24 maggio 2007
Una riflessione basata su un fatto di cronaca...
Vedi anche:
IN EVIDENZA: Il documentario della BBC dice il falso: ecco le prove!
Saggio di teologia ratzingeriana
Cari amici, non sapevo se riportare o meno la notizia perche' concerne un processo penale conclusosi sfavorevolmente per l'imputato.
Si tratta, pero', da cio' che si intuisce, del procedimento di primo grado. Ricordiamoci, dunque, che ogni persona e' innocente finche' non si e' esaurito l'ultimo grado di giudizio.
Comunque mi sembra importante segnalare quanto segue al fine di comprendere meglio l'atteggiamento del Vaticano nei confronti della piaga della pedofilia.
Non so quale fosse l'intento dei giornali ma hanno dato una grossa mano alla nostra causa :-)
Se, al contrario, l'intento era quello di screditare la Chiesa, beh, siamo di fronte ad un autogol...
Agli articoli segue il mio commento.
Raffaella
Abusi, dodici anni a un sacerdote
MILANO — Dodici anni di carcere per ripetuti abusi sessuali su minorenni e detenzione di materiale pedopornografico: il missionario in Nicaragua don Marco Dessì, 59 anni, da mesi sospeso a divinis dal Vaticano, è stato condannato ieri con rito abbreviato dal gup di Parma. Il pm aveva chiesto 16 anni. L'accusa ha ricordato «le prove schiaccianti» che testimoniano come il prete abbia abusato di tre bambini di un coro da lui fondato e di orfanelli ospitati nella missione di Chinandega.
Corriere della sera, 24 maggio 2007
Don Marco Dessì condannato per pedofilia
Mauro Lissia
Il missionario di Villamassargia riconosciuto colpevole: 12 anni di carcere PARMA. Dodici anni, quattro in meno di quanti ne aveva chiesto il pubblico ministero Lucia Russo. Ma il riconoscimento pieno di una responsabilità che migliaia di persone in Nicaragua, i familiari, i fedeli di don Marco Dessì (59 anni) mettevano fortemente in dubbio. Ora c’è una sentenza, la prima della serie: il sacerdote-missionario di Villamassargia, sospeso a diviniis dal Vaticano, è colpevole di violenza e molestie sessuali su minorenni, oltre che di possesso di materiale pedopornografico. I casi accertati dall’inchiesta giudiziria e finiti agli atti del processo sono almeno sei e tre dei ragazzi, oggi maggiorenni, dovranno essere risarciti con centomila euro ciascuno a titolo di provvisionale immediamente esigibile.
Un euro il risarcimento simbolico assegnato dal giudice Roberto Spanò alle associazioni Rock no War e Solidando che insieme al comune di Correggio hanno denunciato alla procura di Parma i fatti avvenuti nella comunità di Betania, a Chinandega nel Nicaragua. Il missionario ha mantenuto sino alla fine la linea del silenzio: quando, alle 14.30, il giudice dell’udienza preliminare ha letto il dispositivo della sentenza è rimasto a testa bassa, lo sguardo verso il pavimento. Non ha detto una parola, si è limitato a tendere i polsi in direzione dei carabinieri e stretto fra cinque militari dell’Arma si è infilato nel furgone che l’ha riportato nel carcere di via Burla. I familiari e poche altre persone, che avevano atteso il verdetto davanti all’ingresso principale del palazzo di giustizia, hanno fatto appena in tempo a ripetergli le solite frasi di incoraggiamento: siamo con te, abbi fede, non avere paura. Lui ha risposto con uno sguardo appena percettibile.
I contenuti tecnici della sentenza emessa dal gup di Parma dopo tre udienze con il rito abbreviato potranno essere valutati soltanto al deposito. Di certo il giudice Spanò è partito da una pena di diciotto anni, ridotta di un terzo grazie al rito. Del conto fanno parte tutte le aggravanti richieste dall’accusa e non compare neppure un’attenuante. Con ogni probabilità il gup ha ritenuto di non applicare le pene massime previste dal codice ed è questa la sola divergenza rispetto alle conclusioni del pm Russo. Il magistrato dell’accusa - che si è fermata a lungo con i cronisti subito dopo la sentenza, nell’ufficio del procuratore capo - ha peraltro definito la pena «severa, che dev’essere accolta con rispetto». E severa è stata la requisitoria condotta dal magistrato dell’accusa l’altro ieri, quando in un’ora e mezzo ha ricostruito con puntiglio i passaggi chiave di un’inchiesta che la Procura di Parma ha mandato avanti con la massima determinazione.
