30 giugno 2007

La lettera del Papa ai Cinesi: qualche commento


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Rassegna stampa del 30 giugno 2007

Aggiornamento della rassegna stampa del 30 giugno 2007 (1)

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I giovani, Francesco d’Assisi e Papa Benedetto XVI

Un atto d’amore del Papa per la Chiesa della Cina: pubblicata la Lettera di Benedetto XVI ai cattolici del grande Paese asiatico. Il commento di padre Federico Lombardi

Un documento a lungo atteso, segno dell’amore e della vicinanza del Papa per la comunità cattolica presente in Cina: con questo spirito, è stata pubblicata oggi la Lettera di Benedetto XVI indirizzata ai vescovi, presbiteri, consacrati e fedeli laici della Chiesa cattolica nella Repubblica Popolare Cinese. Il documento pontificio, che nella versione italiana consta di 54 pagine e 20 capitoli, offre orientamenti sulla vita della Chiesa e sull’opera di evangelizzazione in Cina, rispondendo a numerose richieste pervenute alla Santa Sede negli ultimi anni. In una nota, diramata dalla Sala Stampa vaticana, si sottolinea che la Lettera “tratta questioni eminentemente religiose” e “non è quindi un documento politico” né “vuol essere un atto di accusa contro le autorità governative, pur non potendo ignorare le note difficoltà che la Chiesa in Cina deve affrontare quotidianamente”. Tali problematiche, spiega una Nota esplicativa, sono state analizzate in Vaticano da una Commissione ristretta. Il 19 e 20 gennaio, poi, il Papa ha deciso di convocare una riunione che ha visto la partecipazione di vari ecclesiastici anche cinesi. A seguito di questo incontro, la Commissione si è adoperata per preparare il documento, che, significativamente, è stato firmato dal Papa il 27 maggio scorso, domenica di Pentecoste. Con la Lettera, il Papa istituisce una Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, da celebrarsi il 24 maggio. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Un profondo affetto per tutta la comunità cattolica in Cina ed un’appassionata fedeltà ai grandi valori della tradizione cattolica in campo ecclesiologico: sono questi i due principi a cui si ispira Benedetto XVI nella Lettera ai cattolici cinesi ai quali il Papa manifesta innanzitutto la sua “fraterna vicinanza”. “Voi - scrive Papa Benedetto, all’inizio della Lettera - sapete bene quanto siete presenti nel mio cuore”. E fin dalle prime righe, esprime la sua intensa gioia per la fedeltà dei cattolici cinesi a Cristo e alla Chiesa, “a volte anche a prezzo di gravi sofferenze”. Una testimonianza di fedeltà, ribadisce, offerta “in circostanze veramente difficili”. Ai fedeli, il Santo Padre chiede dialogo, comprensione e perdono quando è necessario. Li invita dunque ad un cammino serio verso una completa comunione per rimanere fedeli a Cristo e al Successore di Pietro, in un dialogo “rispettoso e costruttivo” con il governo. Il Papa mostra apprezzamento per il raggiungimento da parte della Cina di significative mete di progresso economico sociale, e rileva che, specie tra i giovani, da una parte cresce l’interesse per la dimensione spirituale; dall’altra, si avverte “la tendenza al materialismo e all’edonismo”. Il Pontefice esorta, così, la Chiesa che è in Cina ad essere testimone di Cristo, “a guardare in avanti con speranza e a misurarsi, nell’annuncio del Vangelo, con le nuove sfide che il popolo cinese deve affrontare”

D’altro canto, con la Lettera, il Pontefice invia anche un particolare messaggio alle autorità civili. La Santa Sede riafferma la disponibilità al dialogo e sottolinea di non voler interferire negli affari interni delle comunità politiche. “Lo sappia la Cina - afferma il Papa - la Chiesa cattolica ha il vivo proposito di offrire, ancora una volta, un umile e disinteressato servizio, in ciò che le compete, per il bene dei cattolici cinesi e per quello di tutti gli abitanti del Paese”. Tuttavia, Benedetto XVI ribadisce la posizione della Santa Sede sulla libertà religiosa. “La soluzione dei problemi esistenti - si legge al capitolo IV - non può essere perseguita attraverso un permanente conflitto con le legittime autorità civili; nello stesso tempo, però, non è accettabile un’arrendevolezza alle medesime, quando esse interferiscano indebitamente in materie che riguardano la fede e la disciplina della Chiesa”. Le autorità civili, scrive Benedetto XVI, “sono ben consapevoli che la Chiesa, nel suo insegnamento, invita i fedeli ad essere buoni cittadini”, “ma è altresì chiaro che essa chiede allo Stato di garantire” ai cittadini cattolici “il pieno esercizio della loro fede, nel rispetto di un’autentica libertà religiosa”. La Santa Sede, dunque, a nome dell’intera Chiesa cattolica, auspica l’apertura di uno spazio di dialogo con le autorità di Pechino, affinché, superate le incomprensioni del passato, si possa lavorare assieme per il bene del popolo cinese. Il Papa riconosce che tale normalizzazione di rapporti richiederà tempo. Tuttavia, come il suo predecessore Giovanni Paolo II, è convinto che tale normalizzazione offrirà un impareggiabile contributo alla pace nel mondo.


