11 luglio 2007
Messa tridentina: Guido Ceronetti da' una lettura inedita della decisione del Papa
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Pubblichiamo un interessante editoriale di Guido Ceronetti per "La Stampa" sulla liberalizzazione della Messa in latino.
Essendo di natura molto curiosa, mi sono chiesta chi fosse questo intellettuale e cosi' ho scoperto qualcosa di molto interessante: il 18 aprile 2005, il giorno prima dell'elezione di Benedetto XVI, Ceronetti scrisse una lettera aperta al nuovo Papa dalle colonne di "Repubblica" (ebbene si', caro Politi) con la preghiera di ripristinare il Messale di Pio V. Qui sotto trovate tutta la documentazione, compreso un articolo di Socci del settembre 2005.
Raffaella
W W il Motu Proprio del Papa
Guido Ceronetti
Dico due volte VIVA per il Motu Proprio papale circa la messa in latino, sebbene si tratti di un’alba non radiosa, ma velata di smog. C’è da lodare le possibilità che dà un potere monarchico semiassoluto: al di qua del Tevere nessuno può più nulla ed è vano fantasticare di volontà politiche autonome. Dall’altra parte Qualcuno può, ma il motivo principale di questa parziale restaurazione mi è estraneo, perfino impensabile - sarebbe politico, mirerebbe a riattaccare gli scismatici lefevriani alla Chiesa ufficiale, al di là delle mura vaticane la cosa è per tutti insignificante, e in genere gli scismi sono utili e ravvivanti, più da incoraggiare che da cancellare. Ci può essere anche un motivo nascosto e bisogna rallegrarsi pensando ad una ambiguità del Motu Proprio: e se il motivo profondo fosse di tentare di riacchiappare un lembo del dileguante mantello della Trascendenza divina? Questo giustificherebbe ampiamente il mio ripetuto evviva.
Miseria del potere: l’obbligo di tacere qualsiasi verità che non sarebbe compresa, che sarebbe accusata di vaneggiamento!
Si sa anche della repulsione dell’amatore di Mozart per le chitarre, il rock, le canzoni sugli altari: chiaramente la messa preconciliare è più nei gusti ratzingeriani. Ma la misura papale non ha nulla di una cura drastica, mi sembrano insensati i mugugni dei vescovi, eccessiva («La Repubblica», 8 luglio) la reazione ostile del priore di Bose, difensore dell’integrità cristiana tra i più colti e autorevoli. E come non vedere, nella messa in volgare, una degradazione liturgica, un compromesso per nulla convincente con la modernità in astratto? La modernità autentica non accetta il senso della messa in blocco, in quanto liturgia sacrificale e metamorfosi magica di pane e vino in corpo di vittima immolata vivente: volendo restare fedeli a questo (se no è harakiri), è inutile cercare, con escamotage rituale di facciata, il consenso dei razionalisti. Nel profondo, le distanze restano incolmabili.
E tuttavia: posso prevedere che una larga frangia proprio dei cosiddetti laici, di razionalisti tra i più darwiniani, s’iscriverà nella richiesta di messe in latino per motivi esclusivamente culturali, seguitando a ritenere che, sotto le formule incantate, non ci sia che del vacuum privo di sostanza. Per i primi tempi almeno la rinata Tridentina sarà la messa degli intellettuali; quel che resta di popolo cristiano cattolico sarà difficilmente attratto subito, in seguito però, incalzati dall’espansione e dall’aggressività islamica, fradici tutti di tecnologie e supermercati, una conversione alle formule tradizionali come rocca di rifugio si farà sentire. Benedetto XVI può aver fatto dei calcoli, ma quale Colpo di Dadi abolirà mai il Caso? I peggiori razionalisti sono i partigiani del vacuum di messa creatosi con Paolo VI, perché una liturgia che si voglia accessibile ai praticanti, senza veli linguistici e semantici, è una vescica vuota. Figuriamoci se la gente è in grado di comprendere ciò che gli manca: però diserta sempre più un rito religioso che religiosamente l’appaga così poco.
Parlo da una sponda lontana, ma ho memoria dei fiori.
Tra i ritocchi necessari del Missale Romanum, qualora ne sussistessero, ci sono tutti gli accenni di antisemitismo cristiano, felicemente stramorto nelle coscienze.
