8 luglio 2007

Messa tridentina: gli speciali de "Il Giornale" e de "La Stampa"


Vedi anche:

SPECIALE: IL MOTU PROPRIO "SUMMORUM PONTIFICUM"

IL TESTO DEL MOTU PROPRIO (in italiano)

LA LETTERA DEL SANTO PADRE AI VESCOVI PER PRESENTARE IL MOTU PROPRIO.

Vittorio Messori intervista Bernard Fellay, superiore dei Lefebvriani (Corriere)

Antonio Socci: mi sento piu' a casa...

Messa tridentina: lo speciale de "La Repubblica"

Messa tridentina: lo speciale de "Il Corriere della sera"

Il motu proprio "Summorum Pontificum", qualche riflessione (di Raffaella)

Buona domenica a tutti

(foto de "La Stampa")

«La messa in latino unisce i fedeli»

di Andrea Tornielli

C’è stato chi, dalle colonne di un quotidiano, si diceva certo, anzi certissimo, che il Papa non l’avrebbe mai firmato. Chi, seguendo la dottrina Bush, ha combattuto la sua «guerra preventiva» contro un documento di cui non conosceva il contenuto. Chi ha addirittura detto che Papa Ratzinger liberalizzando l’antico messale avrebbe «sbeffeggiato» il Concilio.

Benedetto XVI, con il Motu proprio e la lettera pubblicati ieri, ha preso una decisione coraggiosa e per certi versi epocale, peraltro in linea con le posizioni che aveva espresso negli ultimi vent’anni su questa materia. Non si torna indietro, non si abolisce il Vaticano II.

I timorosi che hanno paventato un tuffo nell’oscurità del passato - come se i cinque secoli durante i quali si è usato il rito di San Pio V fossero una triste parentesi da dimenticare - possono stare tranquilli. Non ci saranno, almeno in Italia, frotte di fedeli agguerriti a bussare alle parrocchie pretendendo le vecchie celebrazioni, e chi va a messa la domenica non si troverà improvvisamente di fronte a liturgie sconosciute e vetuste. Con una punta di ironia, lo stesso Ratzinger tranquillizza tutti spiegando che l’antico rito «presuppone una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina» che «non si trovano tanto di frequente». A nessuno sarà imposto o impedito alcunché, verrà soltanto impedito di impedire la celebrazione secondo il rito antico.
Perché, allora, questa decisione, se in fondo riguarda una minoranza di fedeli, peraltro in qualche caso anche portatori di nostalgiche posizioni socio-politiche in stile ancien régime? «Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura», spiega Benedetto XVI, e «si tratta di giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa». Il messale antico non è stato mai proibito né mai abolito. Il Papa apre dunque la porta a tutti i tradizionalisti, compresi i fedeli lefebvriani, il cui mancato ritorno alla piena comunione, dopo questo documento, apparirebbe inspiegabile.

È comunque ben strano che chi invoca un giorno sì e l’altro pure maggiore democrazia nella Chiesa non tenga in alcun conto le richieste provenienti dal basso, dai gruppi di fedeli tradizionalisti. Così come è ben strano che chi quotidianamente combatte contro un certo potere clericale, lo invochi per affermare che i tradizionalisti non hanno il diritto alla celebrazione secondo il vecchio rito.
Diciamola tutta: i veri «ispiratori» inconsapevoli del Motu proprio sono quei vescovi i quali negli ultimi anni, disattendendo la richiesta di Giovanni Paolo II che li aveva invitati ad essere generosi nell’autorizzare la vecchia messa, hanno opposto rifiuti e in diversi casi non hanno nemmeno voluto parlare con questi fedeli. Salvo poi concedere, magari, le chiese della diocesi ai «fratelli separati» dell’ortodossia o ai protestanti, incuranti però di quei fratelli «uniti» nella fede anche se portatori di una diversa sensibilità liturgica. È stato detto che questa decisione papale mette a repentaglio l’unità della Chiesa. In realtà nella Chiesa le diversità, anche liturgiche, sono state sempre considerate una ricchezza e non si vede perché un rito cattolico usato da grandi santi debba essere oggi considerato alla stregua di una pericolosa bomba ad orologeria. Andrebbe poi ricordato che questa preoccupazione per l’unità liturgica non è stata quasi mai invocata quando si è trattato di intervenire di fronte a certi abusi del postconcilio. Si può dire messa con i burattini, si possono trasformare le liturgie in show, si può ballare e recitare il Padre Nostro con le melodie dei Beatles, si possono cambiare i testi, si può persino omettere parte del canone senza che qualcuno intervenga. Solo il messale di San Pio V romperebbe l’unità.
Quello del Papa è, invece, un atto in linea con le direttive di Giovanni Paolo II, e l’offerta benevola di una maggiore libertà nell’uso del rito antico per favorire la riconciliazione non può che essere bene accolta anche da quanti, come chi scrive, non sono tradizionalisti e si sentono pienamente a loro agio con la nuova messa ben celebrata.

