26 novembre 2007

L'attualità dell'enciclica di San Pio X che respinse le tesi moderniste (Zenit)


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L'attualità dell'enciclica di San Pio X che respinse le tesi moderniste

Intervista al prof. Giovanni Turco, docente di Filosofia e Storia

di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 26 novembre 2007 (ZENIT.org).- Si svolgerà a Roma, martedì 27 novembre, il convegno sui cento anni della Pascendi Dominici grecis, l’enciclica in cui Papa San Pio X condannò l’ideologia nota come “modernismo”.
Il convegno, in cui sarà presentato anche il volume “Pascendi Dominici gregis” (Cantagalli, Siena 2007), è stato organizzato dalla Società Internazionale “Tommaso d’Aquino” (SITA) e si terrà alle ore 16:30 presso la Pontificia Università San Tommaso -“Angelicum” di Roma.

L’enciclica “Pascendi Dominici gregis” venne pubblicata l’8 settembre 1907, con il chiaro intento di contrastare quelle filosofie che sostenevano la modificabilità dei dogmi. A fianco dell’enciclica venne pubblicato il Decreto Lamentabili Sane Exitu, contenente la condanna di 61 proposizioni moderniste.

Insieme alle critiche al modernismo, l’enciclica propose un ritorno alla tomistica e sette “rimedi” per combattere quella che definì la “sintesi di tutte le eresie” .

Per saperne di più, ZENIT ha intervistato uno dei relatori al convegno, il professore Giovanni Turco, docente di Filosofia e Storia presso la Scuola militare “Nunziatella” di Napoli e di Storia del pensiero politico presso l’Università Europea di Roma, nonché socio corrispondente della Pontificia Accademia Romana di San Tommaso d’Aquino.

Di che parla l'enciclica “Pascendi Dominicis grecis” ed in quale contesto storico venne pubblicata?

Turco: L’enciclica Pascendi Dominici gregis(8 settembre 1907) costituisce un documento fondamentale per capire non solo il ribollire di tendenze filosofiche e teologiche che hanno costituito una minaccia esiziale per il cattolicesimo degli inizi del Novecento, ma ancor più rappresenta la chiave per intendere l’essenza dei problemi dottrinali che hanno attraversato la cultura, non solo cattolica, durante tutto il secolo appena concluso.
L’enciclica traccia un quadro unitario di un complesso di idee ed atteggiamenti intellettuali (e morali) che sono passati alla storia sotto il nome di modernismo. Il movimento modernista prende l’avvio dalle tesi del protestantesimo liberale, diffuse da Auguste Sabatier, e soprattutto dalle dottrine di Alfred Loisy, Georges Tyrrell, Lucien Labethonnière e Maurice Blondel. In Italia analoghe tendenze furono rappresentate da don Ernesto Buonaiuti e da don Romolo Murri, attorno ai quali si collocano diverse figure di ecclesiastici e di laici.
In tale contesto prese forma uno scritto emblematico, il Programma dei modernisti, apparso anonimo nel 1907, ma in realtà redatto principalmente da Buonaiuti. Si trattò di un orientamento che – anche grazie alle tesi del romanzo di Antonio Fogazzaro, Il Santo – ebbe una cospicua diffusione, particolarmente nell’ambito del clero. Il modernismo si proponeva di “riformare” il cattolicesimo e la Chiesa dall’interno, attraverso una sistematica penetrazione delle sue tesi e l’influenza sempre più forte dei suoi sostenitori.
Da notare, inoltre, che il modernismo ebbe notevoli riflessi anche dal punto di vista della dottrina e dell’azione politica, dando luogo ad un vero e proprio modernismo sociale, che accoglieva – pretendendo di considerarlo criterio ed inveramento della stessa fede cristiana – l’idea della libertà negativa (ovvero della libertà limitata solo dalla libertà, ovvero da nessun criterio) come principio basilare dell’ordinamento politico, ed il democratismo, inteso secondo l’accezione moderna, non come forma di governo, ma come fondamento del governo.
Anche sotto questo versante san Pio X seppe cogliere la profondità dei problemi posti da questo orientamento e prese posizione nei suoi confronti, soprattutto attraverso la lettera Notre Charge Apostolique (25 agosto 1910), con la quale fu condannato il movimento politico-sociale del Sillon.
In questo documento il Papa, di fronte alla prospettiva del democratismo cristiano emblematicamente sostenuto dal sillogismo – che pretendeva di identificare democrazia moderna e cristianesimo – insegna, tra l’altro, che “non vi è vera civiltà senza civiltà morale, e non vi è vera civiltà morale senza vera religione”.

