27 maggio 2007

Rassegna stampa del 27 maggio 2007


Vedi anche:

IN EVIDENZA: appello contro il documentario della BBC

Il Papa ai giovani imprenditori: salvaguardare l'occupazione


Buona domenica e buona Pentecoste a tutti :-)
Oggi e' una grande festa per tutti i Cristiani: viviamola nella gioia e nella serenita'.
In questo post viene segnalata la prima "ondata" di articoli odierni
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Raffaella


L'appello

Papa Ratzinger agli imprenditori: salvate il lavoro

MILANO — Il Papa invita gli imprenditori a «salvaguardare l'occupazione, in particolare dei giovani», e ricorda loro che «operare in favore delle famiglie significa contribuire a rinnovare il tessuto della società e assicurare la base anche di un autentico sviluppo economico». Benedetto XVI ha ricevuto ieri i giovani imprenditori di Confindustria (nella foto, con il loro presidente Matteo Colaninno) e ha insistito tra l'altro sulla «importanza della famiglia fondata sul matrimonio quale elemento portante della vita e dello sviluppo della società»

Corriere della sera, 27 maggio 2007

Che sforzo da parte del Corriere...


Ratzinger: il profitto non è l´unico criterio di scelta. E ai politici: "Aiuti ai nuclei fondati sul matrimonio"

Appello del Papa agli imprenditori "Salvaguardate l´occupazione"

"E´ indispensabile che l´obiettivo dell´economia sia il bene comune"

ORAZIO LA ROCCA

CITTÀ DEL VATICANO - «Anche in questa fase di crisi economica, l´obiettivo primario delle aziende deve essere sempre la salvaguardia dell´occupazione, specialmente quella giovanile». Dai temi alti della teologia ai problemi sociali, con «particolarissima» attenzione ai «giovani in ricerca di lavoro». E´ il simbolico salto che compie a sorpresa papa Ratzinger parlando - ieri in Vaticano - ai Giovani Imprenditori della Confindustria guidati dal presidente Matteo Colaninno, ai quali ricorda i capisaldi della dottrina sociale della Chiesa e una delle encicliche sociali più celebri di Giovanni Paolo II, la Sollicitudo Rei Socialis, senza tuttavia dimenticarsi di parlare ancora della «famiglia fondata sul matrimonio», dipinta come «elemento portante della vita e di tutta la società».
«E´ indispensabile - sostiene il Papa, ricollegandosi al convegno dei Giovani imprenditori sull´´Economia dell´uomo´ del 2006 - che il riferimento ultimo di ogni intervento economico sia il bene comune e il soddisfacimento delle legittime attese dell´essere umano. La vita umana e i suoi valori devono sempre essere il principio e la fine dell´economia». E´ solo «in questa ottica», avverte Ratzinger, che «assume il giusto valore la funzione del profitto, quale primo indicatore del buon andamento dell´azienda», per la quale il «patrimonio più prezioso» sono sempre i lavoratori. Ed ancora: «L´attività lavorativa torni ad essere l´ambito nel quale l´uomo possa realizzare le proprie potenzialità ponendo a frutto capacità e ingegno personale». Un obiettivo - secondo il Papa - legato «in gran parte proprio agli imprenditori... «, pur ammettendo che «tutto questo non è facile» per l´attuale crisi del mondo del lavoro. Tuttavia, Ratzinger si dice «certo» che «gli stessi imprenditori non risparmieranno i loro sforzi per salvaguardare l´occupazione lavorativa, in particolar modo dei giovani, i quali per costruire il proprio avvenire con fiducia debbono poter contare su una fonte di sostentamento sicura per sé e per i propri cari». Analoghi appelli Ratzinger aveva lanciato il 19 marzo scorso, per la festa di S. Giuseppe patrono dei lavoratori, seguito, il 30 marzo, da un appello-denuncia contro l´«emarginazione lavorativa e lo sfruttamento» inviato al Forum internazionale dei giovani cattolici di Rocca di Papa, presso Roma.

Repubblica, 27 maggio 2007


Il Papa esorta gli industriali: «Tutelate l’occupazione»

