduto? Non abbiamo saputo approffittarne. La nostra economia, infatti, risente ancora della monocoltura dell’occhiale. Siamo certamente ricordati dal papa, ma siamo puntualmente dimenticati da Roma e da Venezia».
Conclusione? «Auspico che il papa decida di rimanere per sempre qui».

Tremonti, non è vero.

«Dimenticati da Venezia? Non è vero», replica il sindaco di Lorenzago Tremonti. «Non possiamo che essere grati alla Regione, alla Provincia e alla Comunità montana per quanto hanno fatto. Vorremmo tutti che le cose belle, come la vacanza del papa, potessero continuare. Non può accadere. Adoperiamoci, pertanto, per dare supporto alle nostre esigenze di sopravvivenza: col federalismo fiscale, ma anche con incentivi e strumenti specifici per le terre alte». Mario Tremonti sottolinea poi le difficoltà date dalla situazione della provincia di Belluno incuneata fra due realtà ad autonomia speciale.

«Dobbiamo trovare equilibri nuovi.

Lorenzago e Sappada col Friuli, Lamon con il Trentino? Ognuno vorrebbe vivere in paradiso. A questo punto Lorenzago potrebbe fare un referendum per annettersi alla Città del Vaticano, magari cambiando costituzione. Ma realisticamente non è la soluzione».

Da Deppo, più entusiasmo.

«Ho parlato di fiducia, non di ripresa dell’economia», precisa il presidente della Comunità montana. «E’ un dato di fatto che oggi nei cadorini c’è più entusiasmo. E, appunto, più fiducia in loro stessi. Sta a noi continuare su questa strada. Senza attenderci tutto da Roma e da Venezia. Ma le fughe in avanti, in Friuli piuttosto che in Trentino, non servono».

Da Deppo, turismo triplicato.

A chi voleva sapere quali ricadute sono state registrate dal turismo con la vacanza del papa, Da Deppo ha risposto senza esitazione: «Le presenze in Centro Cadore sono triplicate. E agosto non avrà problemi». A questo risultato ha contribuito anche il fatto che il lago non si è svuotato, come non accadeva da dieci anni a questa parte. «Il merito? E’ del papa piuttosto che dell’Enel. Nel senso che l’Enel si è trovato costretto ad usare riguardo nei confronti di Benedetto XVI e dei cadorini».

Tremonti, occhiali per il papa.

E l’eventuale contributo della vacanza del papa sulla ripresa dell’economia fondata sull’occhiale? «Per la verità», conferma il sindaco di Lorenzago, «una ditta artigiana ha regalato alcune montature d’occhiali al pontefice, con tanto di stemma. E’ anche questo un segnale di fiducia, di speranza. Si tratta, fra l’altro, di occhiali prodotti in Cadore e non in Cina».

De Martin, il dono della Magnifica.

Quanto ai doni, il sindaco Luca De Martin, di Comelico Superiore, ricorda le foto antiche che ciascun comune della Magnifica ha donato a Benedetto XVI.
«Il dono è stato molto apprezzato». Così pure quello del cofanetto di Cd con i concerti d’organo nelle chiese cadorine. «Ma», prosegue, «il dono forse più bello è stato il bel tempo che gli abbiamo regalato. Ed il calore tipicamente cadorino che riporterà a Roma».

Manfreda, stile leggero.

«Uno stile leggero». Così il sindaco di Lozzo, Manfreda, sottolinea l’approccio di Benedetto XVI con la montagna, con l’escursione, con la capacità di “leggere” il paese, la comunità.
Ciotti: «Ritorni». Al termine dell’incontro, il sindaco di Pieve di Cadore, Ciotti, si è rivolta a Ratzinger chiedendogli: «Santità, arrivederci al prossimo anno». «Speriamo, a Dio piacendo».

© Copyright Corriere delle Alpi, 27 luglio 2007


Non seguite il «così fan tutti»

Matrimonio in crisi? Il caso delle «due sofferenze»

AURONZO. La crescente presenza di persone divorziate che si risposano o convivono «è un problema doloroso e la ricetta semplice, che lo risolva, certamente non c’è». Lo ha detto il papa rispondendo alla domanda di un sacerdote di quelli incontrati ad Auronzo martedì scorso.
«Soffriamo tutti di questo problema», ha rilevato Benedetto XVI, «perchè tutti abbiamo vicino a noi persone in queste situazioni e sappiamo che per loro è un dolore e una sofferenza, perchè vogliono stare in piena comunione con la Chiesa. Questo vincolo del matrimonio precedente riduce la loro partecipazione alla vita della Chiesa. Cosa fare? Direi: un primo punto sarebbe naturalmente la prevenzione. La preparazione al matrimonio diventa sempre più fondamentale e necessaria». Il principio naturale del matrimonio unico tra un uomo e una donna oggi non è più tanto scontato perché si vuole contrarre matrimonio non più secondo la legge naturale ma come fanno tutti gli altri uomini». «E quanto fanno oggi tutti», rileva il papa, «non è più semplicemente il matrimonio naturale, secondo il Creatore, secondo la creazione. Ciò che fanno i “ceteri homines” è sposarsi con l’idea che un giorno il matrimonio possa fallire e si possa così passare ad un altro, ad un terzo e ad un quarto matrimonio. Questo modello “come fanno tutti” diventa così un modello in contrasto con quanto dice la natura. Diventa normale sposarsi, divorziare, risposarsi e nessuno pensa che sia una cosa che va contro la natura umana. Perciò per aiutare ad arrivare al matrimonio, non solo nel senso della Chiesa, ma del Creatore, dobbiamo riparare la capacità di ascoltare la natura». In questa situazione, quindi, «i corsi preparatori devono essere un cammino di riscoperta, per reimparare quanto il nostro essere ci dice, aiutare ad arrivare a una vera decisione per il matrimonio secondo il Creatore e secondo il Redentore. Quindi, questi corsi preparatori per “imparare se stessi”, per imparare la vera volontà matrimoniale, sono di grande importanza. Ma non basta la preparazione, le grandi crisi vengono dopo. Quindi, un permanente accompagnare, almeno nei primi dieci anni, è molto importante». Bisogna aiutare a trovare, ad imparare anche «con sofferenza», la fedeltà. «In caso, tuttavia, di fallimento, che cioè gli sposi non si mostrino capaci di stare alla prima volontà, c’è sempre la questione se fosse realmente una volontà, nel senso del sacramento. E quindi c’è eventualmente il processo per la dichiarazione di nullità. Se era un vero matrimonio e quindi non possono risposarsi, la permanente presenza della Chiesa aiuta queste persone a sopportare un’altra sofferenza. Nel primo caso, abbiamo la sofferenza di superare questa crisi, di imparare una fedeltà sofferta e matura. Nel secondo caso, abbiamo la sofferenza di stare in un vincolo nuovo, che non è quello sacramentale e che non permette quindi la comunione piena nei sacramenti della Chiesa. Qui, sarebbe da insegnare e da imparare a vivere con questa sofferenza». (fdm)