Venendo agli aspetti più specificamente ecclesiali, il Papa si sofferma sulla “situazione di forti contrasti che vede coinvolti fedeli laici e pastori” cinesi. Il Papa rammenta che per l’unità della Chiesa nelle singole nazioni, ogni vescovo deve essere in comunione con gli altri vescovi e tutti, a loro volta, in comunione visibile e concreta con il Papa. “La Chiesa che è in Cina - si legge nella Lettera - è chiamata a vivere e a manifestare questa unità, in una più ricca spiritualità di comunione”. Al capitolo sette, il documento pontificio si sofferma sull’Associazione Patriottica, che, viene ribadito, è un organismo voluto dallo Stato, estraneo allo struttura della Chiesa, con la pretesa di porsi sopra i vescovi stessi e di guidare la comunità ecclesiale. Le sue dichiarate finalità di attuare i principi d’indipendenza e autonomia, autogestione e amministrazione della Chiesa sono dunque inconciliabili con la dottrina cattolica, ed hanno, inoltre, “causato divisioni sia tra il clero sia tra i fedeli”. Ancora, la Lettera evidenzia che la comunione e l’unità “sono elementi essenziali e integrali della Chiesa cattolica; pertanto il progetto di una Chiesa ‘indipendente’, in ambito religioso dalla Santa Sede è incompatibile con la dottrina cattolica”.

Nei capitoli otto e nove, il Papa rivolge l’attenzione alla condizione dell’episcopato cinese ed affronta il delicato tema delle ordinazioni episcopali, che, come ricorda la Lettera, “tocca il cuore stesso della vita della Chiesa” e rappresenta “un elemento costitutivo del pieno esercizio del diritto alla libertà religiosa”. Viene ribadito che la nomina dei presuli spetta al Papa “a garanzia dell’unità della Chiesa” e che un’ordinazione illegittima rappresenta una “dolorosa ferita alla comunione ecclesiale”. La Lettera auspica il raggiungimento di un accordo con il governo per risolvere alcune questioni concernenti la scelta dei candidati, la pubblicazione della nomina e il riconoscimento da parte delle autorità civili. La legittimazione dei vescovi ordinati senza mandato apostolico, evidenzia il documento, è una questione molto delicata e riguarda soprattutto la persona del vescovo. Per questo, ogni caso va studiato a sé, specie quando manca un vero spazio di libertà. “Quale grande ricchezza spirituale - scrive il Papa - ne deriverebbe per tutta la Chiesa in Cina, se in presenza delle necessarie condizioni, anche questi pastori pervenissero alla comunione con il Successore di Pietro e con tutto l’episcopato cattolico”.

Al capitolo 10, si apre la seconda parte della Lettera, dedicata interamente agli Orientamenti di vita pastorale. Il Santo Padre mette l’accento sull’importanza della formazione dei cristiani, del clero come dei laici. E non manca di soffermarsi sul ruolo della famiglia in Cina, invitando i cattolici a “sentire in modo più vivo e stringente la sua missione” per il bene di tutta la società. Benedetto XVI chiede anche ai fedeli cinesi di vivere intensamente la propria vocazione missionaria. In varie parti della Lettera, il Papa si sofferma sulla testimonianza dei cristiani che hanno dato la vita per la fede e rappresentano l’esempio e il sostegno della nuova evangelizzazione. Nelle pagine conclusive, il Papa, considerando alcuni positivi sviluppi della situazione della Chiesa in Cina, comunica la revoca delle facoltà e direttive di ordine pastorale concesse in tempi particolarmente difficili per la Chiesa. La Lettera si conclude con l’annuncio da parte del Papa dell’istituzione di una Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, da osservarsi il 24 maggio, memoria liturgica della Beata Vergine Maria, Aiuto dei Cristiani, venerata con tanta devozione nel santuario mariano di Sheshan a Shanghai. Nella medesima giornata, è l’auspicio del Papa, i cattolici del mondo intero chiedano al Signore per i fedeli della Cina “il dono della perseveranza nella testimonianza” certi che le sofferenze passate saranno premiate, “anche se talvolta tutto possa sembrare un triste fallimento”.

