22 giugno 2007
Aggiornamento della rassegna stampa del 22 giugno 2007 (1)
Vedi anche:
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La persecuzione dei Cristiani? Non solo in Iraq. E l'Europa? Tace (acconsentendo)
Rassegna stampa del 22 giugno 2007
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Busso al cuore di coloro che hanno specifiche responsabilità perché aderiscano al grave dovere di garantire la pace a tutti
Il Papa, un hacker e Harry Potter
MINACCE ALLA FEDE
Il Papa: ora di martirio per i cristiani dell'Iraq
Benedetto XVI rilancia il suo drammatico appello: desidero bussare nuovamente al cuore di Dio, Creatore e Padre, per chiedere con immensa fiducia il dono della pace
Di Giorgio Bernardelli
È un'ora di «autentico martirio» quella che stanno vivendo i cristiani in Iraq. E il loro dramma si collega a quello di altre aree del Medio Oriente dove «la pace, tanto implorata e attesa, è purtroppo ancora largamente offesa». È tornato a scuotere con parole forti la coscienza del mondo, il Papa ieri, su quanto sta succedendo a Baghdad: «Busso al cuore di coloro che hanno specifiche responsabilità» perché si adoperino per curare «la malattia mortale della discriminazione religiosa e culturale», ha detto. L'occasione per questo nuovo appello è giunta da due diversi incontri svoltisi ieri in Vaticano: prima Benedetto XVI ha ricevuto in udienza il patriarca Mar Dinkha IV, della Chiesa Assira d'Oriente che conta numerosi fedeli iracheni; poi ha tenuto un discorso ai partecipanti all'assemblea della Roaco, l'organismo di solidarietà legato alla Congregazione per le Chiese Orientali che sostiene l'opera di tante comunità cristiane in quest'area del mondo.
«Agli inizi della Chiesa - ha ricordato il Pontefice durante l'incontro ecumenico con Mar Dinkha IV - i cristiani d'Oriente hanno dato un grande contributo alla diffusione del Vangelo. Oggi, invece, tragicamente soffrono sia materialmente, sia spiritualmente. In particolare in Iraq, la madre patria di così tanti fedeli assiri - ha aggiunto -, le famiglie e le comunità cristiane avvertono la pressione dell'insicurezza e dell'aggressione e un senso di abbandono. Molti di loro non vedono altra possibilità che quella di lasciare il proprio Paese e cercare un nuovo futuro altrove. Queste difficoltà - ha detto ancora Benedetto XVI - sono per me fonte di grande preoccupazione e voglio qui esprimere la mia solidarietà verso i pastori e i fedeli delle comunità cristiane che rimangono là, spesso al prezzo di eroici sacrifici». Il Papa ha inoltre invitato a vivere in Iraq con particolare forza l'ecumenismo. «In queste aree tribolate i fedeli, cattolici e assiri, sono chiamati a operare insieme - ha spiegato -. Spero e p rego che si trovino strade ancora più efficaci per aiutarsi e assistersi l'un l'altro per il bene di tutti».
Toni molto simili sono ritornati subito dopo, nell'incontro con la Roaco. In prima fila c'era il patriarca caldeo Emmanuel III Delly, che l'altro giorno in assemblea aveva fatto risuonare il grido di dolore dei cristiani di Baghdad. Rivolgendosi proprio a lui il Papa ha rinnovato il cordoglio «per la barbara uccisione di un inerme sacerdote e di tre suddiaconi avvenuta il 3 giugno scorso in Iraq. La Chiesa intera - ha aggiunto - accompagna con affetto e ammirazione tutti i suoi figli e le sue figlie e li sostiene in quest'ora di autentico martirio per il nome di Cristo». Ma l'abbraccio del Pontefice si è poi subito allargato anche «al rappresentante pontificio e ai pastori provenienti da Israele e dalla Palestina, perché lo partecipino ai propri fedeli a rafforzamento della loro provata speranza».
È tutta l'area del Medio Oriente, infatti, a essere fonte di pena e preoccupazione per i cristiani. «La pace, tanto implorata e attesa, è purtroppo ancora largamente offesa - ha spiegato Benedetto XVI -. È offesa nel cuore dei singoli, e ciò compromette le relazioni interpersonali e comunitarie. La debolezza della pace - ha annotato ancora il Papa - si acuisce ulteriormente a motivo di ingiustizie antiche e nuove. Così essa si spegne, lasciando spazio alla violenza, che spesso degenera in guerra più o meno dichiarata fino a costituire, come ai nostri giorni, un assillante problema internazionale».
Una situazione drammatica che chiede più che mai passi concreti. «Insieme a ciascuno di voi, sentendomi in comunione con tutte le Chiese e comunità cristiane, ma anche con coloro che venerano il nome di Dio e lo cercano in sincerità di coscienza, e a tutti gli uomini di buona volontà - ha concluso il Papa - desidero bussare nuovamente al cuore di Dio, Creatore e Padre, per chiedere con immensa fiducia il dono della pace. Busso al cuore di coloro che hanno specifiche r esponsabilità perché aderiscano al grave dovere di garantire la pace a tutti, indistintamente, liberandola dalla malattia mortale della discriminazione religiosa, culturale, storica o geografica».
