8 luglio 2007

Messa tridentina: lo speciale de "Il Corriere della sera"


Vedi anche:

SPECIALE: IL MOTU PROPRIO "SUMMORUM PONTIFICUM"

IL TESTO DEL MOTU PROPRIO (in italiano)

LA LETTERA DEL SANTO PADRE AI VESCOVI PER PRESENTARE IL MOTU PROPRIO.

SPECIALE: IL MOTU PROPRIO CHE LIBERALIZZA LA MESSA IN LATINO (articoli e commenti precedenti la pubblicazione del motu proprio).

Il motu proprio "Summorum Pontificum", qualche riflessione (di Raffaella)

Messa tridentina: il commento di Padre Lombardi

Buona domenica a tutti


Via libera alla messa in latino Il Papa: atto di riconciliazione

Pubblicato il documento che «liberalizza» l'uso del messale tridentino Timori dei vescovi francesi e svizzeri. Le comunità di base: anticonciliare

Luigi Accattoli

CITTÀ DEL VATICANO — Piena accoglienza del desiderio di «non pochi» cattolici di usare «liberamente» il vecchio messale. Un passo indietro rispetto alla riforma di papa Montini che aveva reso normativa per tutti la nuova messa. Massimo impegno nell'andare incontro al movimento lefebvriano, accogliendo la sua istanza di bandiera e chiedendogli insieme di accettare a propria volta come legittima — in spirito di reciprocità — la messa montiniana.
Sono le tre intenzioni di fondo dei testi pubblicati ieri dal Papa: un «motu proprio» «sull'uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970» e una «lettera ai vescovi di tutto il mondo» per invitarli «con fiducia e speranza» ad accogliere le nuove direttive, che andranno in vigore il 14 settembre.
Il «motu proprio» dalle prime parole latine si intitola «Romanorum pontificum» (dei pontefici romani). Afferma che il vecchio «messale romano » non fu mai «abrogato » e che esso — nell'edizione rivista da Giovanni XXIII nel 1962 — e il nuovo, promulgato da Paolo VI nel 1970, sono da intendere come «due usi dell'unico rito romano», costituendone il primo un'«espressione straordinaria» e il secondo «l'espressione ordinaria ».
Fino a ieri per l'uso del vecchio messale era necessaria l'autorizzazione del vescovo, ora quell'uso è libero, ad alcune «condizioni» la principale delle quali è che «i sacerdoti delle comunità aderenti all'uso antico non escludano, in linea di principio, la celebrazione secondo i libri nuovi ». Questo è un punto dolente, perché si sa che il movimento lefebvriano — per esempio — la esclude.
I sacerdoti possono usare il vecchio messale ogni volta che vogliono nelle celebrazioni «senza il popolo». Altrettanto possono fare le «comunità religiose» (monaci e frati) al proprio interno.
La richiesta dell'uso dello stesso messale nelle celebrazioni «con il popolo» va rivolta ai parroci, che l'«accoglieranno volentieri» purché sia avanzata da un «gruppo stabile » di fedeli (una prima bozza diceva «da almeno trenta »). Tale celebrazione si potrà avere sia nei giorni feriali sia in quelli festivi. Con gli stessi criteri si potranno celebrare con il vecchio rito battesimi, matrimoni, confessioni e unzione degli infermi.
Nella lettera ai vescovi Benedetto spiega così la «ragione » della sua decisione: «Giungere a una riconciliazione all'interno della Chiesa». Qualifica come «infondato» il «timore» che «venga messa in dubbio» l'«autorità del Concilio» e quello di «spaccature nelle parrocchie». Il Papa rassicura i timorosi della spaccatura — che sono in particolare i vescovi francesi, svizzeri, britannici e statunitensi — affermando che la messa di Paolo VI «rimarrà certamente la forma ordinaria del rito romano» e accennando al fatto che la ricerca del vecchio messale «presuppone una certa formazione liturgica e un accesso alla lingua latina», condizioni che «non si trovano tanto di frequente ».
Difendono la decisione del Papa ma invitano a «non sottovalutare » possibili «incomprensioni delle sue motivazioni » e il «rischio di divisioni» il cardinale francese Jean-Pierre Ricard e l'arcivescovo svizzero Kurt Koch, presidenti degli episcopati dei due Paesi più coinvolti nella disputa con i tradizionalisti di Lefebvre. Fiduciosi sulla «buona accoglienza» sono i cardinali Murphy-O'Connor (inglese) e Karl Lehman (tedesco). In Italia entusiasmo viene espresso dalla Lega Nord per bocca di Mario Borghezio: «La Padania cristiana ringrazia per il ritorno alla messa tradizionale». La scelta del Papa è invece qualificata come «anticonciliare» dalle Comunità cristiane di base.

