26 giugno 2007
Il vescovo di Shanghai: la lettera del Papa sara' una pietra miliare nella storia della Chiesa in Cina
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CINA. La lettera del Papa e il futuro della Chiesa cattolica
Elogio della flessibilità
Intervista con Aloysius Jin Luxian di Gianni Valente
Adesso, quando lo si interpella, mette subito le mani avanti, dicendo di essere «un povero vecchio mezzo sordo». Un vezzo da gesuita sornione, per ammiccare all’interlocutore. Tutti sanno bene che Aloysius Jin Luxian, vescovo di Shanghai, nonostante gli acciacchi ha il dono di una mente aguzza. E lo sguardo è quello di sempre.
Maggio è mese di pellegrinaggi anche alla Madonna di Sheshan, il santuario che sorge su una collina nella campagna intorno a Shanghai. Com’è andata quest’anno?
ALOYSIUS JIN LUXIAN: Nostra Signora di Sheshan è il santuario di Shanghai fin dal XIX secolo, ma già negli anni Venti del secolo scorso era diventato santuario nazionale. Così ogni anno, a partire dalla seconda metà di aprile, gruppi di pellegrini arrivano da ogni parte della Cina. L’anno scorso più di 70mila persone hanno fatto il pellegrinaggio. Il primo maggio è il momento culminante. Quel giorno ci sono sempre più di diecimila pellegrini provenienti da tutto il Paese. Quest’anno abbiamo cominciato a salutare la Madonna già ai piedi della collina. Per tutto il cammino abbiamo pregato, cantato, offerto dei fiori. Arrivati in cima ho celebrato una solenne liturgia eucaristica. La basilica può contenere un po’ più di tremila fedeli. La maggioranza dei presenti ha assistito alla messa rimanendo fuori della chiesa. C’era così tanta gente che se fosse piovuto la pioggia non avrebbe bagnato per terra.
Due anni fa lei ha consacrato come vescovo ausiliare il giovane Giuseppe Xing, che in previsione dovrebbe diventare il suo successore. Come procede il lavoro di Xing?
JIN: Xing è stato nominato da Roma. Due anni fa io l’ho consacrato vescovo ausiliare. Lavora molto bene. La sua responsabilità principale è il lavoro pastorale nella diocesi. Abbiamo 140 chiese e 150mila fedeli. Dapprima abbiamo sperato che i clandestini lo avrebbero riconosciuto, perché è stato nominato da Roma. Ma la realtà non è così semplice. Il vescovo clandestino ha già perduto la sua memoria. Il rappresentante del Vaticano a Hong Kong ha nominato un vicario generale per la comunità clandestina. Perciò qui pensano che Roma non spera davvero di lasciare che i clandestini emergano dalla clandestinità.
Quando Xing prenderà il suo posto alla guida della diocesi?
JIN: Lui stesso non vuole che la successione avvenga subito, perché è molto giovane, la diocesi di Shanghai è grande, le situazioni sono molto complicate. Inoltre, secondo il diritto canonico, Xing è soltanto vescovo ausiliare e non ha il diritto di successione. Perciò anch’io sto aspettando che Roma lo nomini vescovo coadiutore e che ottenga l’autorizzazione del governo. Per quanto mi riguarda, vorrei far posto a lui domani stesso. In fin dei conti, io ho già 91 anni…
La nomina e la consacrazione di Xing sembrava un modello per tutta la Cina: nominato dalla Sede apostolica, votato dai rappresentanti della diocesi, approvato dal governo. Poi, nel 2006, ci sono state nuove ordinazioni illegittime.
JIN: Spero davvero che la sua consacrazione diventi un modello, per trovare una soluzione alla questione dell’ordinazione dei vescovi. Ma la faccenda non è così semplice. Un diplomatico straniero mi ha detto che per fare qualche cosa in Cina bisogna avere innanzitutto pazienza, poi occorre perseverare, e inoltre bisogna far grande attenzione alla tattica.
Intanto, ad aprile, è morto Michele Fu Tieshan, vescovo a Pechino.
JIN: Il vescovo Fu Tieshan è morto dopo una malattia durata più di due anni. Ma nonostante ne avesse l’opportunità, non ha provvisto per tempo a preparare la sua successione. E questo è un vero peccato. Spero adesso che la Santa Sede e il governo cinese sviluppino buoni contatti, per evitare problemi non necessari.
