29 giugno 2007
Cattolici in Cina: intervista al cardinale Zen Ze-kiun
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Eminenza democratica
di Fazzini Gerolamo*
Anticipiamo stralci dell'intervista al cardinale Joseph Zen Ze-kiun, arcivescovo di Hong Kong, che apparirà nel numero di luglio del mensile Mondo e Missione.
Il 1° luglio ricorrono dieci anni dal ricongiungimento di Hong Kong alla Cina. Durante tale decennio il cardinale Joseph Zen Ze-kiun è stato molto più che il pastore della Chiesa cattolica locale. La sua autorevolezza morale e la tempestiva capacità di intervento nei frangenti più delicati della vita della città ne hanno fatto un punto di riferimento per larga parte della società civile, oltre che per la comunità cristiana. Nel gennaio scorso ha compiuto l'età canonica di 75 anni, ma Benedetto XVI gli ha chiesto di rimanere alla guida della diocesi di Hong Kong.
Eminenza, guardando ai dieci anni di Hong Kong "cinese", lei pensa che abbiano avuto ragione gli ottimisti o i pessimisti?
Gli ottimisti pensavano che dopo il ritorno alla Cina tutto sarebbe filato liscio, i pessimisti dicevano che saremmo diventati come una qualsiasi altra città in Cina. Io mi considero tra i "realisti": certo non ero tra quelli disposti a credere acriticamente al principio "un paese-due sistemi", che si è rivelato un mero slogan. Immaginavamo che in superficie tutto sarebbe rimasto come prima, ma che sotto sotto il governo centrale sarebbe intervenuto sempre di più nella vita di Hong Kong. È quel che è capitato.
In più occasioni però la società civile si è fatta sentire, ci sono state manifestazioni di protesta. Lei stesso è stato coinvolto.
Certo. La differenza è che noi a Hong Kong possiamo parlare, in Cina non è permesso.
Al di là del gruppo dei democratici, lei pensa che la cittadinanza in questi anni si stia impegnando per una maggiore democrazia a Hong Kong, oppure tanti si sono un po' adagiati, anche tra i cattolici?
Hong Kong vive una contraddizione interna: da una parte, c'è una popolazione molto istruita, con idee comuni a quelle della comunità internazionale, anche in tema di diritti e democrazia. Sa anche che a comandare sono praticamente i potenti comunisti di Pechino e i ricchi di Hong Kong (il che spiega come mai, dopo il '97, la distanza tra i ricchi e i poveri sia aumentata). Perciò, quando vuole opporsi alle minacce alla democrazia, la gente sa farlo: lo si è visto con la grande marcia del 2003. Inchieste mirate, inoltre, dicono che oltre il 60 per cento degli abitanti chiede più democrazia.
Una delle battaglie più significative condotte dalla Chiesa in questi anni è stata quella relativa alla gestione delle scuole cattoliche. Può farci il punto della questione?
La Chiesa cattolica gestisce a Hong Kong circa 300 scuole (un centinaio delle quali amministrate direttamente dalla diocesi), il che significa un quarto della popolazione studentesca. Tutto ciò rappresenta un grande punto di forza. Ma dal momento che i comunisti non lasciano mai l'istruzione in mano ad altri, c'era da aspettarsi qualche sorpresa. E, infatti, subito dopo il ritorno sotto la sovranità cinese, le autorità locali hanno cominciato a emanare nuovi provvedimenti: si è visto subito che c'era un piano per il controllo degli istituti scolastici. Ho dato l'allarme, ma molti, compresi alcuni cattolici, hanno pensato a un mio eccesso di "sensibilità". Scrissi allora una lettera molto chiara e dura a tutte le nostre scuole, e ne inviai copia anche al governo, facendo chiaramente capire che ero in allerta. Due anni dopo, il documento di consultazione è stato tradotto in progetto di legge, senza che in nessun modo si fosse tenuto conto delle proposte di modifica avanzate dalla società civile e dalla Chiesa. Di nuovo, ho chiamato a raccolta tutti i responsabili dell'educazione, ma anche in quel caso ho ricevuto una risposta molto tiepida.
Sta dicendo che il pericolo è stato sottovalutato, anche in ambito cattolico?
Nel 2003, l'anno prima che la legge passasse, anche in campo cattolico si sono finalmente "svegliati", specie all'indomani della marcia contro l'articolo 23. Troppo tardi, però. Anche anglicani e metodisti si sono associati a noi, così come una serie di politici di tendenza democratica. Ma la legge, dopo una lunga discussione, è passata, sia pure per poco (31 voti contro 29). Il governo, però, ha dovuto fare qualche concessione: la legge entrerà in pieno vigore solo nel 2010 ed è previsto che nel 2008 abbia luogo una revisione della stessa normativa. In quell'occasione forse si potrà lavorare per rimandare ulteriormente l'introduzione effettiva sino al 2012. Quando, però, arriverà la scadenza, dovremo adeguarci. Nel frattempo, abbiamo verificato che il provvedimento in questione è in contraddizione con la Legge base (la Costituzione di Hong Kong, ndr), che afferma che le comunità religiose possono amministrare le scuole come prima. Abbiamo fatto causa, ma purtroppo abbiamo perso in primo grado; ora speriamo di vincere l'anno prossimo: i giudici della Corte d'appello sono più liberi e indipendenti dal governo.
Ha accennato alle proteste contro i tentativi del governo centrale di dare applicazione all'articolo 23 della Legge fondamentale nella forma di una legge antisovversione. Perché vi siete mobilitati contro questo?
Dopo il '97 sono state resuscitate leggi emanate in passato, addirittura in seguito ai di-sordini durante la Rivoluzione culturale in Cina. Queste norme limitano pesantemente la libertà di manifestare. Appellandosi a esse, poi, c'era il rischio che venisse condotta una vera e propria persecuzione contro gli aderenti al movimento filosofico-religioso del Falun Gong, che in Cina è ingiustamente considerato una setta pericolosa. Oggi la battaglia più ambiziosa e impegnativa riguarda la democrazia.
Quali sono le prospettive?
La Legge base prevede che per il 2007/2008 si possa optare per il suffragio universale. Ma nel 2004 le autorità a Pechino hanno dato un'interpretazione arbitraria di tali disposizioni, negandoci questo diritto. Noi chiediamo di indicare almeno la direzione di marcia e una data di riferimento. Finora si è proceduto gradualmente, ma adesso ci siamo fermati. E anche se il capo esecutivo in campagna elettorale ha fatto promesse in tal senso, ora sembra che si stia rimangiando le sua parole. Perciò ci stiamo preparando a combattere per il suffragio universale: non ci piace un governo al servizio di Pechino e della gente ricca di Hong Kong. Al contrario, un po' più di democrazia certamente gioverà al popolo.
*condirettore di Mondo e Missione
© Copyright Tempi num.26 del 28/06/2007
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