© Copyright Il Giornale, 8 luglio 2007


Pubblicato ieri il Motu proprio che autorizza il messale preconciliare nelle parrocchie.

Benedetto XVI scrive ai vescovi: non è un passo indietro rispetto al Concilio «La Messa in latino torna per unire la Chiesa»

Il Pontefice ha promulgato le nuove norme, in vigore dal 14 settembre. I fedeli potranno ricevere i sacramenti secondo l’antico rito

di Andrea Tornielli

Il messale preconciliare in latino, mai abolito né ufficialmente proibito, è stato liberalizzato ieri da Benedetto XVI con la pubblicazione del Motu proprio «Summorum Pontificum cura». Un documento coraggioso che entrerà in vigore il prossimo 14 settembre, festa dell’esaltazione della Santa Croce: i fedeli attaccati al vecchio rito potranno rivolgersi direttamente ai parroci per chiedere la celebrazione dell’antica Messa nelle domeniche e nelle festività, triduo pasquale compreso. Papa Ratzinger ha accompagnato il documento con una lettera inviata ai vescovi nella quale spiega le ragioni del suo gesto.

Ecco le novità più rilevanti: nelle parrocchie in cui «esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica», il parroco è invitato ad accogliere volentieri le loro richieste. Il messale autorizzato è quello del 1962 e potrà essere usato nei «nei giorni feriali, nelle domeniche e nelle festività», ma anche per celebrare «esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi» e per i sacramenti, dal battesimo alla cresima, dal matrimonio all’unzione degli infermi. Le letture «possono» (non debbono) «essere proclamate anche nella lingua vernacola». I preti potranno usare il vecchio messale per le messe private (quelle fuori orario, alle quali però possono assistere fedeli) senza chiedere permesso a nessuno, così come potranno recitare il breviario secondo le antiche formule. Il vescovo interverrà nel caso sorgano difficoltà, ma è «vivamente invitato ad esaudire il desiderio» dei tradizionalisti e potrà istituire una «parrocchia personale» dedicata ai tradizionalisti. L’ultima istanza sarà la commissione «Ecclesia Dei», incaricata di vigilare sull’osservanza delle nuove disposizioni.

Nella lettera, Benedetto XVI risponde alle obiezioni preventive sollevate contro la sua decisione, spiegando che il nuovo messale «è e rimane la forma normale» di Messa. Quella antica sarà infatti una forma straordinaria dello stesso rito romano. Ratzinger ricorda poi che alcuni fedeli si sono riavvicinati all’antica liturgia «perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della liturgia al limite del sopportabile». Parlando «per esperienza» diretta, il Papa ricorda di aver «visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa». Il Motu proprio intende dunque offrire «un regolamento giuridico più chiaro» e «liberare i vescovi dal dover sempre di nuovo valutare come rispondere alle diverse situazioni». Quanto al timore di disordini e spaccature che la liberalizzazione potrebbe provocare, Benedetto XVI ritiene il rischio «non realmente fondato», dato che l’uso del vecchio messale «presuppone» una certa formazione liturgica e «un accesso alla lingua latina» oggi poco frequente. Il Papa riconosce che «non mancano esagerazioni e qualche volta aspetti sociali indebitamente vincolati all’attitudine» dei fedeli tradizionalisti, ma chiede ai vescovi «carità e prudenza pastorale» auspicando che si celebri «con grande riverenza» anche la nuova Messa. Ratzinger accenna poi alla necessità di fare tutti gli sforzi possibili per mantenere o ritrovare l’unità anche con questi fedeli e precisa che «ovviamente per vivere la piena comunione anche i sacerdoti delle comunità aderenti all’uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi». Infine, l’invito ai vescovi a scrivere alla Santa Sede un resoconto a tre anni dall’entrata in vigore del Motu proprio, per valutare soluzioni alle eventuali difficoltà. Bernard Fellay, il superiore dei lefebvriani, ha espresso «viva gratitudine» a Benedetto XVI, non nascondendo però «le difficoltà che ancora sussistono» sui problemi dottrinali. Mentre preoccupazione è stata espressa dal cardinale Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux, che in un’intervista all’agenzia francese I-Media esprime la sua «paura che le motivazioni del Papa non siano ben comprese».

