24 luglio 2007

Messa tridentina, Card. Castrillón Hoyos: ecco la verita' sul motu proprio Summorum pontificum


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LITURGIA. Il motu proprio Summorum pontificum

Nova et vetera

Benedetto XVI ha firmato e pubblicato il documento che liberalizza l’uso del Messale Romano edito da papa Giovanni XXIII nel 1962. Intervista con il cardinale Darío Castrillón Hoyos, presidente della Pontificia commissione «Ecclesia Dei»: «La prima valutazione errata è dire che si tratti di un ritorno al passato. Non è così»

Intervista con il cardinale Darío Castrillón Hoyos di Gianni Cardinale

Il 7 luglio è stato finalmente pubblicato il motu proprio Summorum pontificum di Benedetto XVI che in pratica liberalizza l’uso del Messale Romano del 1962. Il motu proprio, che entrerà in vigore il 14 settembre, stabilisce che il Messale Romano promulgato da Paolo VI nel 1970 è l’espressione ordinaria della lex orandi della Chiesa cattolica di rito latino. Il Messale promulgato da san Pio V e nuovamente edito dal beato Giovanni XXIII deve essere, perciò, considerato come forma straordinaria. Non si crea, dunque, in alcun modo una divisione nella «legge della fede», giacché si tratta di «due usi dell’unico rito romano». È lecito, quindi, celebrare la messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano del 1962. A tal fine, il motu proprio di Benedetto XVI indica nuove regole, che sostituiscono quelle stabilite dai documenti anteriori, Quattuor abhinc annos del 1984 ed Ecclesia Dei del 1988, in cui veniva concesso l’indulto con cui si poteva celebrare la messa cosiddetta tridentina, ma solo previo consenso del vescovo locale. Dal 14 settembre in poi invece nessun parroco o rettore potrà impedire che nella propria chiesa venga celebrata la messa di san Pio V, a patto che i fedeli che lo chiedano abbiano anche un sacerdote disposto a farlo, purché idoneo e non giuridicamente impedito. Non solo. Il motu proprio dispone inoltre che il parroco possa concedere la licenza di usare il rituale più antico nell’amministrazione dei sacramenti: del battesimo, confessione, matrimonio e unzione degli infermi. Agli ordinari (vescovi e superiori religiosi) viene anche concessa la facoltà di celebrare il sacramento della cresima.
Il documento è accompagnato da una Lettera, indirizzata ai vescovi di tutto il mondo, in cui tra l’altro Benedetto XVI ribadisce che «non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Missale Romanum». E rammenta che nella «storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura», sottolineando che ciò che per le generazioni anteriori era santo «non può improvvisamente essere del tutto proibito o addirittura dannoso».
30Giorni ha chiesto al cardinale Darío Castrillón Hoyos, colombiano, dal 2000 presidente della Pontificia Commissione «Ecclesia Dei» (nonché – dal 1996 al 2006 – prefetto della Congregazione per il clero), di illustrare i contenuti più importanti del motu proprio Summorum pontificum.

Eminenza, qual è il senso di questo motu proprio che liberalizza l’uso del Messale cosiddetto di san Pio V?

DARÍO CASTRILLÓN HOYOS: Quando, dopo il Concilio Vaticano II, ci sono stati i cambiamenti nella liturgia, gruppi consistenti di fedeli laici e anche di ecclesiastici si sono sentiti a disagio perché erano fortemente legati alla liturgia in vigore da secoli. Penso ai sacerdoti che per cinquant’anni avevano celebrato con quella messa detta di San Pio V e che all’improvviso si trovarono a doverne celebrare un’altra, penso ai fedeli da generazioni abituati al vecchio rito, penso anche ai bambini come i chierichetti che all’improvviso si trovarono spaesati nel servire messa col Novus ordo. Ci fu quindi un disagio a vari livelli. Per alcuni era anche di natura teologica, ritenendo che il rito antico esprimeva meglio il senso del sacrificio rispetto a quello introdotto. Altri, anche per ragioni culturali, ricordavano con nostalgia il gregoriano e le grandi polifonie che erano una ricchezza della Chiesa latina. Ad aggravare il tutto c’era il fatto che chi provava questo disagio addebitava questi cambiamenti al Concilio, quando in realtà il Concilio di per sé non aveva né chiesto né previsto i particolari di questi cambiamenti. La messa che celebravano i padri conciliari era la messa di san Pio V. Il Concilio non aveva chiesto la creazione di un nuovo rito, ma un maggiore uso della lingua vernacola e una maggiore partecipazione dei fedeli.

D’accordo, questa era l’aria che si respirava quarant’anni fa. Ma oggi la generazione che aveva manifestato quel disagio non c’è più. Non solo: clero e popolo si sono abituati al Novus ordo, e nella stragrande maggioranza dei casi si trovano benissimo…

CASTRILLÓN HOYOS: Appunto, nella stragrande maggioranza, anche se molti tra di loro non sanno che cosa sia venuto meno con l’abbandono dell’antico rito. Ma non tutti si sono abituati al nuovo rito. Curiosamente anche nelle nuove generazioni, sia di chierici che di laici, sembra fiorire un interesse e una stima nei confronti del rito anteriore. E si tratta di sacerdoti e semplici fedeli che a volte non hanno nulla a che fare con i cosiddetti lefebvriani. Questi sono fatti della Chiesa, a cui i pastori non possono rimanere sordi. È per questo che Benedetto XVI, che è un grande teologo con una profonda sensibilità liturgica, ha deciso di promulgare il motu proprio.

