12 luglio 2007

Messa tridentina: intervista al liturgista John Zuhlsdorf


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Cari amici, anche oggi potremo leggere molti articoli sulla Messa tridentina e le vacanze del Papa in Cadore. Iniziamo questa rassegna con una bella intervista di Zenit sul motu proprio "Summorum Pontificum". Mi assentero' per qualche ora, ci risentiamo e rileggiamo nella tarda mattinata :-))
Raffaella

Aprire il cuore per accogliere il Motu proprio “Summorum Pontificum”

Intervista al liturgista John Zuhlsdorf

ROMA, martedì, 10 luglio 2007 (ZENIT.org).- La Lettera Apostolica in forma di “Motu proprio” “Summorum Pontificum” (diffusa sabato) sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970 offre l’opportunità ai fedeli di spalancare il proprio cuore, riconosce il liturgista John Zuhlsdorf.
Seguendo le disposizioni di Benedetto XVI, il Messale Romano promulgato da Paolo VI (in seguito alla riforma liturgica, nel 1970) – e ripubblicato due volte da Giovanni Paolo II – è e rimane come forma normale o ordinaria della Liturgia Eucaristica della Chiesa cattolica di rito latino.
Da parte sua, il Messale Romano promulgato da San Pio V e pubblicato nuovamente dal beato Giovanni XXIII (nel 1962, quando la Messa si celebrava in latino) potrà essere utilizzato come forma straordinaria della celebrazione liturgica.
Benedetto XVI ha accompagnato il suo documento con una lettera indirizzata a tutti i Vescovi del mondo, esponendo i motivi delle sue disposizioni. Non si tratta di due riti, ma di due forme dello stesso e unico rito, ha spiegato il Santo Padre.

Questi temi sono stati approfonditi da padre John Zuhlsdorf nella seguente intervista concessa a ZENIT.

Il sacerdote è autore di una rubrica sulla tradizione liturgica intitolata “What Does the Prayer Really Say” (“Ciò che la preghiera dice realmente”) del settimanale cattolico statunitense “The Wanderer”. La rubrica è poi divenuta un popolare “blog” (www.wdtprs.com/blog).

Cos’è un “Motu proprio”?

Padre Zuhlsdorf: Un “Motu proprio” è un documento promulgato dal Papa “per sua propria mozione”, vale a dire per sua propria iniziativa e firmato da lui. Spesso è un rescritto o una risposta scritta a una questione che è stata presentata su un tema d’attualità.
Lettere “Motu proprio” famose sono “Tra le sollecitudini” di Papa San Pio X del 1903 sulla Musica Sacra e, ovviamente, quella di Giovanni Paolo II “Ecclesia Dei Adflicta” del 1988, dopo la quale l’Arcivescovo Marcel Lefebvre ha consacrato quattro Vescovi senza mandato pontificio.

Può riassumere i punti principali del recente documento di Benedetto XVI?

Padre Zuhlsdorf: Non ci sono molte cose nuove nel “Summorum Pontificum”. Molte delle sue disposizioni erano già in vigore dopo la “Ecclesia Dei Adflicta”, che ha ampliato, ma in modo vago, la legislazione restrittiva del documento del 1986 “Quattuor abhinc annos”. Questo “Motu proprio” del 2007 elimina ambiguità e risolve dispute. Livella il terreno di gioco come i documenti precedenti non hanno fatto.
Ad esempio, spiega che l’uso di antichi libri liturgici non è mai stato totalmente proibito. La forma antica non è stata “abrogata”. Alcuni pensano che lo sia stata. Tutti i sacerdoti potranno celebrare la Messa con l’antico “uso” in privato. Questo è stato sempre un punto dibattuto.
Quanto alle Messe pubbliche, dove ci sono gruppi stabili di persone che lo desiderano, i pastori possono programmare una Messa regolare nelle parrocchie. Ci sono alcune ragionevoli restrizioni per il Giovedì Santo, il Venerdì Santo e la Veglia di Pasqua.
Si possono erigere parrocchie o oratori in cui si usino solo i libri liturgici antichi. I Vescovi lo potevano fare anche prima, ovviamente.
Come ha spiegato anni fa la Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, è possibile, non obbligatorio, usare il lezionario del Messale Romano promulgato da Paolo VI, le nuove letture, nel Messale di Giovanni XXIII. Non è mai stato disposto in dettaglio come si poteva fare questo. Non lo fa nemmeno il “Summorum Pontificum”. La Pontificia Commissione dovrà spiegarlo.
I libri antichi possono essere usati anche per altri sacramenti: battesimo, penitenza, unzione degli infermi. Solo i Vescovi potranno conferire la confermazione e gli ordini sacri, ovviamente. I sacerdoti potranno usare il Breviario Romano preconciliare anziché l’usuale Liturgia delle Ore.