Ma adesso tutti stanno aspettando la lettera del Papa ai cattolici cinesi. Lei, personalmente, cosa si aspetta da tale documento?
JIN: I fedeli di tutta la Chiesa in Cina stanno aspettando la lettera pastorale del Papa, perché la cosa è molto importante. Io non ho dubbi per quanto riguarda la conoscenza della situazione della Chiesa cinese da parte del Papa, il suo amore profondo per la Cina e la sua fiducia. Credo che la lettera sarà una pietra miliare nella storia della Chiesa in Cina. E spero che arrivi presto per la Chiesa in Cina il “tempo dopo la lettera”.
Il missionario Jeroom Heyndrickx ha scritto che la lettera papale dovrà dare una risposta a una domanda cruciale rimasta in sospeso fin dagli anni Ottanta: se cioè i preti e i fedeli delle comunità “ufficiali” e di quelle clandestine possano celebrare insieme l’Eucaristia e i sacramenti.
JIN: Ho letto l’articolo di padre Heyndrickx. Lui capisce la Cina e ama la Chiesa di Cina. Spero che anche i rispettivi funzionari studino questo articolo e si trovino d’accordo con le sue considerazioni.
Il cardinale Zen spera soprattutto che nella lettera ci siano regole chiare a cui tutti dovranno sottomettersi, per evitare che si continui a coltivare l’equivoco di una Chiesa cinese “indipendente”. Anche secondo lei è utile, a questo punto, fare chiarezza?
JIN: Ho visto anche l’intervento del cardinale Zen, in cui c’erano anche notizie sull’incontro che la Santa Sede ha organizzato a gennaio per trattare della questione della Cina. Alla fine di quella riunione hanno pubblicato una relazione molto breve, che era molto buona e che ho molto apprezzato. A parte questo, non sono state pubblicate altre notizie. Io vorrei dire alcune cose. Primo: a parte alcune singole eccezioni, tutti i cattolici della Cina hanno uno spirito di profondo amore e di perfetta ubbidienza nei riguardi della Santa Sede; parlando di Shanghai, oso garantire che il 100 per cento dei fedeli ubbidiscono assolutamente al Papa. Secondo: nella Chiesa di Cina non esiste una questione di indipendenza e, lo dico di nuovo, i cattolici cinesi non vogliono assolutamente che la Chiesa cattolica di Cina si separi dal Papa, al contrario disprezzano profondamente le persone che tramano per la separazione della Chiesa in Cina.
Terzo: la questione dell’ordinazione episcopale non è l’unica che ha bisogno di essere chiarita. Io spero che anche altre questioni vengano risolte. Per conto mio, voglio dire che i cosiddetti “otto punti” emanati dalla Congregazione per l’evangelizzazione del 1988 [che vietavano la piena comunione sacramentale con i sacerdoti e i vescovi registrati presso l’Associazione patriottica, ndr] non sono più utili.
Anche lei ha accettato di essere ordinato senza approvazione esplicita di Roma e per lunghi anni è stato considerato un vescovo illegittimo. Quale differenza c’è tra l’accettare un’ordinazione illegittima nella Cina dei primi anni Ottanta e accettarla oggi, nel 2007?
JIN: Io sono diventato vescovo ausiliare nel 1985, senza aver ottenuto la nomina del Papa. Ma le circostanze del 1985 e del 2007 sono completamente diverse. In quel tempo era impossibile prendere contatto con Roma. Prima della mia ordinazione ho invitato il sacerdote Tang Han di Hong Kong e il padre Murphy degli Stati Uniti perché fossero presenti alla cerimonia. Sono venuti e mi hanno dato grande conforto. Sapevo che sarebbero venuti, e pensavo che se il Vaticano non fosse stato d’accordo, ciò sarebbe stato impossibile.
La comunità internazionale ha dovunque accettato – anche nei Paesi musulmani e in quelli comunisti – il fatto che la nomina dei vescovi spetta al Papa, e che ciò non costituisce un pericolo per la sovranità nazionale. Cosa impedisce che anche in Cina venga accettato questo principio?