Ma non c’era già un indulto?

CASTRILLÓN HOYOS: Sì, c’era già un indulto, ma già Giovanni Paolo II aveva capito che l’indulto non era stato sufficiente. Intanto perché alcuni sacerdoti e vescovi erano restii ad applicarlo. Ma soprattutto perché i fedeli che desiderano celebrare col rito antico non devono essere considerati di seconda categoria. Si tratta di fedeli a cui si deve riconoscere il diritto di assistere a una messa che ha nutrito il popolo cristiano per secoli, che ha nutrito la sensibilità di santi come san Filippo Neri, don Bosco, santa Teresa di Lisieux, il beato Giovanni XXIII e lo stesso servo di Dio Giovanni Paolo II che, come detto, aveva capito il problema dell’indulto e quindi aveva già in mente di estendere l’uso del Messale del 1962. Devo dire che negli incontri con i cardinali e con i capi dicastero, in cui si era discusso questo provvedimento, le resistenze erano veramente minime. Papa Benedetto XVI, che sin dall’inizio ha seguito il processo, ha fatto questo passo importante già immaginato dal suo grande predecessore. Si tratta di un provvedimento petrino emanato per amore di un grande tesoro liturgico, quale è la messa di san Pio V, e per amore di pastore anche verso un considerevole gruppo di fedeli.

Però non sono mancate resistenze anche da parte di esponenti dell’episcopato…

CASTRILLÓN HOYOS: Resistenze che secondo me dipendono da due sbagli. La prima valutazione errata è dire che si tratti di un ritorno al passato. Non è così. Anche perché nulla si toglie al Novus ordo, che rimane il modo ordinario di celebrare l’unico rito romano; mentre a chi vuole viene data la libertà di celebrare la messa di san Pio V come forma straordinaria.

Questo il primo sbaglio di chi si è opposto al motu proprio, e il secondo?

CASTRILLÓN HOYOS: Che si tratti di diminuire il potere episcopale. Ma non è così. Il Papa non ha cambiato il Codice di diritto canonico. Il vescovo è il moderatore della liturgia nella propria diocesi. Ma la Sede apostolica ha la competenza di ordinare la sacra liturgia della Chiesa universale. E un vescovo deve agire in armonia con la Sede apostolica e deve garantire a ciascun fedele i propri diritti, compreso quello di poter partecipare alla messa di san Pio V, come forma straordinaria del rito.

Eppure è stato affermato che con questo motu proprio Ratzinger «sbeffeggia il Concilio» e «dà uno schiaffo» ai suoi predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II…

CASTRILLÓN HOYOS: Benedetto XVI segue il Concilio, che non ha abolito la messa di san Pio V né ha chiesto di farlo. E segue il Concilio che ha raccomandato di ascoltare la voce e i desideri legittimi dei fedeli laici. Chi afferma queste cose dovrebbe vedere le migliaia di lettere che sono arrivate a Roma per chiedere la libertà di poter assistere alla messa cui si sentono tanto legati. E non si contrappone ai suoi predecessori che sono ampiamente citati sia nel motu proprio che nella lettera autografa del Papa che ne accompagna l’uscita. Papa Montini in alcuni casi da subito concesse la possibilità di celebrare la messa di san Pio V. Giovanni Paolo II, come ho già detto, voleva preparare un motu proprio simile a quello pubblicato oggi.

È stato pure paventato il pericolo che una piccola minoranza di fedeli possa imporre la messa di san Pio V alla parrocchia?

CASTRILLÓN HOYOS: Chi ha detto questo ovviamente non aveva letto il motu proprio. È chiaro che nessun parroco sarà obbligato a celebrare la messa di san Pio V. Solo che se un gruppo di fedeli, avendo un sacerdote disponibile a farlo, chiederà di celebrare questa messa, il parroco o il rettore della chiesa non si potrà opporre. Ovviamente, se ci saranno delle difficoltà, spetterà al vescovo fare in modo che il tutto avvenga all’insegna del rispetto e, direi, del buon senso, in armonia con il Pastore universale.

Ma non c’è il rischio che con l’introduzione di due forme, l’ordinaria e la straordinaria, nel rito latino ci possa essere una confusione liturgica nelle parrocchie e nelle diocesi?

CASTRILLÓN HOYOS: Se le cose vengono fatte seguendo il semplice buon senso non si corre questo rischio. D’altronde ci sono già diocesi in cui si celebrano messe in più riti, essendoci comunità di fedeli latini, greco-cattolici ucraini o ruteni, maroniti, melchiti, siro-cattolici, caldei, ecc… Penso ad esempio ad alcune diocesi negli Stati Uniti, come Pittsburgh, che vivono questa legittima varietà liturgica come una ricchezza, non come una tragedia. Esistono poi anche singole parrocchie che ospitano riti diversi dal latino, anche di comunità ortodosse o precalcedoniane, senza che questo susciti scandalo. Non vedo quindi pericoli di confusione. A patto, ripeto, che tutto si svolga con ordine e rispetto reciproco.

C’è poi chi ritiene che questo motu proprio attenti all’unicità del rito che sarebbe stato voluto dai padri conciliari…

CASTRILLÓN HOYOS: Premesso che il rito romano rimane unico, sebbene celebrabile in due forme, mi permetto di ricordare che nella Chiesa cattolica non c’è mai stato un solo rito per tutti. Oggi ad esempio ci sono tutti i riti delle Chiese orientali in comunione con Roma. E anche nella Chiesa latina ci sono altri riti oltre a quello romano, come l’ambrosiano o il mozarabico. La stessa messa di san Pio V, quando venne approvata, non annullò tutti i riti precedenti, ma solo quelli che non potevano vantare almeno due secoli di anzianità…

E la messa di san Pio V è stata mai abolita dal Novus ordo?