— CITTÀ DEL VATICANO —

RIDISEGNA un’economia dal volto umano, il Papa. Lo fa parlando ai giovani imprenditori di Confindustria ricevuti nella Sala Clementina del Palazzo apostolico. Agli industriali guidati da Matteo Colaninno, Benedetto XVI ha infatti più volte ricordato l’importanza della «centralità dell’uomo» anche nel business. E non ha risparmiato alcuni, ricorrenti, moniti.
«Salvaguardare l’occupazione», soprattutto giovanile, nonostante «il mondo del lavoro sia segnato da una forte e persistente crisi». Ecco la frase più ripetuta. Ricordate, ha chiarito agli imprenditori papa Ratzinger, che «il profitto non è l’unico criterio per le aziende». Soprattutto per «assicurare un autentico sviluppo economico». Tuttavia — proprio nel giorno di chiusura della conferenza sulla famiglia voluta da Rosy Bindi — Benedetto XVI non ha rinunciato nemmeno a riprendere il tema più citato dalla ‘minaccia’ dei Dico in avanti: «La famiglia fondata sul matrimonio — si è più volte soffermato il Pontefice — è l’elemento portante della vita e dello sviluppo della società. Operare in favore delle famiglie — è il ragionamento — significa contribuire a rinnovare il tessuto sociale e assicurare le base anche di un autentico sviluppo economico». In altri termini, la vita umana e i suoi valori devono sempre essere il «principio e la fine dell’economia».
E, MENTRE Sua Santità, ieri, stringeva la mano ai nomi più giovani dell’imprenditoria italiana, il presidente del Pontificio comitato di scienze storiche, insieme con il Cnr, ha firmato un ‘Manifesto’ indirizzato all’Europa per riprendere un altro tema già battuto dal Vaticano: la necessità di preservare le lingue classiche, in particolare il latino.

Quotidiano nazionale, 27 maggio 2007


BERTONE il mestiere di vescovo

Tra la gente È un pellegrino che cammina con tutti. È in grado di reagire alle situazioni più drammatiche: si impegna non solo per le persone ma anche per lo sviluppo della città terrena

