22 giugno 2007

Pedofilia e sacerdoti: le precisazioni di Mons. Martinelli


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Pedofilia e sacerdoti

ROMA, giovedì, 21 giugno 2007 (ZENIT.org).- Pubblichiamo una scheda di monsignor Raffaello Martinelli, Officiale alla Congregazione per la Dottrina della Fede, Rettore del Collegio Ecclesiastico Internazionale San Carlo e Primicerio della Basilica di San Carlo al Corso (www.sancarlo.pcn.net), sul tema: “Pedofilia e sacerdoti”.


Quale valutazione dà la Chiesa sui casi di pedofilia compiuti da sacerdoti?

Tali delitti di pedofilia sono stati tacciati come «un crimine contro i più deboli», «un peccato orrendo agli occhi di Dio», «che danneggia la credibilità stessa della Chiesa», come “sporcizia” dal Card. Ratzinger denunciata nella memorabile Via Crucis al Colosseo del Venerdì santo 2005, pochi giorni prima d’essere eletto Papa, e che tale sporcizia è fatta dai “molti casi, che spezzano il cuore, di abusi sessuali sui minori, particolarmente tragici quando colui che abusa è un prete”. E ai Vescovi d’Irlanda Benedetto XVI nell’ottobre 2006 ha ribadito che sono crimini che “spezzano il cuore”.

Ma la condanna più severa, fonte di riprovazione netta e inequivocabile, è contenuta nelle parole di Gesù quando, identificandosi con i piccoli, afferma nei Vangeli Sinottici: «Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. Chi invece scandalizzerà anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da un asino, e fosse gettato negli abissi del mare» (Mt 18,5-6; Mc 9,42; Lc 17,1-2).

Gli atti di pedofilia sono di responsabilità del singolo, che li compie.

Si tratta di casi singoli: non bisogna generalizzare. I preti nel mondo sono circa 500.000, e i casi denunciati sono una minima percentuale, e quelli accertati e conclusisi con una condanna sono ancora meno: fonti attendibili, non di parte, stabiliscono allo 0,3 per cento del clero, quindi 3 sacerdoti ogni mille. Occorre pertanto distinguere tra quei preti "delinquenti" che tanto male hanno fatto e fanno, dalla moltitudine degli altri preti che hanno dedicato e dedicano con abnegazione la loro vita al bene dei ragazzi e dei giovani.

Non va dimenticato che in alcuni casi le vittime stesse hanno successivamente ritrattato le loro infondate accuse.

Va comunque pur sempre affermato che anche un solo prete pedofilo è uno di troppo, è un prete che non avrebbe mai dovuto essere prete, va punito severamente senza se e senza ma.

La Chiesa è impegnata da tempo con proprio personale (anche sacerdotale: cfr. in Italia don Fortunato Di Noto, impegnato con la sua associazione sui siti internet…) e istituzioni a individuare, smascherare, denunciare, debellare il fenomeno della pedofilia, al suo interno e al suo esterno.

Va purtroppo anche detto che alcuni singoli Vescovi hanno sbagliato quando, sottovalutando i fatti, si sono limitati a spostare da una parrocchia a un’altra, il prete responsabile di atti accertati di pedofilia. Anche per questo motivo la Santa Sede ha deciso nel 2001 di avocare a sé il giudizio su tali delitti.


In quali documenti la Santa Sede tratta i delitti dei pedofili?

La Santa Sede ha emanato due documenti, che si occupano dei delitti di pedofilia:

1) l'Istruzione del 16 marzo 1962 Crimen sollicitationis, approvata dal Papa Beato Giovanni XXIII ed emanata dall’allora Sant'Uffizio divenuto poi Congregazione per la Dottrina della Fede. Si trattava di un importante documento atto ad «istruire» i casi canonici e portare alla riduzione allo stato laicale i presbiteri coinvolti in nefandezze pedofile. In particolare, trattava delle violazioni del sacramento della Confessione.