© Copyright Il Giornale, 8 luglio 2007


Benedetto XVI e lefebvriani più vicini

CITTÀ DEL VATICANO
La palla ora è nel campo dei seguaci di monsignor Lefebvre, mentre in tutto il mondo i «tradizionalisti», in comunione con Roma o no, festeggiano la liberalizzazione della messa di San Pio V. Un esempio per tutti: su un blog di cattolici vecchio stile si invita a partecipare a una cerimonia liturgica, seguita da festa, a Berlin, New Jersey; con «champagne, sidro frizzante, e ciascuno si porti il suo sigaro». Il «Motu proprio» di Benedetto XVI ha meritato naturalmente una risposta da parte della Fraternità Sacerdotale San Pio X, i seguaci scismatici di monsignor Lefebvre, che esprimono «compiacimento» e «gratitudine» per il via libera alla messa in latino. Ma per loro questo deve essere solo l’inizio. Se, ammettono, il documento pontificio «ha ristabilito nei suoi diritti la messa tridentina, affermando con chiarezza che il Messale Romano promulgato da San Pio V non è mai stato abrogato», i contrasti e le divergenze sono ben più profondi. Scrive monsignor Bernard Fellay, Superiore Generale: «La lettera che accompagna il Motu proprio non nasconde tuttavia le difficoltà che ancora sussistono. La Fraternità San Pio X auspica che il clima favorevole instaurato dalle nuove disposizioni della Santa Sede permetta - dopo il ritiro della scomunica che colpisce ancora i suoi vescovi - di affrontare con più serenità i punti dottrinali in questione». In pratica la Fraternità chiede, prima di continuare il dialogo con Roma per sanare la frattura aperta dal vescovo Lefebvre, che il Papa ritiri le scomuniche comminate quando il presule francese nel 1988, sentendosi prossimo alla fine, ordinò alcuni vescovi; validamente, ma contro la volontà del Papa e di Roma.
Oggi la Fraternità San Pio X, movimento conservatore in contrasto con le riforme conciliari, conta circa 600 mila seguaci in 62 paesi, con quasi 500 sacerdoti. Don Davide Pagliarani, riminese, ordinato 11 anni fa da monsignor Fellay e responsabile del priorato italiano della Fraternità, ritiene che «il Motu proprio è un inizio. Ci sono altre deviazioni del Concilio Vaticano II da approfondire e che hanno trovato espressione nella riforma liturgica». E le difficoltà emergono immediatamente: se il Papa nella sua lettera scrive che «i sacerdoti delle Comunità aderenti all’uso antico non possono, in linea di principio, escludere la celebrazione secondo i libri nuovi», la risposta è negativa. «Non possiamo riconoscere questo tipo di liturgia. Ogni liturgia infatti esprime una certa ecclesiologia. E noi siamo legati alla tradizione».
Risponde il cardinale Castrillon Hoyos, presidente della Commissione «Ecclesia Dei», nata per curare i rapporti con i tradizionalisti: «I sacerdoti lefebvriani hanno sempre chiesto la possibilità che ogni sacerdote possa celebrare la messa di San Pio V. Ora questa facoltà viene ufficialmente e formalmente riconosciuta. D’altra parte il Papa ribadisce che la messa che noi tutti officiamo ogni giorno, quella del Novus ordo, rimane la modalità ordinaria di celebrare l’unico rito romano, e quindi non si può negare né il valore né tanto meno la validità del Novus ordo: questo deve essere chiaro».
Ma il «Motu proprio», che è una mano tesa rivolta a Fellay, può sottrarre fedeli al «bacino di utenza» lefebvriano. Un fedele che ama la vecchia messa, e può averla, restando in comunione con il Papa, è certamente meno tentato di ieri dall’avventura «scismatica». In un’intervista a «Trenta Giorni» Castrillon afferma che «a Roma sono arrivate migliaia di lettere» per chiedere la libertà di poter assistere alla messa tridentina e che «Giovanni Paolo II voleva preparare un motu proprio simile a quello pubblicato oggi».