Sarà la motivazione del giudice a chiarire gli aspetti centrali dell’impianto accusatorio che ha portato don Dessì alla condanna. I punti caldi sono comunque quelli illustrati dal pm nella discussione: sei casi di violenza accertati - anche con la collaborazione del Vaticano - di cui tre nei confronti di ragazzini del coro di Getsemani. Sei casi in un arco di tempo indefinito, che potrebbe abbracciare i quasi trent’anni di attività svolta da don Marco Dessì in Nicaragua. L’indagine, partita dalla denuncia delle due onlus e del comune di Correggio - che hanno sostenuto finanziariamente per anni la comunità per orfani e ragazzi disagiati a Chinandega - ha trovato conferme inoppugnabili, a giudizio dell’accusa, negli incidenti probatori svolti «in pieno contradditorio fra le parti» e in una sequenza ininterrotta di testimonianze dirette e indirette. Don Marco - ora c’è la conferma di una sentenza - era un sacerdote a due facce: raccoglieva fondi e organizzava l’assistenza ai ragazzi ma li usava come oggetti per dare sfogo alle sue inclinazioni sessuali particolari. I racconti agli atti del procedimento sono raccappriccianti, gli stessi ispettori del Vaticano hanno dovuto prenderne atto fino a sospendere il missionario, ancora prima che arrivasse la sentenza del tribunale di Parma. Il quadro definito nel processo riporta a violenze sessuali piene, compiute almeno a partire dal 1999: quanto avvenuto prima è prescritto. Poi molestie sessuali ripetute negli anni, con i ragazzi costretti a subire ogni volontà del sacerdote che si autoproclama loro creatore e dominus assoluto. Poi il materiale pedopornografico: nel computer di don Marco sono state trovate 1440 file compromettenti ed è stato il pm Russo a confermare che il prete ha continuato a scaricare foto di bambini sino a due giorni prima dell’arresto, avvenuto il 4 dicembre dell’anno scorso. Infine le intercettazioni, dove l’accusa ha trovato le conferme di una personalità diversa da quella conosciuta e osannata a livello internazionale: don Dessì ha cercato di bloccare l’inchiesta del Vaticano e quella della magistratura ordinando di corrompere chi l’accusava.
Nelle conversazioni registrate si parla di tentativi da compiere ai piani alti del potere nicaraguense per annacquare le prove, c’è una sequenza di conversazioni con l’alter ego di don Marco a Chinandega in cui emerge chiaramente un’organizzazione dedita al business più che all’assistenza degli orfani. Abbastanza per il pubblico ministero - ed ora anche per il primo giudice - per arrivare a una condanna esemplare.
La Nuova Sardegna, 24 maggio 2007
L'Avvocato Scarpati: "Don Dessì condannato per pedofilia anche grazie al Vaticano"
ROMA - ''E' confortante vedere in un momento di grande crisi, dopo le polemiche suscitate dal documentario della BBC sui preti pedofili, l'atteggiamento positivo del Vaticano. Quella contro Don Dessi' e' stata una sentenza vinta anche grazie alla grande collaborazione della Chiesa, che ha svolto un ruolo importantissimo nella ricerca della verita'''. E' il commento dell'avvocato Marco Scarpati, difensore dei tre ragazzi nicaraguensi vittime degli abusi sessuali di Don Marco Dessi' (nella foto, ammanettato tra gli agenti di custodia), il missionario condannato ieri dal tribunale di Parma a dodici anni con rito abbreviato e costretto a risarcire le vittime con centomila euro ciascuno. ''Fin dall'inizio del Processo - prosegue l'avvocato che e' anche presidente dell'associazione Ecpat Italia contro lo sfruttamento sessuale dei minori - la Chiesa ha dimostrato un buon approccio, sostenendo, economicamente e spiritualmente i tre ragazzi vittime delle violenze sessuali di Don Dessi'. E questo atteggiamento ha sicuramente influito positivamente in tutti i momenti processuali fino alla decisione finale''. ''Quella di ieri - ha concluso Scarpati- e' stata una sentenza importante, sia per la giustezza della pena inflitta , sia perche' il Tribunale di Parma ha applicato in pieno la legge 38-06 che punisce i reati sessuali contro minori commessi anche fuori dai confini i nazionali, a stessa che pochi mesi fa aveva permesso di condannare il pedofilo veronese Giorgio Sampec a 14 anni di reclusione per i reati sessuali contro minori commessi in Thailandia''.
Petrus
Che cosa deduciamo da questa brutta storia?
Mi sembra ovvio: non solo il Vaticano non insabbia le inchieste ma, addirittura, collabora con la magistratura ordinaria (ricordo a tutti che non vi e' alcuno obbligo per il cittadino di denunciare un reato salvo che esso sia punibile con l'ergastolo).
Inoltre la sospensione "a divinis" e' intervenuta prima della sentenza della magistratura, a dimostrazione del fatto che la congregazione della dottrina della fede opera molto velocemente.
E' ragionevole supporre che, ora, si apra il procedimento per la riduzione allo stato laicale di questo sacerdote.
Questo e' solo uno dei tanti esempi che si possono fare: nessuna volonta' di insabbiamento, anzi: celerita' e serieta' dell'inchiesta, proprio come prevedono il motu proprio di Giovanni Paolo II e l'epistola dell'allora cardinale Ratzinger...guarda caso!
Santoro parlera' di questo fatto di cronaca emblematico?
Raffaella
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