13 luglio 2007

Messa tridentina, D'Agostino (Avvenire): non esistono due riti ma un duplice uso dell'unico rito romano


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Il motu proprio con il quale Benedetto XVI ha ridato spazio all'uso della liturgia romana anteriore al Concilio Vaticano II ha suscitato numerosi commenti e svariate riflessioni, anche nel mondo laico: non poteva essere diversamente, se si riflette sulla peculiarità del nesso che ci unisce con la tradizione linguistica latina, anche al di là della prassi della Chiesa romana.
Esiste però un'ulteriore ragione per riflettere da parte di tutti (e in particolare da parte dei "laici") sulla decisione di Papa Benedetto; una ragione che non ha rilievo né teologico né liturgico, ma - se si può usare una parola difficile solo sulle prime - "ermeneutico".
Il punto è già stato perfettamente colto dal cardinale Ruini, nell'editoriale pubblicato su "Avvenire" domenica 8 luglio. Il porporato ricordava infatti come il primo e principale motivo che aveva indotto il Papa a emanare il motu proprio sia stato la "sollecitudine per l'unità della Chiesa, unità che sussiste non solo nello spazio, ma anche nel tempo e che non è compatibile con fratture e contrapposizioni tra le diverse fasi del suo sviluppo storico". Quello dell'unità è quindi da considerare alla stregua di un valore primario, per realizzare il quale nessuno sforzo deve restare intentato: l'affiancare alla forma ordinaria della liturgia eucaristica una "forma straordinaria" non va inteso come la creazione di due riti, ma di un duplice uso dell'unico e medesimo rito romano.

Perché ho detto che questo tema dovrebbe interessare, da un punto di vista "ermeneutico", anche i non credenti? Perché da esso emerge con chiarezza quello che è o comunque dovrebbe essere il comune orizzonte interpretativo di tutta la storia umana. Che la storia si esprima in una impressionante varietà di culture, lingue, tradizioni, religioni, esperienze non è mai sfuggito naturalmente a nessuno. Nel nostro tempo, però, si sta imponendo una lettura relativistica di questa straordinaria varietà: anziché essere compresa, studiata e interpretata come l 'espressione molteplice di un unico valore fondamentale, quello dello spirito umano, essa viene sempre più spesso additata come la prova evidente della relatività e della incomunicabilità dei valori antropologici e culturali.
Il risultato di questo canone "ermeneutico" è devastante: alle prime difficoltà di comunicazione tra gli uomini, il relativismo antropologico e culturale, che sulle prime ama presentarsi come benevolo e tollerante, si rivela rapidamente indifferente e ostile nei confronti della diversità. Se non si assume come principio interpretativo fondamentale di tutta la storia umana lo stesso criterio che la Chiesa assume per interpretare la propria storia, e cioè il primato dell'unità sulla divisione, il rischio che le lacerazioni esistenti tra gli uomini si moltiplichino in modo esponenziale è altissimo. Non è riconoscendoci irriducibilmente differenti che creiamo la pace tra di noi, ma piuttosto riconoscendo la nostra fondamentale eguaglianza, che spesso si occulta nella diversità delle pratiche e delle esperienze.
Come non dobbiamo pensare a "due riti", ma "un duplice uso dell'unico rito romano", analogamente, non dobbiamo pensare a "mille o diecimila culture umane", ma a "mille o diecimila usi dell'unica cultura umana"; non a diecimila lingue diverse", ma "diecimila usi diversi di comunicazione tra gli uomini". Il confronto culturale è faticoso, a volte tormentoso, perché esige una lucidità di giudizio (nei confronti delle culture che vengono meno alle comuni esigenze del bene umano), che mai va disgiunta da una doverosa apertura simpatetica a chi è diverso da noi culturalmente, tanto quanto è umanamente a noi identico. L'unità, prima ancora che il contenuto di un appello morale, è un principio antropologico fondamentale, che si crea la sua strada in mille modi diversi e imprevedibili, anche attraverso le nuove norme canoniche sulla liturgia eucaristica.

© Copyright Avvenire, 13 luglio 2007

15 commenti:

Cristiano ha detto...