© Copyright La Stampa, 8 luglio 2007


La lettera ai vescovi «Nessuna rottura con il Concilio»

MARCO TOSATTI

CITTÀ DEL VATICANO

Benedetto XVI (e il suo Segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone) macinano lento, ma macinano fino: due anni dopo aver ricevuto in udienza a Castel Gandolfo il leader dei lefebvriani, monsignor Fellay, Joseph Ratzinger ha «liberalizzato» la messa di San Pio V nella versione del 1962 di Giovanni XXIII. Era un vecchio debito con se stesso, quello pagato ieri dal Papa. Scriveva nella sua autobiografia: «Rimasi sbigottito per il divieto del messale antico, dal momento che una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia». Dal 14 settembre prossimo sarà possibile chiedere al parroco la celebrazione della messa secondo il vecchio messale; Benedetto XVI ha scritto una lettera ai presuli di tutto il mondo per spiegare, chiarire e tranquillizzare. «C’è il timore che venga intaccata l’autorità del Concilio Vaticano II e che una delle sue decisioni essenziali, la riforma liturgica, venga messa in dubbio». Questo è infondato, dice Benedetto XVI, perché la messa di Paolo VI «è e rimane la Forma normale». L’altra è quella «straordinaria»; si tratta di «due forme dell’unico e medesimo rito», anche perché il vecchio messale «non è mai stato giuridicamente abrogato, e di conseguenza, in principio restò sempre permesso».
Nel movimento lefebvriano la messa «vecchia» divenne una bandiera; ma, ricorda Benedetto XVI, molte persone, nella Chiesa, «desideravano ritrovare la forma, a loro cara della sacra liturgia»; e questo avvenne perché in molti luoghi ci sono state «deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile» a causa dell’errata interpretazione delle nuove regole, «deformazioni arbitrarie». C’è poi il timore che il «Motu proprio» porterebbe a «disordini o addirittura a spaccature nelle comunità parrocchiali». Papa Ratzinger non ci crede: anche perché l’uso del messale antico, e la lingua latina non godono di tanta popolarità. Il documento vuole «giungere a una riconciliazione interna nel seno della Chiesa». Perché, osserva il Papa, in tutte le crisi della Chiesa, si ha l’impressione che i responsabili non abbiano fatto abbastanza: «Le omissioni nella Chiesa hanno avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare». E ora c’è l’obbligo di «fare tutti gli sforzi» per ritrovare l’unità.
Commenta il più grande oppositore del «Motu Proprio», il cardinale Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux e presidente della Conferenza episcopale francese: «Nella decisione del Papa non ci sono né vincitori né vinti». «Mi felicito della volontà di riconciliazione manifestata dal Papa - aggiunge - ma so che ci saranno certamente delle difficoltà di messa in pratica». La presenza dei lefebvriani in Francia è forte; e il cardinale Ricard ammette che «questo Motu Proprio creerà loro delle difficoltà in particolare per tutto quanto tocca l’autorità della riforma liturgica che i preti e i fedeli di quella fraternità rifiutano di riconoscere». Più ottimista invece è il cardinale arcivescovo di Westminster, Cormac Murphy O’ Connor: non crede che il motu proprio possa aprire nuove tensioni fra progressisti e tradizionalisti. «Io credo che ci siano sempre state tensioni tra i vari gruppi all’interno della Chiesa - ha detto -. Ma credo anche che tutto dipenda dal vescovo: il vescovo è il centro dell’unità come all’interno della Chiesa universale il Papa è il centro dell’unità e della verità. Credo che questo Motu Proprio sarà bene accetto dai vescovi». E il cardinale Castrillon Hoyos chiarisce che «nessun parroco sarà obbligato a celebrare la messa di san Pio V. Solo che se un gruppo di fedeli, avendo un sacerdote disponibile a farlo, chiederà di celebrare questa messa, il parroco o il rettore della chiesa non si potrà opporre».

© Copyright La Stampa, 8 luglio 2007

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