Non va trascurata la bruttezza, l’imprecisione, l’inadeguatezza delle traduzioni adottate, bibliche e liturgiche, nella messa conciliare. Basterebbe quel e col tuo spirito, così letterale e così patata, di risposta a Dominus vobiscum... Che cosa s’intende per spirito? Che cosa rinvia di più al semplice vobiscum dell’officiante lo spiritus della risposta? Basterebbe quello sviante togli letterale per tollis in Agnus Dei qui tollis peccata mundi, perché il senso è al mille per mille porti, secondo l'imprescindibile origine biblica da Isaia 53,7 dov’è pura metafora e non prefigurazione messianica. L’Agnello divino porta, si carica dei peccati, altro non può fare, non toglie nulla, non cancella nulla, sarebbe una cuccagna! Il senso del verbo latino tollo è pregnante ma anche a portata di dizionario, consiglio di dargli un’occhiata.
© Copyright La Stampa, 11 luglio 2007
CHI E' GUIDO CERONETTI
Guido Ceronetti. Nato a Torino nel 1927, è stato poligrafo di vasta e raffinata cultura. Traduttore di classici latini (Martialis, Catullus, Iovenalis) e testi biblici (Ecclesiaste, Cantico dei Cantici, Isaia), è stato cronista dissacrante di fatti culturali e sociali, elzevirista dissacrante per «La Stampa». E' stato anche drammaturgo e marionettista, per il suo teatro dei Sensibili. Accanto a una prova narrativa, Aquilegia (1973), e a una raccolta poetica dal titolo Poesie 1968-1978 (1978), ha pubblicato numerosi volumi di saggi: "Difesa della luna e altri argomenti di miseria terrestre" (1971), "La Musa ulcerosa" (1978), "La carta è stanca", "Il silenzio del corpo" (1979), "La vita apparente" (1982), "Albergo Italia" (1983), "Confessioni e disperazioni", "Deliri disarmati" (1993). Le sue virtù stanno in questi saggi, che rimandano alle prose, gli elzeviri pubblicati sulle terzepagine dei quotidiani a cui ha collaborato.
Ancora prima dell'elezione di Benedetto XVI, Ceronetti scrisse una lettera aperta al nuovo Papa che riportiamo:
RIPRISTINI LA MESSA IN LATINO
RISCOPRIREMO LA SACRALITÀ
Vorrei rivedere la messa tridentina,e ascoltare un po' di gregoriano
di GUIDO CERONETTI
GENTILE Santità Ipotetica (che tra un giorno o due, forse, avrà un volto e un nome). Avrei un voto da formulare, per il Vostro pontificato, nella certezza che la risposta dei fedeli sarebbe entusiastica: che sia tolto il sinistro bavaglio soffocatore alla voce latina della Messa,
Mi contenterei che la Messa tridentina, accompagnata da una giusta dose di gregoriano, ricomparisse in alternativa a quella imposta da una riforma liturgica distruttiva, che ha accarezzato i visceri rituali della Chiesa con la grazia di un hara-kiri. Lasciatele entrambe, Santità, non chiedo la soppressione di questa povera amputata chiamata oggi Messa (probabilmente neppure un papa potrebbe deciderla), chiedo che ogni domenica e ogni festività religiosa, segnata o no nel calendario civile, ci sia in tutte le chiese d'Italia e del mondo una, una almeno, sia pure ad un'ora molto mattutina Messa tradizionale completa. E che sia data a parroci istruiti (non li pretendo latinisti, basta che sappiano il senso di ciò che pronunciano latinamente) la facoltà di istituire nella loro chiesa o chiesina una Messa latina anche in altri giorni a richiesta di una maggioranza di parrocchiani un po' più spirituali degli altri.
Il Vostro Predecessore aveva già concesso qualche rara, eccezionale celebrazione di Messa tradizionale (ce n'è una alle undici della domenica alla Misericordia di Torino, affollatissima sempre) ma l'eccezione - se non si vuol troncare del tutto il legame col Sacro dei misteri cristiani da tempo in coma precario - va trasformata tempestivamente in regola fissa, in raccomandazione forte, in disposizione (non semplice dispensa) pontificia, in parziale sebbene limitato ripristino.