CASTRILLÓN HOYOS: Il Concilio Vaticano II non l’ha fatto, e successivamente non c’è stato mai nessun atto positivo che lo ha stabilito. Quindi formalmente la messa di san Pio V non è stata mai abolita. Fa specie comunque che coloro che si ergono a interpreti autentici del Vaticano II ne diano una interpretazione, in campo liturgico, così restrittiva e poco rispettosa della libertà dei fedeli, facendo sembrare oltretutto quel Concilio addirittura più coercitivo del Concilio di Trento.

Nel motu proprio non si stabilisce un numero minimo di fedeli necessario alla richiesta di poter celebrare la messa di san Pio V. Eppure in passato era trapelata la notizia che si pensasse a un tetto minimale di trenta fedeli…

CASTRILLÓN HOYOS: Questa è la dimostrazione lampante di come su questo motu proprio siano state raccontate molte pseudonotizie diffuse da chi non aveva letto le bozze o da chi, in maniera interessata, voleva influire sulla sua elaborazione. Ho seguito tutto l’iter che ha portato alla stesura finale e che mi ricordi in nessuna bozza è mai apparso nessun limite minimo di fedeli, né di trenta, né di venti, né di cento.

Perché la scelta di presentare in anteprima, il 27 giugno, ad alcuni ecclesiastici il testo del motu proprio?

CASTRILLÓN HOYOS: Il Papa non poteva chiamare tutti i vescovi del mondo, e allora ha convocato alcuni presuli, per vari motivi particolarmente interessati alla questione, rappresentativi di tutti i continenti. A loro ha presentato il testo offrendo la possibilità di fare osservazioni. Tutti i partecipanti hanno avuto la possibilità di parlare.

Alla luce di questo incontro ci sono state delle variazioni rispetto al testo del motu proprio che era stato approntato?

CASTRILLÓN HOYOS: Sono state chieste e quindi introdotte piccole variazioni lessicali, non di più.

Questo motu proprio che prospettive può aprire con i lefebvriani?

CASTRILLÓN HOYOS: I seguaci di monsignor Lefebvre hanno sempre chiesto la possibilità che ogni sacerdote possa celebrare la messa di san Pio V. Ora questa facoltà viene ufficialmente e formalmente riconosciuta. D’altra parte il Papa ribadisce che la messa che noi tutti officiamo ogni giorno, quella del Novus ordo, rimane la modalità ordinaria di celebrare l’unico rito romano. E quindi che non si può negare né il valore, né tanto meno la validità del Novus ordo. Questo deve essere chiaro.

Il motu proprio aumenterà la responsabilità di «Ecclesia Dei»?

CASTRILLÓN HOYOS: Questa Commissione è stata fondata per raccogliere i laici e gli ecclesiastici che hanno abbandonato il movimento lefebvriano dopo le consacrazioni episcopali illegittime. E di fatto poi ha lavorato anche per un dialogo con la stessa Fraternità di san Pio X nella prospettiva di una piena comunione. Oggi il motu proprio si rivolge a tutti i fedeli legati alla messa di san Pio V, e non solo a quelli di provenienza per così dire lefebvriana. E questo ovviamente presuppone un nostro lavoro molto più ampio.

© Copyright Trenta Giorni

17 commenti:

euge ha detto...

Dopo questa ennesima spiegazione più che esauriente e dettagliata direi, i "grandi criticoni" sedicenti difensori del Concilio ( che usano a loro piacimento per dare addosso a Benedetto), l'avranno capita?????????????????????
Quante parole spese per difendere una parte del patrimonio della chiesa...............che c'è esiste perchè nessuno mai si è sognato ne di vietare ne di abolire!!!!!!!!!!
Capitela una buona volta!!!!!!!!!!!!!!!!
Eugenia

Anonimo ha detto...

Qualcuno però si ostina a non capire.
Leggere per credere, non a Dio però.



