8 luglio 2007

Messa tridentina: il commento del cardinale Castrillón Hoyos


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«Decisione che spalanca le porte al ritorno dei fedeli lefebvriani»

di Redazione

È il cardinale che ha tessuto pazientemente le trattative con i lefebvriani e ha seguito i gruppi tradizionalisti. Darío Castrillón Hoyos, presidente della commissione «Ecclesia Dei» è il più stretto collaboratore di Benedetto XVI su questi temi.

Che significato ha la decisione del Papa?

«La lettera del Pontefice è chiara. È una decisione che scaturisce dal cuore e dall’intelligenza di un Papa che ama e conosce bene la liturgia. Vuole che si conservi il patrimonio rappresentato dalla liturgia antica, senza che questo significhi alcuna contrapposizione con la nuova Messa. A Roma sono arrivate migliaia di lettere da parte di chi chiedeva la libertà di poter partecipare al vecchio rito».

C’è chi ha detto che così Ratzinger «sbeffeggia» il Concilio...

«In nessun modo e con nessuna espressione Benedetto XVI è andato o va in una direzione diversa da quella indicata dal Concilio. La nuova Messa continua ad essere il rito romano ordinario. Nel Motu proprio e nella lettera papale non c’è nulla che segni un seppur minimo distacco dal Concilio. Forse vale la pena ricordare che il Vaticano II non ha proibito l’antica Messa, che è stata celebrata dai padri conciliari durante le assise. Nessuno sbeffeggio, nessuno schiaffo. È un venire incontro alle esigenze di gruppi di fedeli, un atto di liberalità».

È un atto di continuità o di rottura rispetto ai pontificati di Montini e Wojtyla?

«Non c’è contrapposizione. Paolo VI concesse subito dopo l’entrata in vigore del nuovo messale la possibilità di celebrare col vecchio rito e Papa Wojtyla intendeva preparare un Motu proprio simile a quello ora promulgato».

L'autorità del vescovo viene minata?

«Chi l’ha sostenuto, l’ha fatto sulla base di un preconcetto perché il ruolo del vescovo è assicurato, il diritto canonico non cambia. Spetta al pastore della diocesi coordinare la liturgia, in armonia con l’ordinatore supremo del culto divino, che è il Papa. In caso di problemi, il vescovo interverrà, sempre in consonanza con le disposizioni stabilite dal Motu proprio. Sono certo che la sensibilità pastorale dei vescovi troverà la strada per favorire l’unità della Chiesa, aiutando ad evitare uno scisma».

Come la mettiamo con la preghiera del Venerdì Santo dedicata agli ebrei?

«Il messale autorizzato è quello del 1962, promulgato da Giovanni XXIII, nel quale le espressioni “perfidis judaeis” e “judaica perfidia” erano già state cancellate».

Eppure ci sono gruppi che ora ripubblicano vecchi messali contenenti proprio quei testi...

«Sarebbe bene che non ci fosse confusione in merito. L’unico messale autorizzato, anche per la celebrazione del Triduo pasquale, che potrà essere fatta nelle parrocchie, è quello del 1962».

Prevede difficoltà?

«Non conosco, nella storia della Chiesa, alcun momento in cui si sono prese decisioni importanti senza difficoltà. Ma auspico vivamente che possano essere affrontate e superate, con l’approccio suggerito dal Papa nella sua lettera».

Dopo questa decisione la fine della rottura con i lefebvriani è più vicina?

«Con questo Motu proprio si spalanca la porta per un ritorno alla piena comunione della Fraternità San Pio X. Se dopo questo atto non avviene questo ritorno, davvero non lo saprei capire. Vorrei però precisare che il documento papale non è stato fatto per i lefebvriani, ma perché il Papa è convinto della necessità di sottolineare che c’è una continuità nella tradizione e che nella Chiesa non si procede per fratture. L’antica Messa non è stata mai abolita né proibita».

© Copyright Il Giornale, 8 luglio 2007

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