Per i cristiani ogni terra straniera è patria, e ogni patria è terra straniera

TARCISIO BERTONE

Che cos’è una comunità? Il nome deriva dal concetto dei «munera» romani. Munus per i nostri lontani avi era obbligo-dovere, ma anche dono-presentazione volontaria in un progetto di vita caratterizzato da un’etica che ha come fine il bene comune. La Chiesa che vive «nel cuore della città», vive accanto alle sue famiglie, nel cuore delle istituzioni, dentro il flusso della vita quotidiana, feriale e festiva, del lavoro, del progresso, della cultura, della civiltà di quella data terra. I cristiani nella città dell’uomo, sono concittadini e dunque corresponsabili in tema di pace, di socialità, di educazione delle nuove generazioni, di cultura, in un servizio disinteressato all’uomo e al suo destino. Con quel timbro di profezia che il cristianesimo offre nel considerare i valori fondamentali, perché, è bene dirlo chiaramente, in tema di difesa della vita in ogni momento del suo sviluppo dal concepimento alla morte, non sempre si trovano promotori al di fuori dalla severa e ferma dottrina della Chiesa.
Con tutta chiarezza Benedetto XVI sottolinea che «la società giusta non può essere opera della Chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica. Tuttavia l’adoperarsi per la giustizia lavorando per l’apertura dell’intelligenza e della volontà alle esigenze del bene la interessa profondamente» (Deus caritas est n. 28). Formare le coscienze, educare alle virtù individuali e politiche è compito fondamentale della Chiesa, e i laici cattolici non possono eludere il loro compito di essere presenti nei luoghi dove si formano i consensi per l’instaurarsi di una società più giusta.
I cristiani diventano allora coscienza critica nella città. Il Vangelo diventa quel faro dal quale attingere la luce per una concordia costruttiva e dialettica nell’unità, per illuminare il buio dei dissidi e delle difficoltà familiari e sociali, per far crescere il rispetto reciproco e la perseveranza nell’amore. La Chiesa chiede alla città di non trascurare questa voce e di ascoltarla attraverso le donne e gli uomini cristiani che la abitano, compresi naturalmente i pastori. (...)
Teologicamente la figura del Vescovo è ben delineata nella storia della Chiesa universale e delle singole Chiese locali. Egli è successore degli Apostoli e assicura la continuità del mandato di Cristo nel corso dei secoli come ministro della Parola, della liturgia, del governo come pastore proprio della porzione del popolo di Dio che gli è affidata.
Il Vescovo è un pellegrino che cammina insieme a tutti, immergendosi con discrezione dentro la dimensione quotidiana, con i suoi chiaroscuri di gioia e di sofferenza, per cercare una sintesi più alta, illuminata dalle istanze del Vangelo. Egli si definisce in relazione con una data diocesi: in tutte le positività, le ambiguità, le contraddizioni proprie di ogni contesto, in grado di reagire alle provocazioni più drammatiche con continuità di impegno civile e morale.
Un esempio conosciuto da noi è quello di Sant’Eusebio, la cui figura è stata trattata in Convegni di alto livello, alcuni dei quali da me promossi durante il mio ministero vescovile in questa città.
Sant’Ambrogio offre una preziosa testimonianza nei confronti di Eusebio che esprime la singolarità del rapporto che lega il vescovo alla sua città: un rapporto dialettico, che richiama per alcuni aspetti espressioni come quelle dell’antico scritto «A Diogneto», secondo cui i cristiani - pur abitando le loro città come tutti gli altri cittadini - offrono l’esempio di una «cittadinanza paradossale», per loro, infatti, ogni terra straniera è patria, e ogni patria è terra straniera. Così Eusebio - sardo di nascita e romano di formazione -, mentre fa sua la sancta plebs di Vercelli, vive in mezzo alla città come un monaco. (...).
Un altro elemento interessante è fornito dal commiato della famosa Lettera ai Vercellesi e ai Piemontesi dove Eusebio chiede ai suoi figli e alle sue figlie di salutare etiam eos, qui foris sunt et nos dignantur diligere: segno evidente che il rapporto del vescovo con la sua città non era limitato alla popolazione cristiana, ma si estendeva anche a coloro che - al di fuori della Chiesa - ne riconoscevano in qualche modo l’autorità spirituale.
Come Gesù ha amato Gerusalemme, la sua città, così il Vescovo si adopera a donare tutto se stesso per la salvezza delle persone a lui affidate, ma anche per contribuire allo sviluppo della città terrena.
L’esperienza della successione dei Vescovi di Vercelli lo dimostra: nella sua storia bimillenaria si è consolidata: 1) una solida alleanza col Cristianesimo; 2) un rapporto fecondo fra Chiesa e società; 3) un rapporto fecondo e positivo tra Chiesa e mondo del lavoro e della cultura.
Dalla memoria gloriosa e meritoria, il passaggio all’oggi e al futuro è obbligatorio e impegnativo. Non possiamo, oltre lo sviluppo di tipo economico, industriale e lavorativo, la lotta alle forme di disagio sociale, il giusto rapporto con gli extracomunitari, l’attenzione alla qualità della vita, non ricercare ed offrire i valori morali e spirituali più profondi: il vero, il bene, il bello, il giusto, il gratuito, l’onestà, l’amicizia, la solidarietà, la saggezza, l’apertura all’infinito e all’eterno di Dio. E’ questa una urgenza che non riguarda solo ogni singola persona, nella sua coscienza, ma la comunità e dunque la città, come ricorda a tutti noi Vescovi e ai profeti l’appello di Giona: «Alzati, va a Ninive la grande città, e in essa proclama...» (Giona 1,2).
Se le prospettive poste da questa mia conversazione possono sembrare ardue, concludo con una citazione di Claudio Magris tratta dal suo libro dal titolo suggestivo: Utopia e disincanto. Dice: «La fine e l’inizio di millennio hanno bisogno di utopia e disincanto. Il destino di ogni uomo, e della Storia stessa, rassomiglia a quello di Mosè, che non raggiunse la Terra Promessa, ma non smise di camminare nella sua direzione. Utopia significa non arrendersi alle cose così come sono e lottare per le cose così come dovrebbero essere; sapere che il mondo, come dice un verso di Brecht, ha bisogno di essere cambiato e riscattato... Utopia e disincanto, anziché contrapporsi, devono sorreggersi e correggersi a vicenda... Il disincanto, che corregge l’utopia, rafforza il suo elemento fondamentale, la speranza... che rischiara il grigiore del presente...». E la speranza, ricordiamolo, è una virtù tipicamente cristiana, da coltivare incessantemente!

Questo testo è una parte del discorso che il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, ha pronunciato ieri mattina a Vercelli, nel corso della cerimonia in cui gli è stata conferita la cittadinanza onoraria della città

La Stampa, 27 maggio 2007


“Il dialogo fra le religioni è una sfida per la Chiesa”

Il Segretario di Stato

ALAIN ELKANN

Prima della cerimonia di conferimento al cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, della cittadinanza onoraria di Vercelli il Sindaco Andrea Corsaro e l'assessore alla Cultura Pier Giorgio Fossale hanno organizzato un dibattito sul «dialogo interreligioso». Il moderatore era Carlo Rossella. Vi hanno partecipato, oltre a chi scrive, Magdi Allam, Monsignor Felix Machado, sottosegretario del Pontificio collegio per il dialogo interreligioso.
Il cardinale Bertone ha risposto ad alcune domande.

Eminenza, che cosa ha significato per lei ricevere la cittadinanza onoraria di Vercelli?

«E' un riconoscimento all'attività svolta come vescovo e dell'impatto positivo che ho avuto con la città. Questa ha reagito bene. Mi sono molto adoperato per la venuta della facoltà di lettere e filosofia e la facoltà di ingegneria qui a Vercelli. I cittadini erano contenti del fatto che io abbia svolto un'azione diretta. Mi piace molto questo riconoscimento perché Vercelli è stato un tirocinio importante per il successivo passaggio alla grande città di Genova e quindi all’attuale esperienza romana che è più universale. Ho la sensazione di aver aiutato le comunità locali ad aprirsi alla trascendenza e a non chiudersi su se stesse».