La notificazione dell' arcivescovo di Pisa monsignor Alessandro Plotti

Sull'uso del Messale romano di San Pio V

TOSCANA OGGI 22 luglio 2007


DI ALESSANDRO PLOTTI*

Ogni Vescovo è il moderatore della liturgia per la propria Diocesi. Il can. 838 del Codice di Diritto Canonico così recita: «Regolare la Sacra Liturgia dipende unicamente' dall'Autorità della Chiesa: ciò compete propriamente alla Sede Apostolica e, a norma del Diritto, al Vescovo Diocesano».
E al Paragrafo 4 : «Al Vescovo Diocesano nella Chiesa a lui affidata spetta, entro i limiti della sua competenza, dare norme in materia liturgica, alle quali tutti sono tenuti». Tali disposizioni trovano conferma al n. 22 del Documento del Concilio Vaticano II «Sacrosanctum Concilium», dove sono ribaditi gli stessi concetti. Il Messale di Paolo VI rimane la «forma normale» e«ordinaria» della liturgia eucaristica, mentre il Messale romano anteriore al Concilio può essere usato come forma «straordinaria» .
Il Papa nella sua Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica, che accompagna il «Motu proprio», spiega abbondantemente che non deve essere intaccata l'autorità del Concilio e messa in dubbio la riforma liturgica o che venga sconfessata l'opera di Paolo VI e di Giovanni Paolo II. Alla luce di queste due premesse, dispongo quanto segue:
. 1- In nessuna Parrocchia della nostra Arcidiocesi si introduca l'uso del messale del 1962, solo per offrire in maniera indiscriminata la celebrazione in latino secondo il Rito preconciliare ai fedeli che non ne abbiamo fatto specifica richiesta.
. 2 - Se nella Parrocchia (art. 5 par. 1 ) esiste «stabilmente» un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica, che chiede esplicitamente al Parroco la celebrazione della Santa Messa secondo il rito preconciliare, il Parroco stesso valuti, da una parte, se tale richiesta nasce da un sincero amore alla tradizione antica della chiesa, da una convinta accettazione del Concilio Vaticano II, e da una istanza seria e autentica di alimento spirituale; dall'altra, se il concedere tale celebrazione si armonizza con la cura pastorale ordinaria della parrocchia, evitando la discordia e le divisioni.
Si deve trattare, sempre e comunque, di un gruppo stabile di parrocchiani, che manifestano il desiderio legittimo di vedere attuato il «Motu proprio» del Papa. Non è né opportuno né auspicabile che la Parrocchia «ospiti» gruppi non ben definiti che non partecipano alla vita e al cammino della comunità parrocchiale e che «usano» la parrocchia o il parroco solo per un nostalgico riflusso liturgico. L'art. 5 par. 1 del Documento Pontificio è molto chiaro: «nella parrocchia in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli...». Dunque un gruppo di fedeli che stabilmente vivono e operano nella parrocchia e non altri che sfruttano la parrocchia solo come punto di appoggio o perché c'è un presbitero più benevolo.
. 3 - Per meglio esercitare questa facoltà concessa ai parroci di accogliere «volentieri» tale richiesta e per operare serenamente ed efficacemente un difficile discernimento dispongo che, prima di concedere o di negare tale privilegio, sia consultato il Consiglio pastorale parrocchiale e si faccia riferimento all'Arcivescovo, per arrivare ad una scelta pastorale armonica, che non crei divisioni e conflitti tra le diverse componenti del Popolo di Dio.
Il «Motu proprio» di Benedetto XVI insiste nel sottolineare che la celebrazione della Santa Messa pre-conciliare deve armonizzarsi con la cura pastorale ordinaria della parrocchia.
. 4 - Il ricorso all'Ordinario diocesano non è prescritto nel Documento, perché la concessione è affidata alla buona accoglienza del Parroco, però, per i risvolti che tale esperienza può avere sulla vita dell'intera Diocesi, è opportuno e raccomandabile che la decisione venga presa insieme al Vescovo. .
Tra l'altro, il Papa nella Lettera ai Vescovi, che accompagna il Decreto, dice: «queste nuove norme non diminuiscono in nessun modo la vostra autorità e responsabilità, né sulla liturgia né sulla pastorale dei vostri fedeli. Ogni Vescovo, infatti, è il moderatore della liturgia nella propria Diocesi. Nulla si toglie quindi all'autorità del Vescovo il cui ruolo, comunque, rimarrà quello di vigilare affinché tutto si svolga in pace e serenità. Se dovesse nascere qualche problema che il parroco non possa risolvere, l'Ordinario locale potrà intervenire, in piena armonia, però, con quanto stabilito dalle nuove norme del «Motu proprio». Accogliamo la decisione del Papa in spirito di obbedienza e di condivisione, cercando di ottemperare con fedeltà e serietà alle prescrizioni del «Motu proprio», tenendo presente che tutti noi, pastori e guide del nostro popolo, abbiamo la missione di offrire a tutti i fedeli le occasioni per crescere nella vita spirituale e nell' esperienza di una Chiesa che accompagna la crescita ecclesiale della intera comunità cristiana, che ha sempre nel Vescovo il suo punto di unità e di comunione.
«Salus animarum summa lex».

+ arcivescovo

Anonimo ha detto...

Dagli articoli 3 e 4 sembrerebbe che nell'arcidiocesi di Pisa ci sia ancora il regime di indulto vescovile... un ottimo modo di aggirare il motuproprio!
Beh,certo che, in qualche anno di università a Pisa non avevo mai sentito l'A.R.C.I.vescovo Plotti tuonare con la stessa fermezza ad esempio contro l'aborto! Evidentemente per lui i pericoli maggiori vengono dal papa piuttosto che dal diffuso relativismo locale

Anonimo ha detto...

Sono francamente sconvolta. Mi sembrano artifizi giuridici per aggirare il motu proprio!

Anonimo ha detto...

Tanto la festa per Plotti durerà poco visto che ha raggiunto i limiti di età!!!!!!!! Non sono di Pisa ma, spero che al suo posto arrivi qualcuno che non cerchi questi biechi mezzucci per arginare o addirittura ostacolare il Motu Proprio in questione!!!!!!!
Questa cosa a mio parere è molto grave e temo che in molti faranno lo stesso .............Spero di sbagliarmi!!!!!!!!!

Anonimo ha detto...

Chiedo preventivamente perdono, ma chi si crede di essere questo monsignor Plotti per emanare un proprio “motu”, in evidente spregio al “Motu proprio” del Santo Padre? Altro che Monsignor Lefebvre…, questo sì che sarebbe da scomunicare!!! Don Francesco, la prego, dica qualcosa…!!!

euge ha detto...