© Copyright Corriere della sera, 8 luglio 2007

Non qualificherei il motu proprio come un passo indietro ma, semmai, due passi avanti verso l'unita' della Chiesa.
Raffaella


IL MESSALE

Ritorna nei riti del Venerdì Santo la preghiera per convertire gli ebrei

Luigi Accattoli

CITTÀ DEL VATICANO — Torna ad avere piena cittadinanza nella Chiesa la messa di prima del Concilio e torna — con essa — la preghiera del Venerdì Santo «per la conversione degli ebrei» secondo la versione «emendata» del 1962, che nella riforma del 1970 fu invece completamente rifatta. E' un testo a metà tra l'antica formula che invocava la «misericordia» divina sui «perfidi giudei » e quella della nuova liturgia che chiede al Signore di aiutarli a «progredire nella fedeltà alla sua alleanza».
Dire che quella preghiera «torna» non è esatto perché in verità essa non se ne era mai andata completamente: sempre ci sono state persone e gruppi autorizzati all'uso del vecchio messale e dunque anche alla recita di quella «orazione». Ma è giusto dire che essa torna alla piena cittadinanza, come tutta la vecchia liturgia. Non più tollerata e occasionalmente autorizzata, ma pienamente legittima, come — dice papa Benedetto — «espressione straordinaria» del «rito romano», accanto alla sua «espressione ordinaria» rappresentata dalla liturgia riformata da Paolo VI.
Prima degli emendamenti introdotti da Giovanni XXIII, quella preghiera — risalente al secolo VII — suonava così: «Preghiamo anche per i perfidi giudei: perché il Signore nostro Dio tolga il velo dai loro cuori in modo che possano conoscere il nostro Signore Gesù Cristo. Dio Onnipotente ed eterno, che non scacci dalla tua misericordia neanche la perfidia giudaica, ascolta le nostre preci, che ti rivolgiamo per l'accecamento di quel popolo, affinché riconosciuta la verità della tua luce, che è il Cristo, sia sottratto alle sue tenebre».
Fin dalla sua prima Pasqua nel 1959 Giovanni XXIII fece togliere dalla preghiera l'aggettivo «perfidi» e l'espressione «perfidia giudaica» e dunque si venne a pregare «per i giudei» (la liturgia era ancora tutta latina e la parola era «iudeis») e nel secondo passaggio si diceva «che non scacci dalla tua misericordia neanche i giudei».
Le modifiche introdotte nel 1959 nella celebrazione papale e poi estese alla diocesi di Roma e infine a tutta la Chiesa sono state successivamente recepite nell'edizione del 1962 del «messale romano», che è quello al quale ora papa Benedetto ridà piena cittadinanza.
Nel testo emendato da papa Giovanni — e che in seguito al «motu proprio» di ieri potrebbe avere un più ampio uso rispetto a quello marginale di cui fruiva fino a ora — non c'è più quel duplice richiamo alla «perfidia giudaica» ma resta l'intestazione della preghiera «per la conversione degli ebrei» e restano le parole «velo», «accecamento» e «tenebre». Siamo cioè lontani dallo «spirito conciliare» che per la riforma del 1970 detterà questa nuova formula, che lo stesso papa Benedetto utilizza il Venerdì Santo in San Pietro e che si continuerà a usare ordinariamente nell'insieme della Chiesa cattolica nonostante il provvedimento emanato ieri: «Preghiamo per gli ebrei. Il Signore Dio nostro, che li scelse primi fra tutti gli uomini ad accogliere la sua parola, li aiuti a progredire sempre nell'amore del suo nome e nella fedeltà alla sua alleanza».