Salve a tutti, vorrei fare qualche riflessione e mi piacerebbe che qualcuno si unisse a me.
L'autore dell'articolo evidenzia come il relativismo, la tolleranza esteriore, finisce per tramutarsi in odio per il diverso.
Infatti quando si accetta tutto si accetta un "minimo comun denominatore".
Ciò che poi va oltre quest'adeguamento alla mediocrità è percepito come estraneo e pericoloso.
Inoltre per amare l'unità e per raggiungere una visione intellettuale che veda le uguaglianze, non le differenze l'uomo ha a disposizione dei mezzi "soprannaturali".
Essi sono i Sacramenti: in nessun sacramento manca il riferimento all'unità, e tutti allargano la consapevolezza dell'essere umano fino a donargli quel respiro intellettuale ampio che è il respiro dell'amore.
Amare l'unità e capire che anche chi non è come noi ha una parte della verità richiede appunto una vita nell'unità.
Per i battezzati la vita nell'unità è nella Chiesa, sub unum pastorem.
Richiede anche il contatto con i mezzi soprannaturali di cui sopra, senza i quali l'essere umano vive solo della percezione esteriore delle cose.
Da qui l'apparente esclusivismo di noi Cattolici.
Da qui l'apparente intolleranza verso il diverso.
Da qui l'affermazione che fuori della Chiesa non c'è salvezza.
Chi mi ha seguito fino a qui capisce il paradosso?
Chi parla tanto di tolleranza, di pluralismo, di questa libertà tutta esteriore, in realtà si batte PER LA DIVISIONE del genere umano!
Si batte perchè ognuno rimanga nella propria ignoranza, e la civiltà si trasformi in una giustapposizione di punti di vista inconciliabili!
Invece il Santo Padre, accusato di essere antiecumenico, ci insegna che se ognuno rispetta la Verità, e persegue la sua strada verso la Salvezza, l'unione con chi è diverso si realizza!
Si realizza apparentemente "per magìa", in realtà per una logica che ha le sue leggi, anche se molti non le avvertono.
Ecco perchè i suoi successi non saranno pubblicizzati... essi insegnano al mondo che la civiltà profana si è sbagliata!!
Insegnano a molti uomini di chiesa che i ragionamenti "laici" che sembravano giusti, o non in contrasto con la dottrina, non affondano le loro radici in Cristo e sono da rigettare!!

francesco ha detto...

anzitutto vorrei segnalare alcuni post molto interessanti sul blog di accattoli
sull'articolo... a me pare un po' esagerato! non mi pare che il motu proprio lo si stia caricando di valenze che non ha...

sulle osservazioni (molto belle) di cristiano - che però avrebbero bisogno di uno spazio diverso da questo blog, penso: parliamone! - vorrei dire che ai tempi di d. luigi di liegro la caritas fece un interessantissimo film a episodi sulla intolleranza... uno di questi in maniera molto efficace mostrava come la tolleranza per sua natura esprime una superiorità sull'altro e porta all'odio per il diverso...
i tuoi ragionamenti, però cristiano, mi sembrano troppo "cristologici", troppo "statici"... veri, ma parziali
la verità invece è sempre "cattolica", "secondo il tutto"... è quest'aspetto della verità che integrerei al tuo ragionamento: ognuno è un organum veritatis perché voluto, amato e scelto dal signore
...quanto al fatto che non c'è pubblicità per il papa e le sue idee - che farebbero un gran bene a tanti! - io direi che da una parte c'è il tam tam personale, mezzo che non va mai fuori di moda e che è il modo ordinario della trasmissione evangelica
e poi che forse il problema è che ogni messaggio ci arriva ormai masticato e digerito da altri, quasi nessuno si accosta alle parole del papa (o di altri) nella loro genuinità... un vero peccato! almeno nel caso di benedetto xvi
francesco
PS insomma cristiano, dobbiamo entrare più in contatto!!!

Cristiano ha detto...

Quando dicevo che i successi del Santo Padre non verranno probabilmente pubblicizzati mi riferivo a fatti come quello dell'apertura del patriarcato di Mosca in seguito ai recenti pronunciamenti del magistero, non alle sue idee latu senso...
Caro don Francesco: lei già provò a spostare una discussione con Eugenia "in privato".
Eugenia, erede dell'atavica diffidenza delle pie fanciulle verso i sacerdoti che le invitavano a conferire "in privato", si è sdegnata e l'ha rimessa al suo posto.
Io non sono tuttavìa una pia fanciulla.
Se c'è un modo per cui di tanto in tanto possiamo farci quattro elettroniche chiacchiere tra di noi ben venga...

Anonimo ha detto...