Caro Giampaolo non stuzzicare troppo don Francesco potresti ricevere delle risposte simili a quelle di Plotti!!!!!!!!!!!!!!

Eugenia

Anonimo ha detto...

Chi si crede di essere....????? Te lo spiego io che lo sto subendo da vent'anni e conto i giorni per arrivare alla fatidica data di quando sua eccellenza compirà il sospirato raggiungimento del limite di età e sarà costretto a rimettere il mandato nella mani del Santo Padre, il quale certamente ci manderà un Arcivescovo più in linea con i suoi principi e soprattutto non uno che si crede di essere ciò che mai sarà e "impone" come una sorta di dittatore!!!! Del resto chiunque arrivi sarà senza ombra di dubbio meglio di lui!!!!
Francesca

Anonimo ha detto...

Tu dici Eugenia? Comunque è strano il suo silenzio...! Non è che magari stia meditando qualcosa di buono?!? Non si sa mai..., le vie del Signore sono infinite...!!!

Anonimo ha detto...

Cara Francesca ti faccio i miei migliori auguri...! Stasera stessa dirò una preghiera affinchè la tua supplica venga accolta al più presto!!!

Scipione ha detto...

PER RAFFAELLA (PRECISAZIONE CHE SI PUÒ NON PUBBLICARE): TI RIMANDO I DUE INTERVENTI CHE IERI CON TROPPA FRETTA (ANCHE PERCHÉ ERA LA PRIMA VOLTA CHE VEDEVO IL VOSTRO INTERESSANTISSIMO BLOG) HO INSERITO IN RISPOSTA AD UN ARTICOLO FORSE SUPERATO MA CHE ADESSO, DOPO AVERLI RIVISTI, CORRETTI E UNITI, CREDO SIANO ADEGUATI PER RISPONDERE ALL’ASSURDA DECISIONE DEL VESCOVO PISANO. COMUNQUE SE PER VOSTRA REGOLA NON SI POSSONO RIPROPORRE COMMENTI, SEBBENE RIVISTI E CORRETTI, IN QUALCHE MODO GIÀ APPARSI… NON IMPORTA E CASSALO PURE. SE AVRÒ TEMPO SCRIVERÒ UN NUOVO COMMENTO AD HOC. UN SALUTO. SCIPIONE.