Ha scelto come tema di dibattito prima del conferimento della cittadinanza onoraria il dialogo interreligioso. Perché?

«Calare i principi del dialogo a livello delle famiglie è una sfida e un tema cruciale per la Chiesa dal punto di vista sia dottrinale sia pastorale. È interessante che la Chiesa dopo il discorso di Benedetto XVI a Ratisbona abbia rilanciato il dialogo anche con le autorità politiche e religiose di altre religioni. Verrà nuovamente istituito il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso come dicastero a sé stante mentre prima era stato accorpato al Pontificio Consiglio per la cultura. Quest’ultimo invece incorporerà in un’unico dicastero il Pontificio Consiglio per i beni culturali della Chiesa. Il cambiamento dimostra l'importanza del dialogo interreligioso per la segreteria di stato.

Il conflitto tra laici e religiosi le sembra molto profondo oggi in Italia?

«Certamente attinge a prospettive che toccano la visione della società, ma mi sembra che ci siano anche dialogo e convergenza. Se non c'è troppa ideologizzazione i soggetti pensanti possono incontrarsi e lavorare insieme per il bene comune. I mezzi di informazione tendono ad accentuare la spaccatura e i conflitti. Io raccomando sovente agli esperti di mettere in rilievo il lavoro comune e di non sottolineare solo gli elementi di frizione».

La Stampa, 27 maggio 2007


Caro Papa, l'impresa "buona" pensa solo al profitto

di IURI MARIA PRADO

«L'impresa non pensi solo al profitto». Così ieri qualche agenzia di stampa dava notizia del discorso tenuto dal Papa ai giovani imprenditori di Confindustria. Slogan infedele, perché Benedetto XVI non l'ha messa davvero in quel modo grossolano. E tuttavia l'idea che l'impresa sia chiamata in qualche maniera a «fare del bene» e non soltanto profitto, così che l'esclusività del profitto costituirebbe una specie di male, questa è un'idea che persiste ed era ben insinuata anche nell'orazione papal-confindustriale di ieri. Idea piuttosto antica, e propria non solo della Chiesa cattolica se è vero che perfino la nostra Costituzione, che definisce «libera» l'iniziativa economica privata, precisa immediatamente che però non deve svolgersi «in contrasto con l'utilità sociale». Una precisazione incomprensibile, se non nel quadro del pregiudizio per cui l'iniziativa economica privata sarebbe almeno potenzialmente dannosa. Il Papa non ha dunque usato quelle parole da centro sociale, e il suo discorso era anzi parecchio complesso, non apertamente demagogico, tutt'altro che semplicistico. Ma quando dice che il profitto d'impresa si giustificherebbe solo se «la vita umana e i suoi valori» rimangono «il principio e il fine dell'economia», altrettanto ideologicamente il Papa inquadra la nozione di profitto. Come se non si trattasse, appunto (sono sempre parole del Papa), di un «indicatore del buon andamento di un'azienda», ma di una realtà e finalità intrinsecamente maligna e bisognosa, per rendersi accettabile, per assolversi dal suo difetto originale, di correzioni e di restrizioni. Ancora, Benedetto XVI ha sollecitato i suoi ascoltatori a «salvaguardare l'occupazione lavorativa», ed evidentemente la salvaguardia dell'occupazione costituirebbe uno dei riferimenti di legittimità del profitto d'impresa, altrimenti inumano, immorale. Ma il fatto è che imprenditori pronti a far le mostre di tenere all'occupazione, specie tra i grossi, ne abbiamo avuti e ne abbiamo, e può darsi che il profitto delle loro imprese abbia risentito di questa loro squisita vocazione all'impegno sociale: salvo che il peso di tanta bontà non l'hanno sopportato loro, né la Chiesa cattolica, e semmai è stato caricato sulla groppa dei cittadini e contribuenti. I quali, piuttosto, dovrebbero essere grati all'impresa "cattiva", quella che pensa solo al profitto perché è quello, il profitto, che fa l'interesse di tutti. L'altra impresa, quella assolta dai suoi peccati mentre chiede aiuti di Stato, forse è d'accordo col Papa: ma è l'impresa di cui non c'è bisogno e che ha fatto assai male a tutti, tranne che a se stessa e alla Chiesa.

Libero, 27 maggio 2007

Incredibile! Pur di tirare acqua al mulino della politica, non si esita a criticare il discorso del Papa. E proprio vero che ogni mondo, come ogni giornale, e' paese...
Raffaella

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