JIN: I vescovi servono a garantire la successione apostolica e la validità dei sacramenti, e non sono i leader politici di una potenza straniera. Spero che anche il governo cinese possa comprendere tale circostanza e che si giunga a una soluzione attraverso il dialogo. In passato la Santa Sede ha stipulato dei trattati con l’Italia di Mussolini e la Spagna di Francisco Franco per risolvere problemi del genere. Perché dovrebbe essere impossibile la soluzione degli stessi problemi in maniera analoga, anche con il governo cinese? Io sono dell’opinione che si debbano salvaguardare i principi, mentre nella loro applicazione ci può essere una certa flessibilità. Nei confronti del cristianesimo la Cina subisce il condizionamento della storia passata. Con il procedere del tempo certi malintesi possono essere superati.
Secondo alcuni osservatori sono i vertici dell’Associazione patriottica che ostacolano la normalizzazione dei rapporti tra governo, Chiesa cinese e Santa Sede.
JIN: Chissà, forse alcune persone dell’Associazione patriottica non vogliono che si stabiliscano relazioni diplomatiche tra Cina e Vaticano, perché potrebbero perdere potere. Ma io personalmente ritengo che l’Associazione patriottica non può intervenire nelle decisioni politiche della Cina. Basterebbe che qualche personalità ad alto livello politico decidesse di riallacciare le relazioni con il Vaticano, e l’Associazione patriottica non avrebbe più la possibilità di frapporre ostacoli.
In molte situazioni del passato e in qualche caso ancora oggi la Sede apostolica acconsente che i governi civili abbiano parte in causa nella selezione dei vescovi. Quale modello potrebbe adattarsi alla situazione cinese?
JIN: L’elezione dei vescovi spetta alla Santa Sede, tale principio deve essere affermato. Ma siccome il contesto politico, storico ed economico varia a seconda del Paese, la Santa Sede spesso stringe dei patti concreti con i rispettivi governi. Io spero sempre che il governo cinese e il Vaticano stringano un trattato che includa la questione della nomina dei vescovi. Si potrebbe prendere il Viet Nam come esempio: il Vaticano propone due candidati e il governo sceglie uno tra loro. Si dice che il Ministero degli Esteri, il Ministero del Fronte unito del Comitato centrale e l’Ufficio nazionale per gli Affari religiosi abbiano inviato una delegazione a visitare il cardinale di Hô Chí Minh Ville per comprendere meglio con il suo aiuto la questione della nomina dei vescovi del Viet Nam. Io penso che anche questo indichi in qualche modo la tendenza del futuro.
Il problema è che tra i cattolici cinesi, molti, guardando alla storia degli ultimi cinquant’anni, ritengono che la fede autentica richieda il rifiuto di ogni sottomissione al potere civile. Lei come considera questa prospettiva?
JIN: L’atteggiamento della maggioranza dei fedeli cinesi è la seguente: innanzitutto, obbediamo all’insegnamento di Gesù, «date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio». Seguiamo anche ciò che ha insegnato l’apostolo Paolo nella lettera ai Romani: «Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio». San Paolo dice anche che «i governanti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male». Per lui «è necessario stare sottomessi, non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza», e bisogna rendere «a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto». Qui il governo del Partito comunista si è stabilito già sessant’anni fa, e da allora è il governo effettivo della Cina. I fatti degli ultimi decenni provano che quello attuale è il migliore governo nella storia della Cina popolare. Perché i cattolici che rappresentano meno dell’1 per cento della popolazione dovrebbero opporsi al governo cinese?
Da parte dei vertici cinesi si registra la difficoltà a cogliere la vera natura sacramentale della Chiesa, che viene considerata sempre come un’entità politica. Secondo lei, cosa può essere utile a superare equivoci e riserve?
JIN: Il governo cinese è materialista, perché prende come parametro il marxismo. La visione del governo cinese riguardo alla religione difficilmente si può liberare di tale influsso. I cambiamenti improvvisi dell’Europa orientale hanno confermato le opinioni che il governo cinese nutriva sul ruolo politico svolto dalla Chiesa cattolica. Io penso che la realtà proverà che il Vaticano non cerca qualche obiettivo politico, e davanti alla realtà dei fatti il governo cinese potrà cambiare il suo atteggiamento di fronte al Vaticano.
La riconciliazione tra le due comunità diventa difficile per due atteggiamenti psicologici che le segnano. I clandestini talvolta assomigliano agli “operai della prima ora” preoccupati che gli ultimi arrivati abbiano lo stesso loro stipendio. Quelli che frequentano le chiese aperte talvolta considerano i clandestini come dei “figlioli prodighi” che devono riconoscere che la loro scelta di una vita di fede vissuta fuori dal controllo statale era sbagliata. Cosa può aiutare la riconciliazione?
