3 novembre 2007

Secondo Melloni Giovanni XXIII era contro il Sant'Uffizio


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di ALBERTO MELLONI

«Da ieri sera mi sono fatto chiamare Joannes». Inizia così, con assoluta sobrietà, Pater amabilis. Agende del pontefice 1958-1963
(Istituto per le scienze religiose di Bologna, pp. 567, € 50), il diario da Papa di Giovanni XXIII reso trasparente al lettore dalla fine annotazione di Mauro Velati. Un libro reso «ovvio» dal fatto che semplicemente corona la lunga attività di «diarista» di Angelino Roncalli, che fin da ragazzino impara a scrivere piccole note di vacanza da mostrare ai superiori e che poi continua per 67 anni: ora nei fogli di esercizi che già nel 1964 usciranno come Il Giornale dell'Anima, ora nei quaderni di note quotidiane di cui Giuseppe Alberigo promosse l'edizione a valle del processo di beatificazione e che ora vedono arrivare in libreria questo volume settimo.
Documento, però, a suo modo unico: perché un diario quotidiano di questa portata su un Papa non c'era. Questo registro quotidiano di visite, udienze, colloqui che prolunga quel flusso di informazioni che ormai ci fa sapere quasi tutto su ciò che Roncalli fa e potrà interessare i più diversi lettori. Anche prima dell'uscita del volume di Sergio Luzzatto su Padre Pio l'agenda ci diceva (ora nel testo ora nelle note, sempre sobrie e ficcanti, di Velati) della incomponibilità fra queste due figure del cattolicesimo italiano. Agli studiosi di Moro fornirà spunti importanti per capire le lotte che stanno dietro la scelta di Roncalli d'imporre, anche al di là delle sue soggettive diffidenze, una distanza della Chiesa rispetto ai rapporti Dc-Psi. Agli storici del Concilio fornisce un fitto ordito di incontri e colloqui che aiutano a capire come il Papa, sulla cui origine contadina si scherzava con qualche malizia, fosse stato in grado di concepire quella assise come il «balzo innanzi» nella penetrazione di fede del mistero.
Resteranno a bocca asciutta o quasi i cacciatori di pettegolezzi, quelli che pensano che per fare storia basti un giornalista più un inedito, e quegli storici per cui una revisione val più di mille studi. Questa fonte davvero straordinaria ci dice infatti quasi tutto ciò che solitamente resta inaccessibile alle biografie: ci parla di un Roncalli che indossa per lo più la divisa ecclesiastica più tradizionale, consuma una letteratura spirituale per lo più molto ordinaria, pratica autori per lo più irrilevanti nella storia della teologia del secolo XX. Eppure in quel piccolissimo scarto attinge alla profondità della Tradizione un'audacia cristiana singolare, di cui il Concilio è la cifra più piena: in queste pagine della vecchiaia pontificale Roncalli è bravissimo a mimetizzare, a circoscrivere in pochissime parole che sono quasi un codice cifrato rivolto a se stesso, che è come tale il dato più importante di questa fonte. Faccio alcuni esempi per spiegarmi.
Il 13 giugno 1960 il Papa riceve lo storico Jules Isaac, la cui famiglia era sparita ad Auschwitz. Udienza fortunosamente mediata dagli amici veneziani e decisiva perché per la seconda volta (l'aveva già fatto con Pio XII) Isaac domanda al Papa di spezzare la catechesi del disprezzo per il popolo deicida: l'istanza è accolta, Isaac viene inviato al cardinale Bea e con quel dialogo inizia l'uscita del cattolicesimo da quella confusione che aveva regnato negli anni Trenta e Quaranta. Come lo racconta il Papa alla sua agenda? «Interessante l'ebreo prof. Jules Isaac».
Poco prima, il 18 maggio 1960, L'Osservatore Romano aveva pubblicato un articolo intitolato «Punti fermi», che forniva un
endorsement al governo Tambroni, rinviato alle Camere dopo che le interferenze ecclesiastiche del Sant'Uffizio e del cardinale Giuseppe Siri avevano impedito ad Amintore Fanfani di formare un gabinetto di centrosinistra: articolo che appariva all'esterno come una mossa papale e che invece lo colse di sorpresa e lo irritò non poco. L'agenda? Un cenno appena, il 27 maggio, alle «pene interiori che mi seguono da qualche tempo per le intemperanze del S.O. (Sant'Offizio)».
Più oltre, il 21 novembre 1962, quando il Concilio è arenato su uno schema De fontibus revelationis che in quel plurale latino intende sbarrare la strada al ripensamento della dottrina sulla rivelazione sognato dalla teologia riformatrice, il Papa ordina il ritiro dello schema e riconsegna il tema ad una commissione mista. Anche qui l'agenda è laconica: nulla alla data esatta. E due giorni dopo constata che «la buona corrente ha ripreso il suo alveo naturale. E tutti benedicono il Papa perché vi ha provveduto formando una commissione speciale».
Tutto il resto è come nascosto fra le pieghe del discorso, dove tesi di grande profondità sembrano incisi. Definire la basilica Lateranense «vera sposa del vescovo di Roma » non è un modo di dire, ma una tesi ecclesiologica sulla funzione petrina. Supporre che «faranno piacere a molti» le parole del discorso di Pio XI per il decennale della Conciliazione rimasto sconosciuto per la scomparsa di Papa Ratti, che Papa Giovanni legge ai fedeli il 10 febbraio 1959, è una scelta storico-politica. Affrontare l'idea del primo viaggio d'un Papa in America, anche se con l'esitazione di un ottuagenario («entriamo nel difficile e conviene che ce la intendiamo col Signore»), a valle della visita di Kruscev ad Eisenhower è il frutto d'una concezione politica che farà grande la Santa Sede nel secondo Novecento. Si potrebbe andare avanti, spulciando le 567 pagine di questa opera preziosa. Che alla fine intrigano il lettore, che si chiede il perché dello stile sfuggente, della deliberata sovrapposizione di registri, del linguaggio ora disadorno ora neopascoliano.
E la domanda, in questo caso, coincide con la risposta. Perché l'unica cosa che conta per il cristiano Roncalli, con una serenità e un radicalismo sempre maggiori mano a mano che la sua carriera lo porta sempre più in alto, è di dare per sé e per la Chiesa una priorità effettiva alla confessione di fede, fino a fare di questa l'unica cifra del sé. Una trasparenza al di sotto della quale il dialogo, che sia con una banda paesana o con eroi dell'indipendenza africana, è vissuto con la stessa umiltà: perché da quella umiltà nascono l'audacia di chi rinuncia alla pigrizia d'una fede solo ripetuta e la ricerca di una intelligenza nuova alla luce dei segni dei tempi. Come gli capitava, Pasolini aveva intuito anche questo in una delle beatitudini coniate riflettendo su Roncalli: «Beati coloro che hanno perché possono buttare tutto via», che sono quelli che «sanno cos'è l'amore / e non sono lieti né di averlo né di saperlo; / ma soltanto, con grande stile, di verificarlo negli altri». Non c'è da stupirsi che il passaggio di Giovanni XXIII sia stato epifania dell'aggiornamento, di quel tipo di riforma di cui la Chiesa non smetterà di nutrirsi tanto presto.

© Copyright Corriere della sera, 3 novembre 2007

Come mai Melloni, in ogni articolo, deve prendersela piu' o meno velatamente con il Sant'Uffizio del cardinale Ottaviani e con Pio XII? Abbandonare questa china sarebbe cosa buona e giusta :-)
R.

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