4 novembre 2007

L’elettricista di Papa Ratzinger...


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L’elettricista di Papa Ratzinger

di Paolo Mosca

IO ero in cima ad una scala, e stavo riparando la lampada della cucina nella casa del Cardinale Ratzinger a Città Leonina. ‘Stia attento, signor Angelo’, mi ripeteva. ‘Sono affezionato a lei, non si faccia male proprio per colpa mia’.
Adesso, da quando è diventato Papa, le riparazioni per lui le faccio qui in negozio, e gliele mando in Vaticano tramite la sua assistente, la signora Ingrid”.
Raccontando l’episodio, l’elettricista Angelo Mosca, settantenne, si commuove nel suo retrobottega di Borgo Pio 53. Ma prima di arrivare a salire su quella scala in cucina, quante ne ha passate? “Tante. Quando sono nato, la zona di Monte del Gallo era malfamata: subito dopo la guerra, tra cento amici, ci siamo salvati dalla prigione in tre o quattro. Facevamo la fame. Papà Claudio era un bancarellaio, vendeva santini in piazza San Pietro; e mamma Annunziata faceva la cuoca e le pulizie nelle scuole. Nel 1949 mi arrangiavo a parlare cinque lingue per aiutare papà a vendere le cartoline per il Giubileo. Lui faceva il burbero, ma la domenica, alle sette e mezzo, mi scopriva il letto. ‘Via a messa!’, mi gridava. Devo tutto a lui e al parroco della chiesa di Monte San Gallo, Don Giuseppe, che mi faceva giocare a calcio nella Gallese”. Come diventa elettricista?
“Fu mia madre, che tra le bancarelle del mercato Cavalleggeri, mi trovò un posto da garzone qui, in questo negozio, a 100 lire al giorno. Dopo aver preso un po’ di scosse elettriche, ho imparato il mestiere. Ma poi nel 1961 ho sposato Vanda, e ci siamo fatti come regalo di nozze questo negozio”. Avete cominciato servendo la Fabbrica di San Pietro. “Sì, quella si occupa dei materiali della Basilica e della Sacrestia, e fino a pochi anni fa la fornivamo. Oggi siamo elettricisti indipendenti di vescovi, cardinali e di Sua Santità”.
Dalla fame, a lavorare per il Vaticano. Un sogno. “Già, ma in mezzo a questa favola, c’è un’emorragia cerebrale di mia moglie, improvvisa, a Fregene. Se ne stava andando. L’ottavo giorno di coma, al Gemelli, i professori la davano per morta. Era la notte del 19 marzo dell’83. L’indomani si apriva il processo per la beatificazione di Padre Pio. Non riuscivo a dormire: ‘Se sei davvero un santo, dicevo a Padre Pio, comincia il tuo processo con un miracolo’. D’istinto, alle due di notte presi un taxi e andai al Gemelli. Dai sotterranei, salii fino al reparto di mia moglie. Incontro un infermiere che si chiama come me, Angelo, che mi dice: ‘Lo sai che pizzicando un piede di tua moglie con una forbicetta, ho visto che reagisce?’. Insomma, operata e guarita perfettamente. Da quella notte sono devoto di Padre Pio, e di frate Daniele, il suo amico più fidato che predisse la nascita di mio figlio”.

L’ha raccontato a Ratzinger? “Svelo un segreto. La signora Ingrid mi fece ricevere in privato per un’ora da lui, che mi ascoltò in silenzio, come un fratello maggiore. Gli confessai il miracolo. Poi lui ha voluto ricevermi con tutta la famiglia”.

Lei si sentiva che Ratzinger sarebbe diventato Papa? “Ogni volta che la signora Ingrid mi portava qualcosa da aggiustare io le facevo lo sconto: costerebbe 30, ma le faccio 25 euro… Verrò a prendere il resto quando il suo cardinale diventerà Papa… Adesso i giovani monsignori che mi portano le stufette da aggiustare, fanno a gara per chiedermi lo sconto: non si sa mai, dicono”.

© Copyright Il Messaggero, 4 novembre 2007

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