Con la sua lunga Lettera, Benedetto XVI esprime dunque il proprio auspicio per una Chiesa che sia pienamente cinese e pienamente cattolica. Per un commento a questo importante documento del Papa, ascoltiamo la nota del direttore della Sala Stampa vaticana, e nostro direttore generale, padre Federico Lombardi:

La lettera del Papa ai cattolici cinesi non delude la lunga attesa, anzi sorprende positivamente. Ha uno stile originale, che evoca le grandi epistole del Nuovo Testamento, scritte dagli Apostoli nella fede per confortare e orientare le comunità lontane di credenti nella prova, in uno spirito di comunione nella più ampia comunità della Chiesa universale.

Non erano mancati i messaggi dei Papi precedenti per la Chiesa e il popolo cinesi, né gli orientamenti fatti pervenire per diverse vie ai vescovi che li domandavano, ma qui ci troviamo davanti a un documento ampio, esplicito, pubblico, che dice a tutti con grande chiarezza e serenità che cosa è e che cosa vuol essere la comunità della Chiesa cattolica che vive nel più popoloso Paese del mondo, dove deve affrontare ancora una situazione difficile a seguito delle incomprensioni e limitazioni che ne impediscono la vita e la crescita in piena libertà. E’ la risposta a domande nate in situazione di sofferenza e disorientamento, rivolte con fiducia da molti anni a Roma, al Papa come all’unica persona da cui può venire una risposta con vera autorità.

La lettera di Benedetto XVI è dunque animata da due grandi amori: per la Cina e per la Chiesa cattolica nella sua vera natura, quale essa appare dalla tradizione e dalla dottrina più genuina.

Il discorso – secondo lo stile caratteristico del Papa – è insieme denso di affetto e di gratitudine per la fedele testimonianza di tanti cattolici cinesi, ed è allo stesso tempo denso di teologia della Chiesa, con ampie citazioni che vanno dal Nuovo Testamento al Concilio Vaticano II. E’ un discorso essenzialmente religioso e pastorale, diretto appunto ai membri della Chiesa cattolica in Cina, e non vuole addentrarsi in problemi politici o diplomatici.

Il Papa non cerca scontri con nessuno. Non pronuncia accuse nei confronti di nessuno, né dentro, né fuori la Chiesa; conserva sempre un tono sereno e pieno di rispetto, anche quando deve riferirsi alle limitazioni della libertà, agli atteggiamenti non accettabili, alle tensioni interne alla Chiesa. Una Chiesa che viene sempre considerata un’unica Chiesa, profondamente desiderosa di unione con il Papa e al suo interno, anche se apparentemente divisa. L’esortazione all’unione, alla riconciliazione, al perdono reciproco è uno dei messaggi più intensi, che pervadono tutto il documento.

La chiara esposizione della natura caratteristica della comunità ecclesiale e del ruolo dei vescovi conduce necessariamente a toccare i punti critici della nomina dei Vescovi e dell’azione di organismi statali che mirano ad attuare nella vita della Chiesa in Cina principi inconciliabili con la visione cattolica, come quelli della “indipendenza, autonomia e autogestione”. Se da parte delle autorità cinesi si teme tradizionalmente una interferenza esterna nella vita interna del Paese, da parte della Chiesa si sente invece il rischio di una interferenza indebita dello Stato nella sua vita interna. Perciò il Papa mette ogni impegno per spiegare la corretta distinzione fra il piano politico e quello religioso, fra le responsabilità delle autorità civili e quelle della Chiesa, e dichiara fiduciosamente la disponibilità della Chiesa al dialogo per superare le incomprensioni e i punti controversi, anche nel procedimento di nomina dei vescovi. Il cammino verso la normalizzazione dei rapporti fra Santa Sede e Cina non è quindi l’argomento della lettera, ma sullo sfondo viene chiaramente auspicato un suo sviluppo positivo tramite il dialogo su problemi concreti.

Del resto, la lettera manifesta più volte che la Chiesa in Cina non solo è cresciuta numericamente nei decenni trascorsi, ma anche che ora sente di poter camminare in modo più normale, con spazi di movimento più ampi che in passato. Significativa in questo senso – anche se forse non immediatamente evidente ai non specialisti di diritto canonico – è la revoca delle facoltà eccezionali concesse in passato per le situazioni particolarmente difficili della Chiesa in Cina. Quanto a dire: oggi la Chiesa in Cina può e deve seguire le norme comuni in tutta la Chiesa universale.