Sto notando, da quando seguo con maggiore attenzione il dibattito crescente suscitato dalle incisive e benefiche iniziative dell’attuale Sommo Pontefice (dopo troppi anni di grande spettacolarizzazione ad uso dei media… ma di poca sostanza…) un modo di impostare il discorso da parte di quelli che disapprovano tali interventi, che mi lascia perplesso o meglio mi preoccupa. Mi riferisco al fatto di usare come pietra di paragone, come punto fermo, assoluto, immutabile, vero faro di verità eterna alla luce del quale valutare la giustizia o meno delle azioni di Papa Benedetto XVI, ma anche le opinioni di chiunque prenda posizione rispetto ad esse… il Concilio Vaticano II.
Ora io non sono un teologo e nemmeno un docente di storia della Chiesa, però a quanto ne so di concili ecumenici ce ne sono stati una ventina: tutti, più o meno, hanno stabilito regole e leggi importanti per l’esistenza della Chiesa, molti anche dogmi (mi risulta, in specie, che proprio il vaticano II non ne abbia invece stabiliti, di dogmi…) ossia verità di fede - quelle sì intangibili. Ad ogni modo la Chiesa si è sempre riferita, per ribadire la propria essenza e rivendicare la propria verità, appunto alla verità del Vangelo; su di essa ha fondato la sua autorità, il suo magistero e, collateralmente, su quell’immensa opera chiarificatrice e approfonditrice che delle scritture e dei dogmi ufficiali (e in genere di tutta la teologia cattolica) hanno nei secoli compiuto i grandi dottori della Chiesa.
Da dopo il vaticano II invece, nulla di tutto ciò pare avere più realmente valore, tutto sfuma, si relativizza, sbiadisce nel grigiore, quasi si trattasse di una vecchia e usurata stampa oramai inutile e fuori moda rispetto allo splendente technicolor ad alta definizione dell’ultimo concilio. Quest’ultimo, senza riserve e senza legami con l’aborrita tradizione si erge isolato e titanico come unico totem da adorare, come vera colonna d’Ercole da non oltrepassare, come punto di non ritorno ecc. ecc.
Ora tutto ciò, oltre ad essere per me incomprensibile e preoccupante (come dicevo i concili per quanto importanti sono solo concili… non sono la chiesa, né la fondano e soprattutto se ce ne sono stati 20 possono essercene altri 20…) nel caso specifico mi indispone pure. Già, perché per ben 19 volte abbiamo avuto concili “tradizionalisti” ossia arcigni e antidemocratici (e fondamentalisti… direbbero in molti), concili che osavano opporsi con fermezza alle derive del mondo ma, nonostante questo, nessuno di essi osò porre se stesso come ultima linea rerum, come momento unico, ultimo e insuperabile (infatti furono tutti… “superati”… ma meglio sarebbe dire, integrati). Proprio il vaticano II invece, il concilio aperto, tollerante, modernista, innovatore, il concilio che fa pace con il mondo, che si sforza di far convergere la Chiesa verso il mondo (rinunciando di fatto ad ottenere l’opposto e più auspicabile – m,a più scomodo! - risultato), dicevo, proprio il vaticano II ecco che mostra un inquietante volto monolitico e tirannico, assolutista. Sembra quasi affermare (almeno nelle intenzioni dei suoi sostenitori più accaniti) la Chiesa e la fede cattolica adesso sono io e basta! E questo nonostante lo scarsissimo successo che in termini di aumento quantitativo e qualitativo della fede, abbia palesemente ottenuto!
Ma in fondo è logico: non è forse la nostra cara modernità, il sistema meno tollerante (quanto ci sarebbe da dire – magari citando S. Ambrogio - su questa insinuante ma pericolosa e spesso subdola parola!) che sia mai esistito? Il sistema che apparentemente accetta e lascia spazio a tutto e a tutti… purché, ben inteso, tutto e tutti diventino… moderni? E non mi stupisce nemmeno di vedere i preti “fondamentalisti conciliari” - loro che da grotteschi sessantottini ecclesiastici hanno ridicolamente contestato tutto e tutti, all’interno della Chiesa stessa e continuano pure a farlo (si veda anche solo il caso dell’abito talare… che nella maggioranza delle nostre chiese è diventata una polo, con tanto di firma “Lacoste”… alla faccia delle norme del Codice di diritto canonico e delle disposizioni della CEI e dei richiami dell’attuale Papa… queste regole non valgono Monsignor Plotti? Ovvio quando fa comodo un vero neo-conciliarista può pure emanare regole e disposizioni apertamente in contrasto con quelle papali!) - dicevo… vedere oggi quegli stessi preti (o intellettuali cattolici) richiamare “gli altri” (i residuali e residuati tradizionalisti) all’ordine e all’obbedienza più stretta… ovviamente dell’intangibile idolo e Leviatano: il Concilio Vaticano II.
Come dicevo all’inizio, io non sono un esperto, sono un “aspirante” fedele folgorato sulla via dell’indifferenza religiosa dalla profondità, dal coraggio e dalla assoluta verità del magistero di Benedetto XVI. Ogni cosa che il Sommo Pontefice fa o dice, mi scuote - come credo capiti a molti - e mi apre nuovi orizzonti; toglie da ogni prospettiva religiosa quella subdola “polvere della modernità” che invecchia e rende indistinto e scarsamente interessante tutto ciò su cui si posa.
Così corro subito ad informarmi, con la voglia di capire che la sensazione che qualche cosa si stia facendo e si stia muovendo mi infonde.
Io nemmeno sapevo con precisione la questione del messale del 1962 fino a pochi mesi fa… ma una cosa tira l’altra e pian piano certe trappole si svelano. Così quel fantomatico Concilio Vaticano II con la citazione del quale, assieme ai nomi di Kennedy e Kruscev, si chiudevano - a suggello della finalmente raggiunta “pienezza dei tempi nuovi” - tutti i libri di storia di quando andavo io a scuola, adesso mi appare sotto una luce davvero nuova.
E questo lo devo anche all’acrimonia con cui i suoi strenui e arroganti difensori, quelli che ai loro tempi lo usarono come ariete per cambiare tutto e tutti, non preoccupandosi minimamente di infrangere norme poste dai 19 concili precedenti… e non solo, ora lo venerano. Possibile che un Pontefice non possa più pronunciare un giudizio, fare un’osservazione, tentare un’interpretazione, usare dei propri poteri in materia magisteriale e legale senza dover prima, dopo e durante, profondersi in mille assicurazioni circa la sua non volontà di “toccare” il mitico Concilio vaticano II? Questo vitello d’oro che si rischia di venerare più della divinità che dovrebbe averlo ispirato e di cui dovrebbe essere stato solo mero strumento? E’ sconvolgente leggere che un Vescovo chieda ai propri parroci di valutare che i parrocchiani dimostrino… “…una convinta accettazione del Concilio Vaticano II”. Non nella fede cattolica, nei dogmi ufficiali, nel Papa, al limite in tutto il magistero della Chiesa comprensivo dei 20 concili ecumenici fin qui tenutisi… ma nel solo Vaticano II! Ecco la nuova, assoluta e intangibile ortodossia… direi quasi la nuova religione!
Qui gatta ci cova mi sono detto, vedendo la furia iconoclasta di tanti “liberali e tolleranti modernisti” pronti a risuscitare nei fatti una vecchia dottrina religiosa, il Conciliarismo, dottrina condannata dalla Chiesa nel Concilio Lateranense V e definitivamente superata durante il Concilio Vaticano I (che viene fatto apparire un po’ come il fratello maggiore “cattivo” del II!) con la definizione del dogma dell’infallibilità papale. Un Conciliarismo logicamente “attualizzato” (beh… siamo nel III millennio… mica le regole di giustizia assoluta valide per tanti secoli oggi valgono ancora, nemmeno le verità del Vangelo e della Chiesa possono permettersi di sfuggire a qualche adeguato restiling, aggiornamento… Oggi suonerebbe male che “Qualcuno” dicesse: “Io sono la via, la verità e la vita”… meglio sarebbe relativizzare il tutto per non ferire le orecchie dei moderni e dire: “Io potrei essere una via, una verità e una vita… ma comunque parliamone e se sbaglio vi chiedo anticipatamente scusa!”). Un Conciliarismo secondo il quale non tutti i Concili hanno autorità superiore a quella dei Papi (sennò come giustificare i cambiamenti di rotta impressi dai papi del Concilio vaticano II rispetto a quanto stabilito dal Concilio vaticano I?) ma, specificamente, i concili e i Papi “moderni” su tutti i Papi e concili “non-moderni”… o fondamentalisti come di fatto oggi vengono considerati.
Ecco dunque che all’orizzonte si profila il nuovo, vero e intangibile dogma fondante che vige fra certi intellettuali e prelati cattolici: la Modernità. Chiaramente non è un dogma espresso, anche perché non è un dogma originariamente cattolico ma mutuato dal mondo “laico”. A questo punto resterebbe da decidere cosa è moderno… ma questo solo i modernisti cattolici o meno (anzi soprattutto non cattolici visto che il dogma è “laico” quindi i “laici” sono i veri dottori in materia) possono farlo. E nella sostanza l’hanno fatto: essere moderni significa e significherà - in saecula saeculorum - fare e dire quello che hanno fatto e detto loro.
Ancora un’ultima cosa: la spiegazione del card. Hoyos, ovviamente mi soddisfa in quanto cerca di tradurre senza alterarlo il senso delle parole del Pontefice; certo però io starei attento a quel cedere alla logica laica e progressita che teme più del diavolo il passato e valuta tutto solo in termini di ascesa progressista infinita (nel senso di senza un fine… uno scopo.. una crescita quindi puramente quantitativa e temporale). E un cedimento in questo senso lo percepisco in quell’iniziale forma di “scusa non richiesta” condensata nella frase: «La prima valutazione errata è dire che si tratti di un ritorno al passato. Non è così».
Gli atti della Chiesa, ma direi di tutti i Cristiani, non si devono giudicare in ottica temporale: vecchi e nuovi, antichi e moderni, ma sulla base delle assolute categorie del giusto e dell’ingiusto. Cosa significa questo continuare a schermirsi, a mettere le mani avanti, ad assicurare che la Chiesa non torna indietro? Che forse il passato della Chiesa è tutto un orrore? E’ tutto sbagliato, che dall’anno 33 al 1965 nulla si è fatto di buono tanto che nessun apporto la Chiesa può prendere e riproporre da ciò che ha compiuto prima di quest’ultima data senza incorrere nel biasimo universale? E poi, se tutto il passato è da condannare… perché solo ciò che è qui ed ora, che è adeguato, relativizzato ai tempi ha valore… - per quel poco che i tempi durano - visto che anche noi diventeremo passato anche noi subiremo l’inevitabile condanna. Insomma bisogna stare attenti a non cadere in certe subdole trappole relativiste che surrettiziamente condannano integralmente l’essenza stessa della Chiesa Cattolica.

