27 novembre 2007

Il neocardinale DiNardo (Galveston-Houston) parla all'Osservatore Romano della conferenza per il Medio Oriente e della catechesi negli USA


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(nella foto il cardinale DiNardo con Benedetto XVI)


Il cardinale DiNardo sottolinea il valore dell'iniziativa dei vescovi Usa per la conferenza di Annapolis

Perseverare nella preghiera per alimentare la speranza

Gianluca Biccini

"Quello di Annapolis è un incontro che offre molta speranza. Mi auguro che tutte le parti riunite in questa conferenza internazionale si adoperino con solerzia per una risoluzione che assicuri una pace effettiva nella regione mediorientale". Così il nuovo cardinale statunitense Daniel N. DiNardo si unisce all'appello lanciato dal Papa all'Angelus di domenica 25 novembre, alla vigilia dell'apertura dei negoziati tra israeliani e palestinesi.
Benedetto XVI ha ricordato la giornata di preghiera indetta per l'occasione dall'episcopato Usa. È un'iniziativa che si inserisce nel cammino che la Conferenza episcopale del paese ha intrapreso già da diversi decenni per promuovere la pace in Terra Santa. Negli anni più recenti i presuli insieme ai leader religiosi ebrei, cristiani e musulmani hanno dato vita alla National interreligious leadership initiative for peace in the Middle East proprio per sostenere la soluzione pacifica al conflitto. L'arcivescovo di Galveston-Houston - che è in Vaticano dalla scorsa settimana per il Concistoro durante il quale il Papa lo ha elevato alla dignità cardinalizia - sottolinea in un'intervista a "L'Osservatore Romano" il valore della giornata e parla della sua esperienza pastorale nell'arcidiocesi texana.

Come ha risposto la comunità ecclesiale del Paese all'invito alla preghiera da parte dei vescovi?

Anche dalle notizie che ho appreso qui in questi giorni, mi risulta che ovunque negli Stati Uniti comunità parrocchiali e singoli cattolici stiano pregando secondo le indicazioni dei presuli, perché divenga concreta la prospettiva di pace fra i due popoli israeliano e palestinese.

Ma che valore può avere la preghiera di fronte ad un'iniziativa eminentemente politica?

Ha un grande valore, anche per il futuro. Siamo chiamati a perseverare nella preghiera, continuando ad affidare a Dio la nostra speranza di pace anche nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Noi speriamo che la conferenza di Annapolis promuova ulteriori effettivi colloqui di pace nella regione.

Lei è il primo porporato del sud degli Stati Uniti. Come ha accolto la scelta di Benedetto XVI?

Tra gratitudine, stupore e sorpresa. Per il Texas è una grande gioia, che corona la crescita impetuosa della Chiesa locale in questi ultimi venti anni.
È una crescita che riflette anche quella nel campo demografico.
Evidentemente sì. Oggi nell'arcidiocesi di Galveston-Houston, nel sudest del Texas, ci sono quasi 1.400.000 cattolici: si tratta soprattutto di immigrati dall'America latina, ma anche dal centro America, ai quali si uniscono filippini, coreani, vietnamiti e giovani provenienti dall'area del Pacifico. La popolazione cattolica è quasi raddoppiata. Su oltre cinque milioni di abitanti i cattolici rappresentano il 23%; vent'anni fa erano il 12%. A Houston ci sono università, ospedali, possibilità di lavoro per tutti. Siamo una comunità proiettata verso il futuro.

Quali sono le radici storiche della presenza della Chiesa?

A Galveston, isola nel golfo del Messico, fu istituita la prima diocesi del Texas il 4 maggio 1847. Nel 1900 fu distrutta da un terribile uragano, uno dei più grandi disastri naturali nella storia degli Usa, ma la cattedrale rimase in piedi. Galveston ha oggi 55 mila abitanti mentre continuava la crescita di Houston, tanto che nel 1959 è stato aggiunto il secondo nome alla diocesi. Nel dicembre 2004 l'elevazione a sede metropolitana.

Quali sono le priorità pastorali del suo ministero?

La catechesi anzitutto. Ci sono molti giovani che chiedono la Cresima, ma non bisogna pensare che accada come in Italia, in cui è quasi normale per i ragazzi ricevere il sacramento durante l'adolescenza. Noi lo facciamo verso i sedici-diciassette anni dopo una catechesi integrale e coerente, perché senza una formazione completa le nuove generazioni rischiano di finire nelle mani di gruppi fondamentalisti, sette o telepredicatori.

(©L'Osservatore Romano - 26-27 novembre 2007)

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