2) L’Epistula De delictis gravioribus' ("crimini più gravi"), firmata il 18 maggio 2001 dall'allora cardinale Joseph Ratzinger come Prefetto della Congregazione.
Tale Lettera ha l'unico scopo di dare esecuzione pratica alle norme (Normae de gravioribus delictis) promulgate con la Lettera Apostolica Sacramentorum sanctitatis tutela, del precedente 30 aprile 2001, che è firmata da Papa Giovanni Paolo II.

Tali documenti riguardano l’agire in giudizio da parte della Chiesa, al suo interno, a livello canonico. Dunque non riguardano affatto le denunzie e i provvedimenti dei tribunali civili degli Stati, i quali devono fare il loro corso secondo le proprie leggi. Chiunque si è rivolto o si rivolge al tribunale ecclesiastico perciò poteva e può rivolgersi anche al tribunale civile, denunciando simili delitti. Quindi l’agire della Chiesa non è finalizzato a sottrarre tali delitti alla giurisdizione dello Stato e a tenerli nascosti.

Esistono pertanto due strade, per accertare e condannare i sacerdoti responsabili di atti di pedofilia: quella della Chiesa, col proprio Diritto Canonico, e quella dello Stato col proprio Diritto penale. Ognuna delle due strade è autonoma e indipendente dall’altra: foro civile e foro canonico non vanno confusi. Questo implica che, nonostante non sia neppure iniziato oppure sia stato avviato o concluso il processo civile, la Chiesa necessariamente deve fare il processo canonico. Al momento dell'applicazione della pena canonica, se si vede che il reo-sacerdote è già stato sufficientemente punito nel foro civile, la pena canonica può talvolta non essere inflitta.

Si tenga inoltre presente che in base alla legge italiana il privato cittadino (tale è anche il Vescovo e chi è investito di autorità ecclesiastica) è tenuto a denunciare solo i crimini contro l'autorità dello Stato, per i quali infatti è prevista la pena dell'ergastolo.
Mentre nella legislazione della Chiesa del 1962 era stato fatto obbligo, sotto pena di scomunica, di denunciare i delitti di pedofilia se avvenuti in concomitanza con il sacramento della Confessione. Quindi da questo punto di vista la legislazione della Chiesa era più severa rispetto a quella dello Stato italiano, nel punire i delitti di pedofilia.


Qual è la procedura attuale seguita dalla Chiesa nel perseguire i delitti di pedofilia compiuti da sacerdoti?

Questa è la procedura prevista: di fronte a una segnalazione di un atto di pedofilia compiuto da un sacerdote, il Vescovo (o l’Ordinario) deve effettuare anzitutto un'investigazione previa per accertarsi che ci siano indizi certi della responsabilità del sacerdote. Raccolte prove certe, il Vescovo (o l’Ordinario) deve trasmettere alla Congregazione della Dottrina della Fede i documenti della causa per ricevere le indicazioni sulla via processuale da seguire, tra quelle già previste dal Codice di Diritto Canonico.
Si potrà pertanto seguire, in alcuni casi, la procedura giudiziale canonica per l'applicazione della pena (come, per esempio, la dimissione dallo stato clericale) oppure, in altri casi, dove ad esempio le prove sono molto evidenti, si potrà seguire la procedura amministrativa.

La gravità, con cui la Chiesa valuta e giudica gli atti di pedofilia, è dimostrata pertanto anche dal fatto che la Santa Sede, con la sua legislazione del 2001, ha voluto riservare a sé (e non ai Vescovi locali) il giudicare tali delitti.
In tale documento si prevede infatti espressamente che "il delitto contro il sesto precetto del Decalogo, commesso da un chierico contro un minore di diciotto anni" (art.4), sia di competenza diretta della Congregazione per la Dottrina della Fede, che in questi casi agisce "in qualità di tribunale Apostolico" (così afferma la Sacramentorum sanctitatis tutela).


Perché la Chiesa riserva il giudizio alla Santa Sede?