Anonimo ha detto...

Ciao Scipione, non preoccuparti: si possono riproporre i post gia' scritti. Decidi tu in quali discussioni vuoi riportare cio' che hai scritto ieri e lo pubblichiamo :-))
Ciao e grazie a te.
Raffaella

euge ha detto...

Per Giampaolo....... spero nelle vie del Signore e nella meditazione ma, non mi farei troppe illusioni in questo caso!!!!!!

Eugenia

euge ha detto...

Per Giampaolo......Per Giampaolo....... spero nelle vie del Signore e nella meditazione ma, non mi farei troppe illusioni in questo caso!!!!!!

Eugenia

Anonimo ha detto...

Salve a tutti, riporto la parte iniziale delle parole del vescovo di Pisa sopra trasmesse integralmente, egli scrive:

La notificazione dell' arcivescovo di Pisa monsignor Alessandro Plotti

Sull'uso del Messale romano di San Pio V

TOSCANA OGGI 22 luglio 2007


DI ALESSANDRO PLOTTI*

Ogni Vescovo è il moderatore della liturgia per la propria Diocesi. Il can. 838 del Codice di Diritto Canonico così recita: «Regolare la Sacra Liturgia dipende unicamente' dall'Autorità della Chiesa: ciò compete propriamente alla Sede Apostolica e, a norma del Diritto, al Vescovo Diocesano».
E al Paragrafo 4 : «Al Vescovo Diocesano nella Chiesa a lui affidata spetta, entro i limiti della sua competenza, dare norme in materia liturgica, alle quali tutti sono tenuti». Tali disposizioni trovano conferma al n. 22 del Documento del Concilio Vaticano II «Sacrosanctum Concilium», dove sono ribaditi gli stessi concetti. Il Messale di Paolo VI rimane la «forma normale» e«ordinaria» della liturgia eucaristica, mentre il Messale romano anteriore al Concilio può essere usato come forma «straordinaria» .

******************

Sul concetto di STRAORDINARIETA' della Messa in VO sono d'accordo, il problema sta in quel sottile OSTRUZIONISMO cavilloso, da parte di alcuni vescovi per NON rendere al Vecchio rito neppure LA STRAORDINARIETA'...
Ma a smentire l'arcivescovo di Pisa sull'interpretazione fin dove si spinge l'autorità di un vescovo è proprio il card. Castrillon che
così si è espresso Radio Vaticana proprio ieri:

http://www.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=154791

D. – Eminenza, questo documento è stato accompagnato da polemiche e timori: ma cosa non è vero di quanto è stato detto o letto?

R. – Non è vero, per esempio, che sia stato tolto ai vescovi il potere sulla Liturgia, perché già il Codice dice chi deve dare il permesso per dire Messa e non è il vescovo: il vescovo dà il celebret, la potestà di poter celebrare, ma quando un sacerdote ha questa potestà, sono il parroco e il cappellano che devono offrire l’altare per celebrare. Se qualcuno lo impedisce, tocca allora alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei prendere misure, a nome del Santo Padre, affinché questo diritto – che è un diritto ormai chiaro dei fedeli - venga rispettato.