Certamente, Santità di domani, non ignorerete quanto piacque alle autorità comuniste quella riforma conciliare dei riti occidentali: non erano degli stupidi, avevano nella loro bestiale ignoranza del sacro percepito che lì si era aperta una falla, che sul lungo lombrico di quei riti semidissacrati un graduale snervato ateismo di fatto avrebbe strisciato fino ai nuovi altari, bruttura geometrica di ogni chiesa. Quella riforma che, forse (è congettura mia di poco informato) intendeva colmare in parte la distanza dalle chiese protestanti, non ha colmato in profondità niente: in compenso tra cattolicità e ortodossia tradizionale ha allargato l'incomprensione e la totale separazione. Divinum resipiscere!
E tutti quei pulpiti disertati, obbligatoriamente? Quelli di legno se li mangia il tarlo, i marmorei ne fa poggiaschiena il turismo più crasso.
Ridategli voce: anche una predica perfettamente insulsa diventa qualcosa di più, acquista soffio, se proviene dall'alto... Un saluto di lontano.
© Copyright Repubblica, 18 aprile 2005
LA REAZIONE DI ANTONIO SOCCI ALLE CRITICHE A CERONETTI:
Non c’è nulla di più intollerante-nella Chiesa -dell’inquisizione progressista.
Lo conferma, per l’ennesima volta, l’anatema che dalle colonne del “Manifesto” Adriana Zarri (teologa, o meglio giornalista cattoprogressista) ha scagliato contro Guido Ceronetti, definito “anticonciliare, di tipo lefebvriano” (lui che non è neanche cattolico).
Di quale terribile colpa si sarebbe macchiato lo scrittore torinese?
Semplice. In una lettera aperta al nuovo Papa, sulla Repubblica, ha chiesto “che sia tolto il sinistro bavaglio soffocatore della voce latina della messa” e sia possibile celebrarla accanto a quella in volgare “imposta da una riforma liturgica distruttiva”. Ceronetti aggiungeva: “Certamente non ignorerete quanto piacque alle autorità comuniste quella riforma conciliare dei riti occidentali; non erano degli stupidi, avevano nella loro bestiale ignoranza del sacro, percepito che si era aperta una falla”.
In effetti il latino era il concreto legame universale che univa i cristiani di tutto il pianeta in un’unica Chiesa guidata da Pietro e in un’unica fede che nessun potere poteva intaccare. Cancellare quella liturgia ha enormemente indebolito i cristiani.
La Zarri ieri ha irriso Ceronetti perché il progressismo cattolico italiano fu decisivo nello smantellamento della lingua della Chiesa. Ma è probabile che Benedetto XVI restauri proprio il tesoro dell’antica tradizione liturgica compreso il latino e il gregoriano (lo fa pensare anche il recente incontro del Papa con la fraternità lefebvriana). Anche se i progressisti grideranno al tradimento del Concilio.
I
n realtà mai il Concilio ha decretato l’improvvisa e ingiustificata messa la bando della lingua sacra con cui la Chiesa per duemila anni ha espresso il suo Credo. Anzi, la distruzione della liturgia latina contraddice proprio l’art. 36 della Costituzione conciliare sulla liturgia.
Contraddice la Lettera Apostolica “Sacrificium laudis” di Paolo VI, contraddice la “Veterum sapientia” di Giovanni XXIII (“nessun innovatore ardisca scrivere contro l’uso della lingua latina nei sacri riti”) e contraddice la “Mediator Dei” di Pio XII che riaffermava “l’obbligo incondizionato per il celebrante di usare la lingua latina”. Contraddice insomma tutta la tradizione cattolica.
Ma come fu possibile allora far passare una simile “rivoluzione” contro la volontà della Chiesa?
Gianni Baget Bozzo ha osservato: “il ‘partito rivoluzionario’, cioè il partito intellettuale si è impadronito della gestione della liturgia…la rivoluzione moderna non nasce dal popolo, è sempre il colpo di Stato di una minoranza… la riforma liturgica fu applicata in modo autoritario e violento...