Il fatto che il Papa (GIOVANNI PAOLO II) abbia voluto riservare, alla Congregazione per la Dottrina della Fede (Dicastero della Santa Sede) con la Lettera Apostolica Sacramentorum sanctitatis tutela, il giudicare gli atti di pedofilia compiuti da sacerdoti, dimostra che la Chiesa considera tali atti cosa molto grave, delitti gravi alla stregua degli altri due gravi delitti (sempre riservati alla Santa Sede) che possono essere compiuti contro due Sacramenti: quello contro l’Eucaristia e contro la santità della Confessione.
Quindi tale comportamento della Santa Sede ha nulla a che fare con la volontà di insabbiare o occultare potenziali scandali o diminuire la gravità di tali misfatti, ma serve anche a far meglio capire che sono reati molto gravi, a cui si dà il massimo rilievo, e per questo si riserva il giudizio non a realtà "locali", potenzialmente condizionabili, ma ad uno dei massimi organi della Santa Sede: la Congregazione per la Dottrina della Fede.

Che la Santa Sede abbia voluto anche al suo interno, a livello canonico, perseguire tali delitti (oltre al giudizio che spetta in sede civile allo Stato, che può portare al carcere) è il segno che la Chiesa vuole fare pulizia al suo interno, arrivando anche a infliggere la pena più grave per un prete giudicato colpevole: la sua dimissione dallo stato clericale.


Perché il segreto e la scomunica?

Anzitutto i due citati documenti della Santa Sede non erano segreti, essendo stato inviati a tutti i vescovi (circa 5.000) per indicare cosa fare in casi di pedofilia.

L’Istruzione del 1962 prevedeva la scomunica per chi rivelava dettagli sulla procedura penale canonica. A questo riguardo, va tenuto presente che tale Istruzione trattava circa il modo in cui procedere in un processo. Dunque si parlava in realtà del segreto processuale, il che equivale al silenzio che il magistrato, nei processi civili, chiede quando è in atto un'inchiesta. Né più né meno. Come ogni processo, anche quello canonico ha dei passi che devono essere segreti proprio per permettere l'accertamento della verità e per tutelare la parte più debole.

Il motivo, in particolare, per cui l'Istruzione richiedeva il segreto sul procedimento canonico, era per permettere ad eventuali testimoni di farsi avanti liberamente, sapendo che le loro deposizioni sarebbero state confidenziali e non esposte a pubblicità. E di conseguenza in tal modo anche la parte accusata non vedeva infamato il proprio nome prima della sentenza definitiva.

Un’ulteriore prova che la Santa Sede non voleva occultare o insabbiare tali delitti è costituita da quanto scrive un paragrafo, il quindicesimo del documento del 1962, che obbligava chiunque, vittima o testimone, fosse a conoscenza di un uso del confessionale per abusi sessuali a denunciare il tutto, pena la scomunica se non l’avesse fatto.

Nella nuova legislazione del 2001, il segreto (processuale) non riguarda solo i processi per abuso sessuale, ma anche per i delitti contro l'Eucaristia e per i delitti contro il sacramento della Penitenza. Nella Lettera si afferma il segreto pontificio, ma senza stabilire alcuna pena per la violazione di esso, anche se si tratta di un segreto che lega la coscienza più fortemente che il segreto normale. In questo caso, il senso del segreto è quello di proteggere e tutelare il più possibile: la buona fama dell'imputato, che fino alla condanna va considerato innocente, il diritto alla riservatezza delle vittime e dei testimoni, la libertà del Superiore, che deve giudicare liberamente senza essere sottoposto ad alcuna pressione.

Occorre anche tener presente che "pur riconoscendo il diritto alla dovuta libertà d'informazione, non bisogna consentire che il male morale divenga occasione di sensazionalismo" (GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai Vescovi americani).

Non si dimentichi poi che il segreto è finalizzato anche a salvaguardare la dignità delle persone coinvolte: a volte le persone finite sotto accusa si rivelano essere innocenti già e soprattutto nella fase istruttoria.


Come valutare le testimonianze fatte da vittime di atti di pedofilia?

A questo riguardo va detto che:

le testimonianze delle vittime vanno adeguatamente accertate e verificate, per amore della verità e delle persone coinvolte (come del resto avviene per altri reati);

è necessario salvaguardare sempre il diritto di difesa che l’accusato ha; occorre sempre sentire tutte e due le campane…

sorge in molti casi spontanea una domanda: perché alcuni hanno sporto denuncia non subito dopo l’accaduto, ma molti anni dopo?

