19 aprile 2008

Benedetto e Bush, cordialità nella diversità (Valli)


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Benedetto e Bush, cordialità nella diversità

ALDO MARIA VALLI

Washington

Benedetto e Bush grandi alleati. Verrebbe da concludere così dopo questi primi giorni della visita negli Usa. Non solo per i sorrisi e l’atmosfera di festa sul prato della Casa Bianca.
Il papa ha reso omaggio a questo paese per la democrazia fondata su valori morali e religiosi. E il presidente ha detto grazie al capo della Chiesa cattolica per la sua battaglia di libertà in un mondo che non sa più distinguere tra bene e male.

Però tra le righe emergono anche le differenze. Benedetto raccomanda all’amministrazione americana di mettere d’accordo la storica preoccupazione Usa per le sorti del mondo con le esigenze della diplomazia internazionale. E quando Bush sottolinea che in America fede e ragione stanno insieme, sembra dire a Benedetto e alla Santa Sede: anche se a volte i nostri metodi non vi piacciono, lasciateci fare, è nel vostro interesse oltre che nel nostro.

Schermaglie a parte, Benedetto è felice di essere qui e gli americani sono contenti di averlo come ospite. E tuttavia Ratzinger, pugno di ferro in guanto di velluto, non fa sconti. In questa democrazia, dal suo punto di vista, il secolarismo si sta spingendo troppo in avanti e si fa strada perfino nella Chiesa.
Ai vescovi Usa ha detto che non è ammissibile andare a messa la domenica e poi comportarsi secondo una morale che di cristiano ha ben poco.

Richiamo alla coerenza per pastori che, a giudizio del papa, sono troppo accondiscendenti nei confronti della cultura dominante.

Davanti ai vescovi ha parlato anche dei bambini e della pedofilia. Situazione spesso gestita in pessimo modo, ha detto il presidente della conferenza episcopale Usa. È vero, ha risposto il papa, ma adesso andiamo avanti. Ora che il viaggio entra nella fase centrale, con il discorso alle Nazioni Unite e poi la visita a Ground Zero, il pellegrino Ratzinger appare sempre di più come un interlocutore interessante e credibile per la cultura americana di ogni orientamento e colore. Le sue parole sono seguite con attenzione dai mass media, le televisioni dedicano ore e ore al suo viaggio e i commentatori riempiono pagine. Qualche mese fa sembrava impossibile.
Adesso invece gli Stati Uniti si lasciano interpellare.
Fra i tanti messaggi che il papa ha ricevuto c’è quello di Michael, dieci anni, che gli scrive: «I know you believe in God». Beata innocenza. Ma in fondo il bambino Michael ha colto nel segno.

Questo papa coinvolge perché è credibile. Il messaggio che porta non lascia indifferenti.

In una società che trasforma tutto in immagini e le digerisce in tempi ultrarapidi per passare subito a un altro argomento, è come se il pellegrino Ratzinger imponesse a tutti di rallentare e di fare una pausa. La riflessione suggerita a ogni passo è la seguente: cari americani, proprio perché siete innamorati della libertà, dovete sapere che la libertà è un dono fragile. Può degenerare facilmente.

Può perdere l’anima. Per questo il viaggio, lo si può già dire, segnerà una tappa storica. Non solo del pontificato, ma anche della stessa transizione americana verso il dopo Bush. Che nel domani del grande paese ci siano Obama, Hillary o Mc Cain, la riflessione dell’intellettuale tedesco va meditata.

L’americano tipico, bianco e protestante, abituato a guardare al papa e ai suoi seguaci con malcelato complesso di superiorità, si accorge che dalla Chiesa cattolica arriva oggi una lezione non trascurabile: che fine fa la libertà, che fine fa la democrazia se le anime sono svuotate? In aereo, in volo da Roma, Benedetto ha dimostrato di aver mandato a memoria la lezione di Tocqueville, un altro innamorato della libertà e quindi dell’America. Un altro che ha ancora molto da dire.

© Copyright Europa, 18 aprile 2008 consultabile online anche qui.

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