Un tema nuovo è che il Papa contempla la forma antica della Messa come un “uso” straordinario del Rito Latino, mentre il Messale di Paolo VI, o “Novus Ordo”, resta come “uso” ordinario. Benedetto XVI insiste sul fatto che non ci sono due riti, ma un rito in due espressioni o “usi”. Questo è stato oggetto di un approfondito dibattito.

Molti dicono che il “Novus Ordo” è tanto diverso dal Messale di Giovanni XXIII, o modello tridentino, da costituire un rito diverso, e si è pensato a una profonda rottura con la tradizione. Ci sono buone argomentazioni per questa affermazione, ma il Santo Padre ci porta nell’altra direzione circa la questione.

Un altro punto nuovo, anche se vedremo come lavorerà, è che la Pontificia Commissione “Ecclesia Dei” dovrà essere rafforzata e ottenere il ruolo adeguato.

Il documento mira a promuovere l’unità e i diritti del popoli. Quanti criticano l’iniziativa del Papa, tra i quali non pochi Vescovi, hanno avvertito che questa liberalizzazione provocherà disunione in parrocchie e diocesi, regnerà il caos, il Concilio sarà scalzato e l’orologio inizierà a fare marcia indietro.

Francamente, penso che la maggior parte dell’opposizione da parte dei Vescovi fosse realmente motivata dalla preoccupazione che il documento limitasse l’autorità episcopale. Benedetto XVI predispone tutele affinché i Vescovi esercitino la supervisione nelle loro diocesi. Questo è corretto e prudente. Deve essere così.
Spiega però che c’è un nuovo modello che deve essere seguito da tutti, Vescovi inclusi. Questo non deve essere troppo sottolineato. Attraverso questo “Motu proprio”, Benedetto XVI afferma che i cattolici con mentalità tradizionale non devono essere visti come “fanatici” da rinchiudere nel soppalco della diocesi. Hanno validi apporti da dare. Hanno diritti.
Uno degli aspetti più importanti di questo “Motu proprio” è che sottolinea i diritti dei sacerdoti e dei laici. Non taglia l’erba sotto ai piedi dei Vescovi, ma è un elemento in mano ai laici. Il Papa mostra fiducia nei confronti dei laici con un gesto concreto, ma anche nei sacerdoti e nei Vescovi. E’ un bel proseguimento dell’appello di Giovanni Paolo II al rispetto e alla generosità reciproci.
Benedetto XVI chiede a ciascuno di aprire il proprio cuore. Nella lettera esplicativa [ai Vescovi, ndr.] cita spesso 2 Corinzi 6, 13: “Aprite il vostro cuore!”. Quanto si legge il “Summorum Pontificum” con un cuore aperto, nessuno deve temere che i diritti siano calpestati o l’autorità venga scalzata.

Perché è necessaria la liberalizzazione del Messale Romano del 1962 dopo che, più di vent’anni fa, si è concessa ai Vescovi di tutto il mondo la possibilità di far celebrare questo rito?