Riporto un articolo "datato", ma quanto mai attuale di Falsini...
Buona lettura!


Settimana, Settimanale di attualità pastorale, n° 24 del 22 giugno 2003
In merito a una messa celebrata a Roma in Santa Maria Maggiore

Non esiste un rito cattolico di San Pio V!

Cara Settimana,
non avrei immaginato di dover intervenire a distanza di pochi mesi - dopo la commemorazione del 40° dell’inizio del concilio Vaticano II con la “rilettura” della “Sacrosanctum Concilium” come “simbolo della svolta epocale” (cf. “Settimana” 26.01.03, n. 3, pp. 12-13) ­ con una nota di stupore e di amarezza, se non di incredulità e di indignazione, per la manipolazione operata da un illustre porporato del primo documento conciliare, riportato a tutta pagina da “Avvenire” del 25 maggio 2003, p. 17.
Mi riferisco alla messa celebrata in Santa Maria Maggiore a Roma secondo il Messale di Pio V ­ quello che per secoli, prima della riforma conciliare, aveva costituito il rito ufficiale della chiesa romana ­ e, annota il giornalista, non per una operazione nostalgica, ma con autorizzazione pontificia richiesta da un gruppo di fedeli con la duplice intenzione di manifestare la loro comunione con il successore di Pietro e di innalzare per lui, nel 25° di pontificato, una preghiera a Maria nell’àmbito dell’anno del Rosario.
Per questo è stato incaricato di presiedere l’eucaristia il card. Castrillon Hoyos, prefetto della congregazione per il clero e presidente della commissione “Ecclesia Dei”, istituita nel 1988 per facilitare la piena comunione di quanti erano legati alla comunità di San Pio X, fondata dal vescovo scismatico mons. Lefebvre.
Non mi permetto di giudicare l’iniziativa, anche se mi sorprende la risonanza offerta dal giornale della Cei e, di riscontro, il silenzio assordante dell’Osservatore Romano che si è chiuso in un totale mutismo, mentre doveva essere quello il luogo proprio e autorevole di informazione. Ma già nel precedente mio intervento avevo rilevato il distacco della chiesa italiana nei confronti del 40° anniversario del concilio.
Lascio cadere sia il titolo sia anche espressioni del tutto infelici per la benevolenza e somma grazia ­ che taluno ritiene “disgrazia” ­ di attenersi “pro bono pacis” e in attesa di tempi migliori; mi riferisco all’ordinamento rituale espresso dal messale del 1962, precedente la riforma disposta dal concilio perché ritenuto del tutto inadeguato alle esigenze del popolo cristiano come è decisamente e autorevolmente dimostrato dai due documenti di Paolo VI che aprono il Messale del 1970, la “costituzione apostolica” e il “Proemio dell’introduzione”.
Paolo VI ha motivato i maggiori cambiamenti: arricchimento e adattamento in piena fedeltà al passato e in doverosa risposta alle attese pastorali del nostro tempo. Quelle pagine sono aperte a tutti, non si può desiderare maggiore autorevolezza e garanzia.
Non ha senso ed è offensivo parlare di una veneranda ricchezza che conserva, perché quello che era possibile conservare è stato conservato. C’è un vuoto enorme (la mensa abbondante e varia della parola di Dio, oltre le tre nuove preghiere eucaristiche con la duplice epiclesi) e una sconsolata povertà. Basterebbe riconoscere questa differenza tra il Messale di Pio V e quello di Paolo VI per indurre, a dir poco, al silenzio e, se si vuole, al rispetto per persone denutrite e inconsapevoli.
Ma vi è un’affermazione intollerabile che desidero respingere, partendo proprio dalla S. C. 4, quel numero del “Proemio” secondo il quale il concilio “considera sulla stessa base di diritto e di onore tutti i riti legittimamente riconosciuti”. Per questo ­ ha proseguito il porporato ­ l’antico rito romano conserva nella chiesa il suo diritto di cittadinanza nella multiformità dei riti cattolici sia latini sia orientali. Ciò che unisce la diversità di questi riti è la stessa fede nel mistero eucaristico, la cui professione ha sempre assicurato l’unità della chiesa.
Ora, l’affermazione è tre volte falsa.
Primo, perché il numero in questione è stato inserito per sfatare che un rito cattolico sarebbe inferiore, secondo un’opinione comune, a quello romano, mentre tutti i riti legittimamente riconosciuti godono dello stesso onore e diritto. E’ questo il contenuto della “declaratio” annessa allo schema conciliare che, assieme alle altre “giustificazioni”, non fu comunicata ai padri conciliari, provocando un’accesa discussione in seno alla commissione conciliare (ricordo bene l’episodio, descritto nei verbali ancora segreti di cui conservo copia). Si pensava in particolare al rito ambrosiano ma anche a quelli orientali seguiti dai cattolici.
Secondo: il testo prosegue dichiarando che tali riti siano conservati, ma anche incrementati, riveduti nello spirito della tradizione, e venga loro dato nuovo vigore come richiedono le circostanze e le necessità del nostro tempo. Così infatti è avvenuto per il rito ambrosiano e per quello di Braga in Portogallo e ispanico di Toledo.
Terzo: si prospettava la possibilità della formazione di ulteriori riti (ritus agnoscendos) in considerazione dell’adattamento ai paesi di missione di nuove culture (S. C. 39-40).
Comunque, quello in discussione, oggetto delle riforma conciliare, era precisamente quello che oggi viene detto “rito di San Pio V”, che il concilio ha ritenuto del tutto inadatto alle nuove esigenze. La S. C. è il giudizio inappellabile dato dal concilio a proposito del rito espresso dal Messale di Pio V: si tratta di una fase storica del rito romano “trasformato” dalla riforma del Vaticano II. La sua sostituzione con il Messale di Paolo VI è la riprova del suo superamento e della sua estinzione. Non è una questione del rito inteso come espressione della vita di una chiesa, ma semplicemente dell’ordinamento rituale della messa, anche se la concessione al gruppo sembra estendersi anche ad altri ordinamenti rituali.
Un conto è l’accettazione o la tolleranza di un “rito particolare”, ossia di un “ordo”, e magari più di un semplice ordinamento; altro conto è parlare di un rito di San Pio V, anche con la clausola “cosiddetto”; altro conto ancora è dichiararlo del tutto legittimo, con uguale diritto e onore, perché il rito romano legittimo è uno solo, quello tradizionale riveduto e rinnovato dalla riforma del Vaticano II. Se quello precedente ­ detto di San Pio V ­ fosse equiparato al rito romano attuale, ci troveremmo di fronte ad una sconfessione inaudita che nessuno può permettersi. Abbiamo il diritto e il dovere di respingere con forza queste affermazioni irresponsabili.
Supposto che identica sia la fede nel mistero eucaristico, non altrettanto si può dire della sua forma celebrativa (e le differenze non sono da poco); se la prima esprime l’opposizione al Vaticano II pur camuffata dalla comunione con il papa per la sua personale benevolenza, la seconda è dichiaratamente fedele e aperta al concilio Vaticano II non inferiore per dignità e per valore a quello di Trento, anzi che si aggiunge a quello stesso.
R. Falsini