© Copyright Corriere della sera, 8 luglio 2007


«Passo indietro anche senza la parola perfidi»

Al. T.

ROMA — «Se si insegna ai giovani che gli ebrei devono essere convertiti, allora finiranno per guardare a loro con disprezzo, come esseri inferiori. Così si rischia di alimentare l'antisemitismo». Lisa Palmieri è rappresentante in Italia e presso la Santa Sede dell'American Jewish Committee e corrispondente del Jerusalem Post.

Torna la messa in latino. E torna anche la preghiera per gli ebrei «da convertire» .

«Così sembra, anche se in Vaticano ho trovato opinioni discordanti, perché il passaggio è ambiguo. Se così fosse, come mi ha assicurato il segretario di una commissione vaticana, sarebbe un ritorno al passato».

E come viene giustificato?

«Spiegando che è stato tolto il passaggio che parlava di "perfidi ebrei". Ma questo non è sufficiente ».
«Perché rimane la preghiera per la conversione. Che è la morte del dialogo».

Ma per la Chiesa non c'è salvezza senza conversione.

«Lo so che la preghiera ha buone intenzioni. Ma se, come dice Paolo, le promesse di Dio non sono state revocate, la prima alleanza è valida. E allora? ».

L'antisemitismo è ancora vivo?

«L'antisemitismo non è morto del tutto e infatti ogni tanto si sentono risuonare le antiche accuse di deicidio o del rito del sangue, spesso collegate con ambienti del mondo arabo».

Anche nella Chiesa c'è un residuo di antisemitismo?

«Sì, in particolare temo che riprendano terreno i gruppi lefebvriani e di Pio X, che al loro interno hanno ancora delle frange antisemite».

C'è una responsabilità anche di Benedetto XVI?

«Non credo, questo Papa è stato bravissimo. Il suo primo atto è stato andare in Germania e incontrare la comunità ebraica. È un pontefice che privilegia il dialogo, lo conosco bene perché l'ho anche intervistato nel '90. Per questo mi sono molto meravigliata. Forse non si è accorto o ha sottovalutato la portata della preghiera. Spero che si possa rivedere il testo: forse si fa ancora in tempo a cambiare».

© Copyright Corriere della sera, 8 luglio 2007

Censurare preventivamente il Messale e, preventivamente, accusare i fedeli di antisemitismo non mi pare corretto...
Sempre sul "Corriere" c'e' una bella intervista di Vittorio Messori a Mons. Fellay (Lefebvriani) che leggeremo di seguito in un post apposito.
Raffaella

5 commenti:

francesco ha detto...

mi meraviglio delle inesattezze di accattoli:
- anche per le celebrazione con il popolo basta la decisione del sacerdote... il caso del gruppo stabile dei fedeli è quando la richiesta viene, appunto, dai fedeli e non dalla decisione del prete...
- dal documento è chiaro che la riconciliazione con i lefreviani non è tra i fini del motu proprio e non si capisce perché si parla sempre di 'sta storia: le loro dichiarazioni di ieri in tal senso sono lampanti
- sulla preghiera sugli ebrei la questione non sussiste: è presente nella liturgia del triduo pasquale che è positivamente escluso dal documento nella celebrazione... a meno che non si tratti di parrocchia personale (o altre realtà che avranno delle dispense dalla santa sede)
per passo indietro, invece, penso intenda il riferimento agli abusi...

Anonimo ha detto...

Se non sbaglio il chiodo fisso dei lefevriani era anche il suo caro Don francesco!!!!!!!!

mariateresa ha detto...

grazie Francesco.
Anch'io sono stupita dalle imprecisioni di Accattoli. E' il caldo o bisogna riempire con qualcosa i giornali?
Vorrei tanto che qulcuno con pratica di redaioni di giornali mi rispondesse.

francesco ha detto...

caro luca... i lefreviani non sono mai stati il mio chiodo fisso... restano invece i miei chiodi fissi (e continuo a vedere con preoccupazione) certi gruppi tradizionalisti all'interno della Chiesa...
francesco

Anonimo ha detto...

a parte i Lefreviani, non vedo altri gruppi tradizionalisti in giro me ne indichi qualcuno......