Padre Zuhlsdorf: All’inizio c’è stato nel 1986 un permesso molto ristretto di Giovanni Paolo II nell'uso del “Missale Romanum” del 1962. Dopo l’illegittima consacrazione di Vescovi da parte dell’Arcivescovo Lefebvre, nel giugno 1988, Papa Giovanni Paolo II ha promulgato il suo “Motu proprio” “Ecclesia Dei Adflicta”, che effettivamente ha allentato il permesso restrittivo del 1986, ma in modo vago.
In quel documento, Giovanni Paolo II ha chiesto, con la sua autorità apostolica, ai Vescovi e ai sacerdoti di essere generosi e di mostrare rispetto nei confronti di coloro che desideravano antiche espressioni della liturgia. Alcuni lo hanno fatto. Molti no.
Nel frattempo, la frattura tra il gruppo del defunto Arcivescovo Lefebvre, la Società di San Pio X, in alcuni aspetti è cresciuta di più, in altri meno. La disputa sull’uso del Messale di Paolo VI, o uso “ordinario”, non si è placata, nonostante i numerosi documenti disciplinari emessi dalla Santa Sede E’ come se non sapessimo da dove viene la nostra liturgia e come deve essere.
Molto prima della sue elezione alla sede petrina, [il Cardinale Ratzinger] ha scritto e parlato della continuità che i nostri riti e le nostre pratiche liturgiche devono avere con la nostra tradizione. La liturgia si sviluppa organicamente per un lungo periodo dal modo di vivere la fede ed entrando in contatto con diverse culture.

Il Messale di Paolo VI è stato, per certi aspetti, assemblato in dispacci dagli esperti, alcuni dei quali, bisogna dirlo, avevano le loro agende ideologiche. Insieme a uno sfrenato atteggiamento del “fuori il vecchio”, esisteva una percezione di rottura con la tradizione liturgica della Chiesa.

Questa rottura della vita liturgica della Chiesa non ha dato solo frutti felici. Tra le altre ferite, ha dato l’impressione che la liturgia potesse cambiare quasi dal giorno alla notte e far scomparire le antiche forme, che tutto potesse cambiare, anche la dottrina.

Abbandoniamo la teoria. Restaurare il modo antico di celebrare la Messa è semplicemente essere prudenti. Come ha scritto Benedetto XVI, era poco ragionevole proibire in modo così repentino una forma di Messa che ha conformato l’identità cattolica per secoli. Questo ha pregiudicato la nostra identità cattolica. Dobbiamo curare le ferite.

Molti commentatori vedono il “Motu proprio” come un tentativo di salvare lo scisma tra la Santa Sede e i settori tradizionalisti. Cosa ne pensa?

Padre Zuhlsdorf: Deve aiutare a ricucire lo strappo tra la Società di San Pio X e la Santa Sede.
Secondo me, ampliare questa facoltà a tutti i sacerdoti aiuterà, ma non risolverà niente. Ci sono temi più profondi che non si possono risolvere facilmente.
Il tema relativo a quale libro può usare un sacerdote per dire Messa, o sollevare la scomunica imposta ai Vescovi della Società di San Pio X, può essere risolto di colpo dal Papa.
Restano però da risolvere temi teologici come la dottrina del Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa e come la Chiesa deve relazionarsi al mondo. Per questo non penso che questo “Motu proprio” abbia a che vedere principalmente con la separazione della Società di San Pio X.
Persone di entrambe le parti per molto tempo si sono guardate con quella che chiamo la “visione imbuto”. Quando ci guardiamo con il cuore di Cristo, attraverso “l’invisibile ferita d’amore”, come diceva Richard de St. Victor, si risolvono molti problemi. E’ arrivato il momento di curare.

Altri analisti argomentano che il proposito del “Motu proprio” è aiutare a promuovere il genuino rinnovamento liturgico del Messale di Paolo VI, mediante una “riforma della riforma”. Come può accadere?