Qual è l'attualità di questa enciclica e perchè avete deciso di celebrarne il centenario?

Turco: L’enciclica Pascendi ha un valore esemplare e profetico. La sua esemplarità è soprattutto legata alla capacità di cogliere l’intima coerenza di un complesso di dottrine radicalmente estranee ed opposte non solo al Cristianesimo, ma ad ogni religione, anzi allo stesso riconoscimento della insopprimibile distinzione tra verità ed errore.
Il documento pontificio, infatti, dopo una introduzione, presenta i sette aspetti della mentalità modernista (il filosofo, il credente, il teologo, lo storico, il critico, l’apologista, il riformatore). A tale quadro analitico fa seguito una visione d’insieme del modernismo – nella sua genesi e nei suoi sviluppi – come punto di convergenza di tutte le eresie.
Il testo si conclude con una precisa indicazione di rimedi dottrinali e disciplinari che il Pontefice indica come essenziali per superare la crisi modernista. Va sottolineato che san Pio X dichiara che a fondamento degli studi teologici va posta la filosofia scolastica e principalmente il pensiero di san Tommaso d’Aquino.
Il carattere profetico dell’enciclica – secondo i due principali significati del profetismo autentico – risiede tanto nella penetrazione del giudizio, al di là di ogni moda culturale e di ogni subalternità psicologica, quanto nella capacità di cogliere le linee di tendenza di posizioni che riprenderanno vigore successivamente, sia pure con altre e mutevoli denominazioni, dalla Nouvelle thèologie, degli anni Cinquanta del '900, al progressismo postconciliare, degli anni Sessanta e Settanta, alla “svolta antropologica”, al “biblicismo” ed alla cosiddetta “deellenizzazione”, degli anni successivi, fino a quella ‘secolarizzazione interna che insidia la Chiesa del nostro tempo’ di cui ha parlato recentemente papa Benedetto XVI.
Celebrare, perciò, l’enciclica Pascendi significa riproporne ed evidenziarne il valore e l’attualità. Anzi, l’attualità che è fondata sul valore stesso del documento. Gli insegnamenti di san Pio X sono attuali perché consentono di capire la radice di errori che hanno alimentato gravi equivoci ed ancor più pesanti errori tanto nell’ambito della filosofia quanto in quello della teologia.

Da essi è derivato quel disorientamento e quella confusione di cui hanno parlato ripetutamente Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Questi, in particolare, ha lamentato la pretesa di alcune correnti teologiche di introdurre una radicale “discontinuità e rottura” nella storia della Chiesa degli ultimi decenni.
San Pio X aveva visto la radice della pretesa modernistica di mutare l’essenza stessa della Rivelazione cristiana, nell’agnosticismo, nel fenomenismo e nello storicismo: insomma, nel soggettivismo che pretende di fare della fede un’esperienza e delle verità da credere una elaborazione ed uno strumento della stessa esperienza soggettiva.
In tal modo la Chiesa avrebbe dovuto, anziché insegnare la verità immutabile della salvezza, conformarsi necessariamente allo “spirito del tempo”. San Pio X coglie nella pretesa incapacità della verità (agnosticismo) la premessa della dissoluzione tanto della ragione quanto della fede. Analogamente Benedetto XVI, cento anni dopo, ricorda che la minaccia più grave che incombe sul nostro tempo è la pretesa dell’inaccessibilità della verità, ovvero la “dittatura del relativismo”.

Quali sono gli argomenti che lei solleverebbe per invitare i lettori ad acquistare il libro “Pascendi Dominicis grecis”?