francesco ha detto...

l'articolo di falsini è come al solito competente e appassionato!
ma con una pecca che rischia di inficiare il tutto... e che, a mio parere, è il tallone d'achille di chi "difende" la riforma conciliare
la questione è che i citati documenti di paolo vi (che ho riletto con gusto insieme all'ordo missae del messale del 1962) sono chiarissimi nell'evidenziare non solo la novità del "nuovo" messale, ma soprattutto la continuità con vecchio
sicché, io direi, la vera obiezione che io farei a chi volesse usare il messale del 1962 è: ma è lo stesso del 1970! non è un altro "messale romano"... paolo vi ha fatto un solo errore: ha dimenticato di far inserire prima della suo decreto quelli da pio v a giovanni xxiii...
francesco

francesco ha detto...

ah x cristiano
vuoi che ti posto la mia mail?
o al recuperi dal mio account di google?
francesco

euge ha detto...

Caro Cristiano visto che mi hai tirato in ballo ti rispondo......... non ho rifiutato di parlare in privato se pur elettronicamente con Francesco per una paura atavica verso i preti..... figuriamoci l'ho fatto solo per il semplice motivo, che trovo interessante e costruttivo parlarne in pubblico visto che l'argomento interessa e non poco!!!!!!! non vedo perchè farlo in segreto tutto qui!!!!!! Ho notato che adesso Francesco posta anche in lingua francese chissà...... spera di fare colpo in modo da far apparire i suoi commenti meno duri e meno insignificanti dei suoi ormai famosi e strafamosi no comment???????
Eugenia.
P.s. per Cristiano che vuoi farci il discutere in privato di argomenti che andrebbero trattati alla luce del giorno è una caratteristica di Francesco..... forse si sente più ispirato!!!!!!
Grazie francesco per aver ricordato a paolo VI di aver fatto degli errori........ ma scenda da questo piedistallo per favore!!!!!!!!!!!!
Eugenia

francesco ha detto...

eugenia, non faccia così...
si ricordi: chi disprezza compra...
:-) francesco

Anonimo ha detto...