************

appare così evidente che l'arcivescovo di Pisa e con lui altri purtroppo, non hanno compreso che un MP termina fra l'altro con queste parole del Pontefice:

Hoc documentum cum in L’Osservatore Romano evulgabitur statim vigere incipiet. Haec decernimus et statuimus, contrariis quibusvis non obstantibus.

Datum Romae, apud Sanctum Petrum, die XI mensis Iunii, anno MMVII, Pontificatus nostri tertio.

*****
Haec decernimus et statuimus, contrariis quibusvis non obstantibus.

*****

appare evidente che questa espressione rende le NUOVE NORME promulgate dal Papa, al di sopra di ogni parere CONTRARIO....

Quanto ai problemi che si potrebbero riscontrare il Papa parla di sforzi atti a SUPERARE LE DIFFICOLTA' e non ad alimentarle....

Quanto al problema di "gruppi stabili di fedeli" esso deve essere considerato all'interno di un altro fattore:
"gruppi di fedeli" al vecchio rito o sono pochi che si contano sulle dita o sono Lefebvriani...dal momento che per 40 anni IN OGNI DIOCESI E PARROCCHIA E' STATA CANCELLATA DALLA PASTORALE LA MESSA TRADIZIONALE, di conseguenza è normale che le nuove generazioni nulla sanno di questo Rito...ergo, se i Vescovi non CREANO LE CONDIZIONI affinchè questi "gruppi stabili" possano consolidarsi e CRESCERE ALL'INTERNO DELLA PARROCCHIA IN MODALITA' NORMALI, come parlare di "gruppi stabili"?

Fraternamente CaterinaLD

Anonimo ha detto...

Ciao Caterina, l'ostruzionismo e' palpabile! Perche' ieri sera ne' sat2000 ne' telepace hanno trasmesso la messa tridentina celebrata a Loreto? Di che cosa si ha paura?
Secondo me la commissione Ecclesia Dei deve dare l'interpretazione autentica del motu proprio.

Anonimo ha detto...

Cara Raffella....più che dare una interpretazione al MP deve proprio VIGILARE e fare in modo che essa venga reso facilmente eseguibile DA TUTTI I VESCOVI....
Anche Avvenire ieri ritornava su questo punto importante, ne riporto un pezzetto:

Messa in latino: dono, non pretesto per divisioni

Ieri l’entrata in vigore del Motu proprio «Summorum Pontificum» sull’uso della liturgia romana anteriore alla Riforma del 1970

Da Roma Salvatore Mazza
www.avvenire.it

Il senso del Summorum Pontificum è chiarissimo. E, con queste o altre espressioni analoghe, è stato ripetuto in mille occasioni: non un «ritorno al passato», quasi a sconfessare il Concilio, ma una mano tesa verso quei «non pochi fedeli» che «aderirono e continuano ad aderire con tanto amore e affetto alle antecedenti forme liturgiche».

Data in forma di Motu proprio lo scorso 7 luglio, la Lettera apostolica di Papa Ratzinger, che da ieri è entrata ufficialmente in vigore, reintroduce la possibilità, accanto alla tradizionale celebrazione in lingua nazionale, di celebrare la Messa in latino come “forma straordinaria” «secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal Beato Giovanni XXIII nel 1962, e mai abrogato».

Le due forme - ordinaria e straordinaria - dunque convivono.

A questo proposito, Benedetto XVI precisa che «non è appropriato» parlare di queste due forme «come fossero due Riti. Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e medesimo Rito».
E dunque, le due «espressioni della lex orandi della Chiesa non porteranno in alcun modo a una divisione nella lex credendi (legge della fede) della Chiesa».

Rispetto a quanto già stabilito a suo tempo da Papa Wojtyla, con il nuovo dispositivo è il parroco ad essere chiamato direttamente in causa. Infatti, recita il testo, «nelle parrocchie, in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica, il parroco accolga volentieri le loro richieste per la celebrazione della Santa Messa secondo il rito del Messale Romano edito nel 1962. Provveda a che il bene di questi fedeli si armonizzi con la cura pastorale ordinaria della parrocchia, sotto la guida del Vescovo… evitando la discordia e favorendo l’unità di tutta la Chiesa».

Se invece un gruppo di fedeli, avendo un sacerdote disponibile a farlo, chiedesse di celebrare la Messa in latino «anche in circostanze particolari, come matrimoni, esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi», il parroco non potrà rifiutare il permesso. Dovrà però verificare se ci sono le condizioni spirituali e pastorali, se cioè la richiesta viene avanzata per un desiderio spirituale, e non come contrapposizione ad altre assemblee liturgiche e al Concilio stesso.

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Appare quindi evidente che se io ed altri amici, con un sacerdote ci rechiamo in pellegrinaggio da qualche parte, prenotando ed avvisando per tempo, PREPARANDOCI SPIRITUALMENTE....abbiamo il DIRITTO di avere questa Messa...non si è mai sentito nella Chiesa che un vescovo abbia VIETATO UNA MESSA se non per motivi subordinati a gravità dottrinali....oggi che abbiamo un MP del Papa questo VIETARE UNA MESSA è l'aspetto più drammatico e più grave che potesse accadere nella Chiesa....

Neppure la Rai ha dato notizia che nel Santuario di Loreto ieri c'erano oltre SETTECENTO PERSONE per assistere devotamente alla Messa CATTOLICA di rito Latino....

Fraternamente CaterinaLD