Non si dimentichi poi che nel mondo anglosassone, per la legislazione vigente, tali delitti ricadono anche sulla responsabilità della diocesi, cui il prete appartiene, la quale è tenuta a risarcire economicamente la vittima: la Chiesa in tal modo subisce, oltre allo scandalo, anche un grave danno finanziario (il quale peraltro a molti può far gola…).


Che cosa fa la Chiesa nei confronti delle vittime di tali delitti?

La Chiesa prova un profondo senso di tristezza per quelle vittime innocenti, e anche per le persone che non dovevano diventare preti e che inoltre, in alcuni casi, hanno ricevuto poca condanna rispetto a quello di cui si sono macchiati.

La Chiesa pertanto invita e sollecita tutti:

-- ad essere vicini alle vittime
-- a sostenere la loro richiesta di giustizia.
-- a denunciare immediatamente tali delitti
.

Non va inoltre dimenticato che anche la Chiesa è una vittima, perchè tali delitti sono una gravissima offesa alla dignità della persona, creata ad immagine di Dio; e per la contro-testimonianza cristiana che si dà compiendo tali misfatti.

Alle vittime e alle loro famiglie la Chiesa è pronta a prestare:

-- una particolare assistenza con le proprie istituzioni e persone;
-- la necessaria collaborazione alle istituzioni pubbliche, quando si prendono provvedimenti civili o penali, con attenzione, delicatezza e discrezione per le persone coinvolte
.

E’ doveroso che la comunità ecclesiale, nel prendere coscienza di queste diaboliche storture, sappia assumere l'atteggiamento di condanna più netta, senza scambiare il riserbo con l'omertà. «La Chiesa cattolica ha dovuto imparare a sue spese le conseguenze dei gravi errori di alcuni suoi membri ed è diventata assai più capace di reagire e di prevenire. È giusto che anche la società nel suo insieme si renda conto che nel campo della difesa dei minori e della lotta alla pedofilia ha un lungo cammino da compiere» (P. LOMBARDI, Capo ufficio stampa del Vaticano). Infatti il problema della pedofilia non riguarda solo la Chiesa cattolica, ma è purtroppo una realtà diffusa nel mondo, specialmente occidentale; investe varie categorie di persone e professioni; ha varie facce (come il turismo sessuale, la pedopornografia, lo sfruttamento sessuale di minori: questi fenomeni, secondo i dati forniti dall’ONU, colpirebbero circa 150 milioni tra bambini e bambine). Tutto questo costituisce fra l’altro un ulteriore segno allarmante della perdita di valori fondamentali, quali: l’amore, la dignità della persona ( in particolare del minore), la positività della sessualità.

E’ quanto mai necessario e urgente che da parte di tutti si dia piena attuazione a quanto Papa BENEDETTO XVI ha indicato ai Vescovi irlandesi nell’ottobre 2006: «stabilire la verità di ciò che è accaduto in passato, prendere tutte le misure atte ad evitare che si ripeta in futuro, assicurare che i principi di giustizia vengano pienamente rispettati e, soprattutto, guarire le vittime e tutti coloro che sono colpiti da questi crimini abnormi».


NB: per approfondire l’argomento, si leggano i seguenti documenti pontifici:

-- SANT'UFFIZIO, Crimen sollicitationis, Istruzione del 16 marzo 1962;

-- GIOVANNI PAOLO II, Sacramentorum sanctitatis tutela, Lettera Apostolica che promulga le Normae de gravioribus delictis, 30 aprile 2001;

-- CARD. JOSEPH RATZINGER, Epistula de delictis gravioribus, 18 maggio 2001.

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1 commento:

euge ha detto...

Grazie Raffaella per questo articolo molto preciso e dettagliato. Speriamo che, finalmente sia chiaro ancora di più a tutti, che la chiesa non ha mai insabbiato nulla ma, pur riconoscendo l'errore di qualche vescovo nello spostare soltanto di parrocchia il soggetto, ha sempre punito fermamente simili delitti
Eugenia