© Copyright Avvenire, 22 giugno 2007
Benedetto XVI si fa avvocato dei cristiani dell'Iraq
Voce sempre più veemente Dal Vaticano appello ai governi
Elio Maraone
A pochi giorni da quello di Assisi («Cessino i conflitti, tacciano le armi...»), nuovo, accorato appello ieri del Papa per il Medio Oriente, per la pace che, ricorda, «tanto implorata e attesa, è purtroppo ancora largamente offesa».
Nell’abbracciare i rappresentanti di quelle terre ribollenti, convenuti in Vaticano per la riunione delle opere per l’aiuto alle Chiese orientali, Benedetto XVI ha per tutti sguardi e parole consolatrici; ma un’attenzione speciale riserva all’Iraq. E infatti, dopo aver «assicurato ancora una volta» che l’intera regione è presente «con urgenza e costanza.... nella preghiera e nell’azione della Sede apostolica e di tutta la Chiesa», il Papa si rivolge «con affetto e ammirazione» alla comunità cristiana in Iraq, che sta attraversando «un’ora di autentico martirio per il nome di Cristo». Martirio tremendo – nel quadro di un tentato «genocidio» (per usare una recente espressione della Chiesa caldea) – vero martirio di sangue: per esempio quello, il 3 giugno a Mosul, di padre Ganni e di tre suddiaconi, evocato ieri dal Papa con commozione.
La persecuzione dei cristiani nelle antiche terre della prima diffusione della fede è vasta e crescente, come ricorda tra gli altri monsignor Louis Sako. «L’attuale governo iracheno – ha denunciato ieri l’arcivescovo di Kirkuk – non riesce a garantire la sicurezza e ad applicare la legge. Non esistono milizie cristiane per difendersi. Un cristiano è vulnerabile per eccellenza».
Ormai in diverse parti del mondo (in pratica ovunque è presente il fondamentalismo islamico), ma specialmente in Medio Oriente, i fedeli sono oppressi, umiliati, talvolta uccisi, spinti all’abiura, sempre più costretti, come da tempo accade in Palestina, a emigrare. Molti di loro, annota Benedetto XVI, «non vedono altra possibilità se non quella di... cercare una nuova vita all’estero». Il Papa esprime «solidarietà ai pastori e ai fedeli delle comunità cristiane che rimangono in quei luoghi, spesso a prezzo di eroici sacrifici», ma non si limita a questo. Egli infatti addita, sullo sfondo della persecuzione contro i cristiani in atto, la tragedia della pace compromessa o messa grandemente a rischio, la pace che viene «offesa nel cuore dei singoli», la pace che «si spegne lasciando spazio alla violenza», la violenza che «spesso degenera in guerra... fino a costituire, come ai nostri giorni, un assillante problema internazionale».
Il problema supera dunque i confini locali e, congiuntamente a quello della persecuzione religiosa, deve essere avviato a soluzione da tutti i Paesi, perché in ogni uomo variamente ferito è l’umanità intera che viene ferita. Ecco quindi che Benedetto XVI «bussa al cuore di Dio creatore e padre, per chiedere con immensa fiducia il dono della pace». Ma «bussa» anche, immediatamente dopo, «al cuore di coloro che hanno specifiche responsabilità perché aderiscano al grave dovere di garantire pace per tutti, indistintamente, liberandola dalla malattia mortale della discriminazione religiosa, culturale, storica, geografica».
L’invito all’opera pacificatrice è rivolto a tutti, ma tra i primi ad essere interpellati sono ebrei e musulmani: il Papa «bussa al cuore di Dio» sentendosi «in comunione con tutte le Chiese e comunità cristiane, ma anche con coloro che venerano il nome di Dio, creatore e Padre». Ritorna, come un’eco profonda, incancellabile, attualissima, la lezione di San Francesco, appena rilanciata dal Papa ad Assisi: per essere pienamente «uomini per gli altri» occorre essere «uomini di Dio».
© Copyright Avvenire, 22 giugno 2007
CONVEGNO EUROPEO
«Dal volto di Gesù una via per l’uomo»
Ruini ai docenti universitari: un cristianesimo vivo parla a tutti«L’interpretazione naturalistica del soggetto umano non solo contraddice la fede ma capovolge il punto di partenza della modernità» «Come ci spiega bene Benedetto XVI nel suo libro il nostro è un Dio "umanistico", nella sua luce conosciamo sul serio chi siamo»
Da Roma Mimmo Muolo
Per la costruzione di un futuro «il più possibile buono, pacifico e vivibile», è «decisivo che i popoli i quali hanno la loro fondamentale matrice culturale nel cristianesimo non abdichino al proprio ruolo storico» e restino fedeli «al proprio codice genetico». Quel codice nel quale «sono contenuti i grandi principi dell’amore fraterno e della libertà». Il cardinale Camillo Ruini termina in pratica con queste parole il suo intervento nella giornata inaugurale dell’Incontro europeo dei docenti universitari. Nell’affollatissima aula magna della Pontificia Università Lateranense ci sono rettori, professori e studenti giunti da tutta Europa. E tocca al vicario del Papa per la diocesi di Roma, nella sua qualità di gran cancelliere dell’Ateneo che ospita i lavori, tenere la relazione introduttiva, dopo i saluti di Walter Veltroni, Francesco Rutelli, Franco Frattini, Fabio Mussi e del cardinale Peter Erdö, presidente dei vescovi europei.