Padre Zuhlsdorf: Come ho detto prima, la liturgia si sviluppa organicamente nel corso di un periodo di vivere la fede ed entrare in contatto con varie culture. Storicamente, diversi riti della Messa si sono influenzati a vicenda.

Ciò che accadrà con la liberalizzazione della forma antica della Messa sarà una fecondità incrociata, potremmo dire, poiché l’uso di una Messa influisce sull’altro.

Dall’originaria liberalizzazione di Giovanni Paolo II, molti giovani sacerdoti si sono interessati alle antiche forme della Messa. Non conoscevano la Messa “tridentina” ma non portavano neanche il fardello degli anni ‘60 e ‘70. Non erano stretti in quel falso “Spirito del Vaticano II”.

Lo stesso è accaduto con alcuni sacerdoti più anziani che hanno riacquisito la forma “straordinaria” della Messa dopo anni senza contatti. Quando hanno iniziato a studiare la forma antica, hanno aggiustato il modo in cui celebravano il “Novus Ordo”. Hanno iniziato a radicare nuovamente il loro stile di celebrare la Messa nella profonda tradizione.

Questo sviluppa un senso diverso dell’“ars celebrandi”, il modo liturgico e l’atteggiamento propri di cui parla Papa Benedetto nella sua esortazione postsinodale “Sacramentum Caritatis”.
In un senso ironico, ho sentito qualche battuta sul fatto che il “Novus Ordo” migliora quanto più celebri come se si trattasse dell’antica forma della Messa.
Dall’altro lato, la gente che usa la forma antica della Messa ha imparato dagli ultimi decenni del “Novus Ordo”. Probabilmente recita e partecipa alla Messa Tridentina meglio ora che prima di tutti i cambiamenti.
L’assenza del messale più antico per tanto tempo ha aumentato il nostro apprezzamento delle sue ricchezze. Le esperienze buone e cattive, anche gli abusi, sono stati di insegnamento.
Quando vedo i sacerdoti celebrare la forma antica, posso dire che sono acutamente consapevoli che di fatto c’è gente nei banchi. C’è un forte collegamento tra il sacerdote e la congregazione. Il punto cruciale è che gli usi diversi influiranno su tutta la vita liturgica della Chiesa. Tutti ci arricchiremo. Non ci sono perdenti qui. Siamo tutti vincitori.

Cos’ha a che vedere il “Motu proprio” con quello che il Santo Padre chiama “l’ermeneutica della continuità”?

Padre Zuhlsdorf: Facciamo un paio di distinzioni. Cerco di esaminare importanti documenti considerando ciò che dicono alla Chiesa, “ad intra”, e al mondo, “ad extra”.

Dal punto di vista “ad intra”, Benedetto XVI vuole sanare le rotture nella continuità in vari ambiti della vita della Chiesa. La liberalizzazione, come ho detto, tornerà a radicare le celebrazioni della Santa Messa nella nostra profonda tradizione liturgica.
Nel suo discorso del Natale 2005 alla Curia, il Santo Padre ha parlato di un’“ermeneutica della discontinuità e della rottura” dopo il Concilio Vaticano II. Un’“ermeneutica” è un principio di interpretazione, come una lente mediante la quale esaminiamo una questione. Per molti sembrava che non ci fosse niente di buono o valido da preservare prima del Vaticano II. Tutto ciò che era antico era cattivo.