Turco: Suggerire di leggere un libro significa suggerire di incontrare un messaggio (anzi, in questo caso, una dottrina) ed un autore. Ebbene, credo che tanto dall’uno quanto dall’altro punto di vista sia doveroso invitare con convinzione a leggere questa nuova edizione dell’enciclica Pascendi, corredata da una lucida e puntuale introduzione a cura del professor Roberto de Mattei. Il testo, infatti, conserva intatto il suo rilievo e la sua attualità. Non ha un’importanza meramente storica, ma solidamente filosofica e teologica – nonché dogmatica e disciplinare – necessaria per capire posizioni che, nuove solo all’apparenza, hanno le loro premesse nelle tesi che l’Enciclica condanna.
L’autore, poi, san Pio X costituisce una delle figure più insigni e vigorose, pur se coperto da una sorta di intenzionale “congiura del silenzio”, che la storia della Chiesa abbia annoverato.
L’enciclica Pascendi, nonostante sia un testo molto noto agli studiosi (ed elogiato persino da pensatori che ne rifiutarono l’insegnamento) è di fatto quasi sconosciuto ad un pubblico vasto, potenzialmente interessato a conoscerlo.
Mi riferisco ad esempio agli studenti di discipline filosofiche, storiche e teologiche, oltre ovviamente a docenti ed a cultori di tali studi. Credo, inoltre, che sarebbe una lettura utilissima anche, e particolarmente, per sacerdoti e catechisti, giacché l’impianto rigoroso e la penetrazione dottrinale consentono di attingerne elementi sicuramente formativi per il giudizio e per l’insegnamento.
E tali da porre al riparo da una sia pure inconsapevole ripetizione di errori ed equivoci di detrimento sia per la fede che per la ragione.

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1 commento:

Anonimo ha detto...

Scusa Raffaela se dopo tanto tempo passato senza intervenire, ma non senza seguire il tuo sempre interessantissimo sito, ora torno con un intervento non direttamente inerente all’oggetto (davvero succoso e su cui bisognerebbe meditare a lungo...) di questo post. Anzi più che di un intervento si tratta della richiesta di un consiglio. Secondo quanto stabilito dal Santo Padre Benedetto XVI nel motu proprio Summorum Pontificum, anche in alcune parrocchie della mia diocesi, quella di Pavia, sono state presentate ai parroci le richieste dei fedeli – corredate di firme – per la celebrazione della messa con il rito di san Pio V (nella forma prevista dall’ultima edizione del relativo messale voluta da Giovanni XXIII).
Purtroppo, i primi tentativi si sono infranti di fronte ad uno scoglio illegittimo ma non inaspettato – conoscendo il soggetto – ossia il rifiuto a priori e pure a posteriori, del vescovo locale. Ora io con altri fedeli stiamo ritentando “l’impresa”, in un’altra parrocchia sperando più che altro nel maggior supporto del parroco che riteniamo meno timoroso e supinamente succubo della volontà (nel caso oltretutto non richiesta) del suo diretto superiore gerarchico. La questione si sta rivelando non facile, la notizia dei primi fallimenti o meglio delle prime categoriche bocciature oltre che del rifiuto a priori manifestato fin dall’inizio dal vescovo, ormai si è diffusa, e i fedeli, già tiepidi, ora si dimostrano quasi spaventati e decisi, in nome del rispetto di un’autorità minore e appunto nel caso di specie non legittimamente operante, quella del vescovo, a non considerare l’autorità maggiore e legittima , quella del Sommo Pontefice. Oltretutto, come era da aspettarsi, quanti si oppongono alla messa tridentina stanno subdolamente rendendo ideologica tutta la questione e questo con la scusa – falsa - di opporsi proprio ad una presunta presa di posizione ideologica di quanti richiedono il vecchio rito: è la solita tattica della Modernità, attaccare fingendosi attaccati.
La raccolta comunque prosegue, ma sto già pensando a come parare l’inevitabile colpo che dalla curia sarà inferto per stroncare questa inaccettabile “ribellione” contro i… ribelli (infatti questi individui si sentono legittimati a ribellarsi all’autorità legittima altrui ma pretendono poi rispetto per quella illegittima loro!)
Per questo ti chiedo consiglio su come procedere, vorrei insomma sapere quali sono i modi proceduralmente più corretti e inattaccabili per presentare la domanda e per rispondere al rifiuto quasi certo. So che esiste una commissione cui rivolgere in terza istanza (la seconda dovrebbe essere proprio quella vescovile a seguito del diniego del parroco!) cui presentare tutta la questione, ma concretamente come bisogna agire? Quali accortezze, se le conosci, conviene adottare per rendere insindacabile la richiesta? Esistono prassi ormai consolidate, magari relativamente ai tempi di presentazione, al numero di adesioni ecc.? Scusa se investo te – e anche tutti coloro che possono saperne più di me – di questa faccenda, ma, per motivi che sarebbe lungo spiegare e che tanto tu conosci meglio del sottoscritto e che comunque sono certamente validi se hanno spinto anche il Sommo Pontefice ad intervenire con un atto tanto importante e sofferto, ridare legittima cittadinanza all’interno della Chiesa ad un rito che ne ha segnato la bimillenaria storia è di vitale importanza… almeno per quanti vogliono che questa storia non resti solo… bimillenaria!
Un cordiale saluto a tutti.
Scipione.