Mi fa piacere che ci sia qualche persona "saggia" come Francesco... L'articolo di Falsini proposto da "anonimo" è davvero interessante!
Beh, forse Francesco ha ragione...
quello di Paolo VI è lo stesso messale!
Ma espressioni come:
- "si è sentita l'esigenza che le formule del Messale Romano fossero RIVEDUTE e ARRICCHITE" (il maiuscolo è mio)(cost. ap di Paolo VI per la promulgazione del Messale)
- "l'ordinamento rituale della Messa sia riveduto in tal modo che apparisca più chiaramente la natura specifica... e sia resa più facile la più piena e attiva partecipazione dei fedeli" (SC 50)
come le interpretate?

Nella stessa costituzione di Paolo VI con la quale promulga il Messale, al n. 6 si legge: "...è facile rilevare come i due messali romani (quello di Pio V e quello di Paolo VI), benchè separati da quattro secoli, conservino una medesima e identica tradizione...".
MA, al n.14 si legge anche:
"...mentre la Chiesa rimane fedele al suo compito di maestra di verità conservando 'ciò che è vecchio', cioè il deposito della Tradizione, assolve pure il compito di esaminare e adottare con prudenza 'ciò che è nuovo'".

Riguardo all'abolizione o meno del messale di Pio V.
Scondo il can 20 del Codice di diritto Canonico, una legge posteriore abroga la precedente o deroga alla medesima, se lo indica espressamente, o è direttamente contraria a quella, oppure riordina integralmente tutta quanta la materia della legge precedente. e poi una famosa Risposta della Congregazione del Culto Divino del 1999 ci ricorda come la approvazione di un nuovo rito romano (dell'eucaristia come di ogni altra liturgia) conduca inevitabilmente il rito precedente ad essere sostituito da parte del nuovo.
Quindi traete voi le conseguenze...

euge ha detto...

Guardi che lo stesso discorso può valere anche per lei!!!!!!!!!!!!!

Eugenia

Cristiano ha detto...

Caro Gragos, ti consiglio di correre a raggiungere il papa, che sicuramente si ravvederà del suo errore!!!
Comincia pure a preparargli la bozza di una nuova lettera apostolica con cui porrà rimedio alle sviste della Summorum Pontificum...

francesco ha detto...

caro cristiano...
non mi pare che gragos corregga il papa, ma pone il dito su un punto molto fragile del recente motu proprio... come già ho detto un qualche altro post l'idea della non abrogazione non mi sembra molto certa... non ho voluto portare i riferimenti dotti che cita gragos per evitare di fare il "professore", però sono obiezioni serie
francesco

Anonimo ha detto...

Ma che presunzione che c'è da queste parti!!!!!!!!!!!!!!! Mi dispiace ma un conto è esprimere una propria opinione od un punto di vista e un conto è correggere il Pontefice Lei ed i suoi amici caro den Francesco state veramente esagerando!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Che prosopopea e che pienezza di se ........ ma conoscete la parola umiltà??????? oppure non rientra nel vostro vocabolario!?????????????

Anonimo ha detto...

Caro Cristiano,
non è che voglio correggere il Papa... nè tantomeno voglio preparargli una nuova bozza!!!
Ho molta stima del Papa, sia come teologo che come pastore...
Ciò però non toglie il fatto di discutere in maniera "critica" alcuni atti del governo del Papa che non sono materia di fede!!!
X Francesco...
Grazie delle "difese"! Ho visto che stavi in "minoranza" e pensavo di fare cosa utile nel venirti in aiuto... eh, eh...
Riguardo alle citazioni... Bisogna farle senza timori di essere bollati come "professori"! Ogni idea, secondo il mio modesto parere, deve essere supportata da delle fonti, altrimenti è solamente un'opinione...

Anonimo ha detto...

Caro gragos Francesco sa difendersi da solo non preoccuparti!!!!!!!!!!!!!!!!