Dai passi iniziali, che si riferiscono con attenzione, simpatia e partecipazione al grande e difficile impegno di sviluppo della Cina di oggi, fino ai paragrafi conclusivi rivolti alle diverse componenti della comunità cattolica, tutta la lettera guarda in una prospettiva molto positiva e ricca di speranza verso la crescita di una Chiesa che sia pienamente cinese e pienamente cattolica. Una Chiesa inserita vitalmente e costruttivamente nella vicenda del suo popolo e della sua cultura, solidale e capace di portare ad esso la ricchezza spirituale del Vangelo e della testimonianza operosa della fede. La Chiesa vuole e può essere veramente cinese, vuole essere per la Cina, per offrirle il Vangelo di Gesù e senza cercare nulla per sé stessa. Sarà e potrà essere veramente cinese, quanto più e quanto meglio potrà essere pienamente se stessa. Questo è in ultima analisi, il grande, fiducioso e meraviglioso, messaggio del Papa.

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VATICANO – CINA

Il Vaticano alla conquista della Cina che cambia

Per decenni il dialogo diplomatico è stato inesistente; oggi vi sono segni di apertura. Mentre nella Repubblica popolare scoppia una rinascita religiosa, le Associazioni Patriottiche cercano di mantenere il loro potere ideologico ed economico sulle chiese. Un’analisi sulla storia dei rapporti diplomatici fra Santa Sede e Pechino.

Roma (AsiaNews) - I rapporti con la Cina sono nella mente di Benedetto XVI fin dai primi giorni del suo pontificato. A poche settimane dalla sua elezione, nel suo primo discorso al Corpo diplomatico (12 maggio 2005), egli si è rivolto “anche alle nazioni con cui la Santa Sede ancora non intrattiene rapporti diplomatici”. In quell’occasione egli ha pure tracciato il quadro di una possibile relazione diplomatica con la Repubblica popolare, chiedendo non privilegi per la Chiesa, ma solo “condizioni di libertà e di azione per la sua missione” per “offrire la sua collaborazione per la salvaguardia della dignità di ogni uomo ed il servizio del bene comune”. Anche all’annuncio mesi fa della Lettera ai cattolici cinesi, pubblicata oggi, il Vaticano ha sottolineato il desiderio di approfondire un “dialogo rispettoso e costruttivo con le Autorità governative, per superare le incomprensioni del passato”, auspicando “di pervenire a una normalizzazione dei rapporti ai vari livelli”.

La stessa posizione è stata propugnata da Giovanni Paolo II che, nei suoi 27 anni di pontificato ha dedicato oltre 30 discorsi alla “grande nazione cinese” e alla Chiesa in Cina, offrendo dedizione e servizio alla società e domandando in cambio solo la libertà religiosa (e quindi di nominare i vescovi). Proprio la morte del papa polacco – “colpevole” agli occhi di Pechino di aver fatto crollare il comunismo in Russia e nell’Europa dell’est – ha generato una nuova fase nei rapporti fra Cina e Santa Sede.

Attraverso incontri molto discreti fra il Vaticano e l’ambasciata cinese presso lo stato italiano, si era giunti a concordare che alcuni vescovi cinesi partecipassero al Sinodo sull’Eucarestia e che le suore di Madre Teresa aprissero una casa per anziani e poveri in Cina. Nulla di tutto ciò si è verificato: i 4 vescovi invitati, non hanno mai ricevuto il permesso di lasciare il Paese; le suore, benché invitate ufficialmente, non hanno mai ricevuto (almeno finora) il visto per stabilirsi in Cina, a Qingdao.
È comunque innegabile una maggiore volontà e apertura da parte di Pechino. Tanto che nel 2006, dopo la visita di una delegazione vaticana in Cina, il governo ha promesso che avrebbe bloccato le ordinazioni episcopali illecite volute dall’Associazione Patriottica e che avevano irritato la Santa Sede, definendole “atti estremamente gravi, che offendono i sentimenti religiosi di ogni cattolico in Cina e nel resto del mondo….conseguenza di una visione della Chiesa, che non corrisponde alla dottrina cattolica”.

I nuovi passi di distensione devono però fare i conti con l’Associazione patriottica, l’organismo del governo che da 50 anni controlla la Chiesa cattolica e vuole costituire una comunità cristiana indipendente dal Vaticano. In una Cina che negli ultimi 20 anni è divenuta una grande potenza economica capitalista, l’Ap – e il ministero per gli Affari religiosi – rimangono feudo di una fazione stalinista che frena ogni spiraglio di libertà per motivi ideologici ed economici, gestendo essi – e dilapidando per fini privati - i beni della Chiesa.