JIN: La riconciliazione e il ritorno all’unità tra comunità registrate e non registrate incontra grandi difficoltà. Adesso l’atteggiamento con il quale gli ufficiali e i clandestini aspettano la lettera pastorale del Papa non è lo stesso. Noi siamo pieni di fiducia e aspettiamo la lettera pastorale del Papa con relativo ottimismo, garantiamo che la accetteremo con fervore. I clandestini non possono evitare di avere qualche preoccupazione, o la paura di essere sconfessati, che si riflette in articoli pieni di risentimento scritti da alcuni sacerdoti di Taiwan. Io penso che tali preoccupazioni siano superflue. Crediamo fermamente che la Chiesa è una madre misericordiosa, che la Santa Sede ci tratterà con il cuore di un padre misericordioso. Dobbiamo dimenticare la preoccupazione di essere rigettati.
In Cina ci sono giovani che adesso diventano cristiani e non sanno niente della storia della Chiesa cinese. Viste le perduranti divisioni, talvolta anche il passato glorioso di martirio e di testimonianza rischia di diventare un peso.
JIN: Nella Cina oggi ci sono molti giovani che seriamente si confrontano con le grandi domande della vita umana. Hanno avuto poco contatto con le virtù della moralità antica. Dopo la liberazione non si sono custodite e valorizzate le virtù tradizionali. Adesso, nella società del consumismo, dove domina il potere economico, ci sono dei giovani che si sentono vuoti nel cuore. Vorrebbero conoscere Cristo. Avendo conosciuto Cristo, una parte ne viene attratta e diventa cristiana. Tali persone non conoscono la storia del cristianesimo in Cina. Il tempo va avanti, ciò che importa è guardare al futuro. Io personalmente penso che non bisogna parlare a questi giovani della nostra storia travagliata. Spero piuttosto che con lo Spirito di Cristo possano vivere nella società del futuro e partecipare alla sua costruzione. E così sia.
Per lunghi tratti della sua vita lei è stato un incompreso. L’hanno definita il “vescovo rosso”, o addirittura il “Papa giallo”… Adesso, cosa la preoccupa, e cosa la conforta quando guarda alla sua esperienza e all’attuale condizione della Chiesa cinese?
JIN: C’è chi dice che io sia un enigma. Qui quasi tutti gli anziani vescovi sono stati in prigione e sono diventati vescovi dopo esserne usciti. Su di loro, in genere, non ci sono mormorazioni, tutti sono ben considerati anche all’estero. Su di me ciò che si dice adesso all’interno della Cina è generalmente positivo: viene apprezzato il mio parlare con franchezza, e si pensa che io sia politicamente trasparente. Ma all’estero continuano a essere sparse contro di me così tante maldicenze da nascondere sotto di loro il cielo e la terra. Non so spiegarmelo, e comunque di tutto questo io me la rido, e non voglio giudicare. Ciò che mi preoccupa sono il presente e il futuro della Chiesa in Cina. Essa adesso si trova dinanzi a molte urgenze. Dobbiamo proteggere i nostri sacerdoti, i seminaristi e le suore dall’inquinamento del mondo esterno affinché siano veri testimoni di Cristo: questa è la cosa più importante, dobbiamo concentrare tutta la nostra energia su questo punto. Inoltre, nella politica e nell’economia la Cina avanza a passi da gigante. Io penso che fra meno di vent’anni il ruolo che la Cina assumerà rispetto al mondo intero sarà molto importante. Un miliardo e trecento milioni di cinesi aspirano a creare una società armoniosa. Spero che la Chiesa possa dare il suo contributo in questo processo. In questa circostanza non vorrei davvero che si mostrasse una divisione, una disarmonia della Chiesa. Proprio nel momento in cui tutti i cinesi sono coinvolti nel realizzare un grande miracolo economico e civile, io spero che i dieci milioni di cattolici non assumano una posizione isolata rispetto a questa grande moltitudine di persone, spero che non cantino con una voce stonata, con il risultato in futuro di ritrovarsi emarginati. Vi prego di implorare Dio per noi. Spero che chi può usi il suo influsso per guidare la nostra Chiesa in Cina all’armonia interna, all’armonia di tutta la Chiesa in Cina con la Chiesa universale, affinché possiamo essere anche qui come membra in comunione nello stesso corpo.
© Copyright 30 giorni, maggio 2007
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