La nuova questione antropologica. La questione delle domande fondamentali sull’uomo (chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo), fa notare il relatore, «pur antica quanto l’uomo stesso», si pone oggi in termini diversi in quanto «abbiamo acquistato attraverso le biotecnologie un nuovo potere di intervento su noi stessi». Diversi, dunque, sono i cambiamenti in atto. Da un lato «a una prassi di vita che abbia un riferimento quanto meno implicito al cristianesimo sembra subentrarne infatti – almeno sotto alcuni profili assai rilevanti – un’altra che possiamo considerare caratterizzata dal "primato del corpo"». Dall’altro però, mentre «l’uomo viene ridotto alla sola dimensione corporea», il corpo stesso diventa un oggetto «di cui possiamo disporre».
Altra novità è «l’interpretazione naturalistica del soggetto umano», sulla quale hanno avuto grande influenza, fa notare Ruini, «il relativismo e il nichilismo». Tuttavia, questa visione dell’uomo «non è soltanto incompatibile con la fede cristiana, in quanto implica la negazione della trascend enza del soggetto umano, ossia del suo essere ad immagine di Dio, ma comporta un autentico capovolgimento del punto di partenza della modernità, che consisteva nella rivendicazione della centralità dell’uomo e della sua libertà. In altre parole, questa interpretazione pone fine all’umanesimo e apre quella fase che, non per caso, viene spesso chiamata "postumanistica"».
Caratteristiche dell’antropologia cristiana. Per questo il vicario di Benedetto XVI ripropone l’antropologia cristiana e fa riferimento al recente libro del Papa su Gesù. «Il Dio di Gesù ha profondamente a che fare con l’uomo: potremmo dire che è un Dio anche "umanistico": nella sua luce conosciamo sul serio l’uomo, quello che l’uomo è originariamente e quello che egli deve essere». Da una parte per Gesù l’uomo è un essere fragile e minacciato, ammalato e peccatore. Nello stesso tempo, però, egli ha vivissimo il senso della grandezza dell’uomo, del suo valore esclusivo e unico». Dunque, aggiunge Ruini, «l’uomo è oggetto della follia dell’amore di Dio, che per la sua salvezza dona sulla croce il proprio Figlio; l’uomo è chiamato a essere figlio nel Figlio, è legato a Dio da un rapporto personale che arriva a sfondare le barriere della morte. Perciò egli è degno del nostro amore, di un amore insieme concreto e assoluto, che implica la giustizia e il rispetto: così l’orientamento radicale di Gesù verso Dio è al tempo stesso un orientamento radicale verso l’uomo e la sua salvezza».
Dell’umanesimo di Gesù, ricorda ancora il cardinale «fa ugualmente parte la nostra libertà: una libertà che ha una profondità enorme e in certo senso spaventosa, come risulta anzitutto dalla morte di croce che Gesù ha accettato per noi. Se infatti il peccato umano, espressione negativa della nostra libertà, non fosse qualcosa di terribilmente serio, non avrebbe senso la croce di Cristo. Anche sotto il profilo positivo però la nostra libertà appare in qualche modo senza limiti: Gesù viene infatti per liberare la nostra libert à e renderla la libertà dei figli, capaci di accogliere liberamente, nella fede e nell’amore, quel dono che in definitiva è Dio stesso».
Infine, caratteristico di questa antropologia è il fatto che si presenta «storicamente come un processo sempre aperto», capace di incarnarsi «nelle più diverse situazioni e contesti storici».
Indicazioni di prospettiva. Ciò vale naturalmente anche per la nostra epoca. Innanzitutto, però, Ruini sgombra il campo da un equivoco. «L’umanesimo cristiano non sottintende in alcun modo una qualche forma di avversione nei confronti delle scienze empiriche». Anzi è importante «incrementare i rapporti tra scienze, filosofia e teologia». Ma «la questione dell’uomo è anche tale da non poter essere decisa per via soltanto razionale e teoretica: in essa infatti siamo in gioco noi stessi, la direzione e l’orientamento della nostra esistenza». E da questo punto di vista la fede cristiana può dare un grande contributo. Fino a quando essa sarà «viva – conclude il porporato – e riuscirà a generare cultura, né la riduzione dell’uomo alla natura, né una prospettiva totalmente relativistica o nichilistica potranno affermarsi pienamente».
© Copyright Avvenire, 22 giugno 2007
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