© Copyright Corriere delle Alpi, 27 luglio 2007


La “preferita” di Benedetto

La Madonna di Loreto, meta del papa per due volte

di Walter Musizza e Giovanni De Donà

LOZZO. Quel piccolo tempio isolato nel bosco, poco sopra il Ponte Nuovo, dedicato alla Madonna di Loreto sull’antica via romana che da Valle conduceva a Gogna e a S. Caterina d’Auronzo è stato visitato per ben due volte da Benedetto XVI. Certamente sarà rimasto colpito dalla pace di questo luogo appartato, da quella guglia e quell’acuminato tetto che spuntano in un abbraccio di abeti, in una posizione che lo storico Antonio Ronzon definì “romantica”. Oggi di questa celebre strada rimane ben poco, soprattutto dopo l’ultimo, inarrestabile declino seguito all’apertura, nel 1779, della strada maestra in fondovalle e sulla riva opposta al Piave. Ma la chiesa è subito là, a quota 732, un po’ discosta e solo sfiorata dalle tinnule voci dei bambini che giocano in estate nel parco vicino, immersa nella pace, quasi assorta e dimenticata. Diceva già il Ronzon che la pace godibile colà era infinita e che perfino le litanie del sacerdote e dei fedeli avevano ogni volta un sapore diverso e unico, confuse com’erano al canto degli uccelli, veri padroni di quell’angolo romito. Mai avrebbe immaginato che cento anni dopo addirittura un papa avrebbe come lui colto ed apprezzato queste bellezze. La leggenda vuole che un giorno lontano un venditore girovago di immagini sacre si trovasse a percorrere quella strada alla volta di Auronzo e che, trovandosi di sera in pericolo di vita, facesse voto di appendere ad un albero l’immagine della Madonna. Sappiamo che il voto fu realmente adempiuto, tanto che si conserva tuttora la xilografia della Madonna, e dall’immagine si passò ben presto ad un capitello, e da questo finalmente alla chiesa.
Essa venne costruita nel 1658 e dedicata alla Madonna di Loreto, venerata a Lozzo già da epoca precedente. Più tardi venne aggiunta la sagrestia e nel 1785 l’atrio, bello e suggestivo, con enormi colonne di legno, che il tempo purtroppo sta inesorabilmente deteriorando.
Per ottenere la consacrazione i regolieri di Lozzo, nel 1660, pensarono bene di dotarla di alcuni appezzamenti circostanti, tanto che quel bosco è detto ancor oggi “bosco o vizza di Loreto”. Le opere conservate all’interno non sono di eccelso valore, ma pur sempre pregevoli ed interessanti; tra queste spicca il bel cornicione dorato e finemente intagliato, opera di artisti locali, e due altari, collocati verso il 1765 e impreziositi nel secondo decennio del secolo scorso dall’arte di Tommaso Da Rin, noto pittore di Vigo (1838-1922). Il quadro centrale rappresenta la Madonna con S. Lorenzo e S. Antonio e ha preso il posto della preziosa pala originale di artista ignoto, pur oggi conservata, mentre quello laterale presenta S. Anna con S. Gioacchino. Ormai i turisti che sfiorano il tempio e vi occhieggiano curiosi all’interno sono pochi, e forse gli ultimi bagliori di celebrità da esso goduti sono stati alla vigilia della Grande Guerra e in relazione al successo economico e turistico dei Bagni di Gogna. Prima che le distruzioni di due opposte ritirate dal Cadore e di un crudele anno d’invasione annichilissero senza pietà quello che fu il regno di Angelo Barnabò. Molti villeggianti, per lo più irredenti triestini e goriziani, a frotte salivano fin quassù a ispirare la propria musa patria nell’eco delle gesta di Calvi e della vittoriosa resistenza di Tre Ponti nel 1866. Oggi anche quel turismo non c’è, o è comunque diverso, la strada per Gogna è scomparsa e il piccolo tempio sembra rannicchiarsi ancor più nel bosco. Rimane intatto però il suo fascino, anzi, con quel “di più” che solo il tempo sa dare e che il papa ha colto fin dalla sua prima uscita.

© Copyright Corriere delle Alpi, 27 luglio 2007

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