Certo il Vaticano non è più condannato come “il cane randagio del capitalismo occidentale”, come negli anni ’50; ormai nelle chiese ufficiali – riconosciute dal governo – si prega per il papa nelle messe, ma sulle nomine dei vescovi e la gestione dei beni della Chiesa, l’Ap non transige.
Per questo, mentre nel Partito, negli ultimi anni, si sono alzate voci a favore della libertà religiosa, l’Ap ha fatto di tutto per bloccare ogni segno di avvicinamento fra Cina e Vaticano. È avvenuto nel 2006, con le ordinazioni episcopali illecite; è avvenuto nel 2000 con la campagna contro la canonizzazione dei martiri cinesi, l’ordinazione (anche questa illecita) di 7 vescovi, l’arresto di vescovi e sacerdoti sotterranei.

Il punto è che l’attività dell’Ap trova sempre più resistenza nei vescovi e nei fedeli. Dopo la Rivoluzione culturale – in cui vescovi patriottici e sotterranei si sono incontrati negli stessi lager e oggetto della stessa persecuzione – e dopo il massacro di Tiananmen dell’89, che ha segnato la fine della stima verso il Partito comunista, sempre più vescovi nominati dal governo hanno domandato in segreto di poter essere riconciliati con il papa. Grazie all’opera magnanima di Giovanni Paolo II ormai si può dire che Chiesa ufficiale e Chiesa sotterranea sono profondamente unite.
Le ruberie e le violenze contro la Chiesa trovano sempre più suore, preti, vescovi che dimostrano, scrivono, denunciano membri dell’Ap e del Partito, la cui corruzione manda in frantumi l’idea della “società armoniosa” tanto cara ad Hu Jintao.

L’ultima spiaggia dell’Ap e del Partito (o una parte di esso) è quella di accusare il Vaticano di avere rapporti con Taiwan. Per decenni la Cina ha usato il disco rotto delle due “pre-condizioni” per ogni dialogo diplomatico con la Santa Sede: non interferire negli affari interni della Cina, usando il manto della religione; rompere i rapporti con Taiwan. Che la rottura con Taiwan fosse un pretesto senza spessore, è divenuto evidente nel ’99 quando il card. Sodano, allora segretario di stato, ha ricordato al mondo che l’ambasciata vaticana a Taipei era in realtà quella di Pechino e che il Vaticano sarebbe stato disposto a ritornare in Cina “non domani, ma stanotte”. Fu infatti Mao Zedong a rifiutare la presenza del nunzio Antonio Riberi nella Repubblica popolare appena fondata e ad espellerlo dalla Cina nel 1951. Solo nel 1952, e dopo molte tergiversazioni, aspettando sempre segnali da Pechino, l’arcivescovo Riberi, si trasferì a malincuore a Taiwan.

L’altra “pre-condizione” rimane invece il vero ostacolo. Nella “non interferenza” gli ideologi del Partito comprendono anche le nomine dei vescovi e l’attività dell’Ap.
Il futuro dei rapporti diplomatici dipende perciò dalla concezione che la Cina si è fatta della libertà religiosa. Ancora nell’82 un documento segreto del Pcc voleva distruggere le religioni e costruire una chiesa indipendente e autonoma da Roma. Nel ’99, mentre vi sono segnali di ripresa di dialoghi diplomatici, un altro documento segreto del Pcc afferma che bisognava sottomettere tutti i vescovi e i sacerdoti sotterranei all’obbedienza sotto l’Ap, su minaccia di prigione o di isolamento.

A favore di uno svolgimento positivo dei rapporti vi è il pragmatismo di Hu Jintao e del suo gruppo, che lavora per una modernizzazione della Cina e per un’immagine gloriosa della nazione, da presentare alle Olimpiadi del 2008. I rapporti col Vaticano sarebbero il coronamento della nuova immagine della Cina nel concerto mondiale. A favore di un’involuzione vi è l’anarchia e la corruzione dei membri del Partito che remano ognuno per suo conto nel selvaggio sviluppo economico cinese, cercando di conservare privilegi e controlli.

Ma intanto, la società cinese è ormai cambiata: centinaia di rivolte e manifestazioni contro la corruzione scuotono ogni giorno molte province cinesi e la religione, invece che essere seppellita come “oppio del popolo”, guadagna sempre più aderenti anche fra i delusi membri del Partito. E forse sarà proprio la religione a salvare la Cina dallo sfascio e dal crollo.

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