I documenti del Concilio non chiamano a una rottura. Un falso “Spirito del Vaticano II” di discontinuità e rottura ha accattivato molta gente influente nella Chiesa. Questa “ermeneutica della discontinuità” è stata applicata in parrocchie, seminari, università e nei media cattolici. Ha creato fratture in quasi ogni aspetto della vita della Chiesa dopo il Concilio.
Questo “Motu proprio” è un passo concreto della promozione da parte di Benedetto XVI di un nuovo modo di vedere come il passato, il presente e il futuro siano collegati. Propone un’“ermeneutica di riforma”, come l’ha definita nello stesso discorso del Natale 2005.
Sentirà qualcuno usare il cliché che si tratta di un movimento per “far andare indietro l’orologio”. Leggono male la motivazione. E’ un modo di applicare il Concilio in modo più autentico. La liberalizzazione dell’antica forma della Messa deve essere contemplata come una parte della visione della riforma da parte di Benedetto XVI. Sta ricostruendo continuità con la tradizione della Chiesa. “Ad intra”, il documento tratta completamente della cura.
Ricostruire continuità ci porta a quello che il “Motu proprio” chiama “ad extra”, al mondo più ampio.
Tutti conoscono gli sforzi per mettere a tacere e minimizzare la Chiesa cattolica negli scenari del dibattito pubblico, politici e accademici. I cattolici sono emarginati se aprono bocca. Di modo che la fede viene messa da parte come questione puramente “privata”, da non esprimere in pubblico.
Benedetto XVI è fermo sul fatto che la Chiesa ha diritto al suo linguaggio, ai suoi simboli e alla sua identità. Abbiamo il diritto di esprimerci pubblicamente con la nostra identità cattolica intatta. Dobbiamo dare un apporto come cattolici.
Allo stesso tempo, Benedetto XVI difende il concetto della laicità propriamente detta, ma insiste sull’offrire le preoccupazioni cattoliche al pubblico. In Italia questo ha iniziato a provocare malessere. I Vescovi italiani stanno riscoprendo la loro voce pubblicamente e i loro detrattori sono furiosi.
Perché questa dimensione del punto di vista di Benedetto XVI porti frutto, dobbiamo iniziare a riscoprire e reintegrare un’identità autenticamente cattolica. Il “Motu proprio” per liberalizzare la forma della Messa che ha formato l’identità cattolica per secoli è un movimento importante nel progetto del Papa di recuperare la continuità con la nostra tradizione, per iniziare la cura, e quindi dare nuovo vigore alla Chiesa in un mondo sempre più secolarizzato e relativista.

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4 commenti:

Anonimo ha detto...

Leggendo l’intervista con padre John Zuhlsdorf e in particolare la frase “Il Messale di Paolo VI è stato, per certi aspetti, assemblato in dispacci dagli esperti, alcuni dei quali, bisogna dirlo, avevano le loro agende ideologiche. Insieme a uno sfrenato atteggiamento del “fuori il vecchio”, esisteva una percezione di rottura con la tradizione liturgica della Chiesa.”, mi è subito balenata una analogia con il nostro sistema giudiziario, dove ogni sentenza crea un precedente per altri giudizi e, vista la natura “imperfetta” della materia, così all’infinito..., ma se solo penso che questo stesso procedimento ha riguardato la celebrazione della Santa Messa, rito di natura “perfetta”, che tanti preti hanno celebrato, e celebrano ancora, alla stregua di semplici “registi” liberi di interpretarla a proprio modo come se fosse un “recital”, allora ben venga non uno, ma cento “Motu proprio”!!!

Anonimo ha detto...

Bella la tua analogia, Gianpaolo! Aggiungo solo una cosa: mentre nel diritto anglosassone ciascun precedente e' vincolante per le sentenze successive, per il diritto italiano non e' cosi' e un giudice puo' benissimo discostarsi dai precedenti. Evidentemente anche nella Chiesa c'e' chi ha il coraggio di andare oltre il precedente.

francesco ha detto...

a me pare che anche il messale di paolo vi e la riforma liturgica facciano parte della tradizione ecclesiale... e la "ermeneutica della rottura" mi pare faccia molto capolino nelle frasi citate... che, dunque, lasciano il tempo che trovano
e non meriterebbero, a differenza di altre cose dell'intervista, una sottolineatura
francesco

Cristiano ha detto...

Su, su, Don Francesco... perchè la maggior parte degli ospiti le da torto e stratorto, non mi sembra bello prendersela con la pedrona di casa...