Nessuna obiezione venne ascoltata. Tutto sembrava così innovatore, intelligente, comprensibile… e il risultato è che la liturgia della Chiesa postconciliare è una liturgia morente, priva del sacro, del canto, priva di bellezza, di grandezza. Quando si celebra la Messa tradizionale, si sente in essa la Chiesa vibrare.
La riforma liturgica fu un colpo di mano del partito intellettuale… ed è fallita… Dio non ha benedetto questa riforma”.
Sono parole drastiche. Forse troppo. Ma è impressionante leggere ciò che Joseph Ratzinger scrive nell’autobiografia (“La mia vita”, ed. San Paolo) dove rievoca “la pubblicazione del messale di Paolo VI, con il divieto quasi completo del messale precedente”.
Commenta Ratzinger: “Rimasi sbigottito per il divieto del messale antico, dal momento che una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia. Si diede l’impressione che questo fosse del tutto normale. Il messale precedente era stato realizzato da s. Pio V nel 1570, facendo seguito al Concilio di Trento; era quindi normale che, dopo 400 anni e un nuovo Concilio, un nuovo papa pubblicasse un nuovo messale. Ma la verità storica è un’altra. Pio V si era limitato a far rielaborare il messale romano allora in uso, come nel corso vivo della storia era sempre avvenuto lungo tutti i secoli… senza mai contrapporre un messale a un altro. Si è sempre trattato di un processo continuativo di crescita e di purificazione, in cui però la continuità non veniva mai distrutta…
Ora invece” scriveva Ratzinger “la promulgazione del divieto del messale che si era sviluppato nel corso dei secoli, fin dal tempo dei sacramentali dell’antica Chiesa, ha comportato una rottura nella storia della liturgia, le cui conseguenze potevano essere solo tragiche… si fece a pezzi l’edificio antico e se ne costruì un altro”.
Ed ecco una pagina clamorosa che prefigura il programma del suo pontificato: “Per la vita della Chiesa è drammaticamente urgente un rinnovamento della coscienza liturgica, una riconciliazione liturgica, che torni a riconoscere l’unità della storia della liturgia e comprenda il Vaticano II non come rottura, ma come momento evolutivo. Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita ‘etsi Deus non daretur’: come se in essa non importasse più se Dio c’è e se ci parla e ci ascolta”.
Sarà una svolta straordinaria, innanzitutto per la Chiesa. Ma non solo. Significherà ritrovare anche “una sorgente fecondissima di civiltà” (come scrisse Paolo VI) e soprattutto di bellezza.
E’ curioso. Il “progressismo” cattolico che ha provocato questo immenso disastro pretende sempre che si ascoltino “i segni dei tempi” (cioè l’opinione pubblica) e che si “dialoghi” con il mondo. Ma per quanto riguarda il “colpo di mano” sulla liturgia accadde esattamente il contrario. Perché tutta la migliore cultura contemporanea cattolica o laica si oppose a questo catastrofico azzeramento di una tradizione millenaria.
E’ una storia dimenticata o meglio rimossa, che è stata appena rievocata da Francesco Ricossa nel libro “Cristina Campo, o l’ambiguità della Tradizione”.
In piena stagione sovversiva, ovvero nel 1966 e nel 1971, uscirono due manifesti in difesa della Messa tradizionale di s. Pio V. E furono firmati da personalità di eccezionale rilievo. Ne cito alcuni: Jeorge Luis Borges, Giorgio De Chirico, Elena Croce, W. H. Auden, i registi Bresson e Dreyer, Augusto Del Noce, Julien Green, Jacques Maritain (che pure era l’intellettuale prediletto di Paolo VI, colui a cui il Papa consegnò, alla fine del Concilio, il documento agli intellettuali), Eugenio Montale, Cristina Campo, Francois Mauriac, Salvatore Quasimodo, Evelyn Waugh, Maria Zambrano, Elémire Zolla, Gabriel Marcel, Salvador De Madariaga, Gianfranco Contini, Giacomo Devoto, Giovanni Macchia, Massimo Pallottino, Ettore Paratore, Giorgio Bassani, Mario Luzi, Guido Piovene, Andrés Segovia, Harold Acton, Agatha Christie, Graham Greene e molti altri fino al famoso direttore del “Times”, William Rees-Mogg.
Curiosamente non se ne tenne alcun conto. Certo, è singolare vedere insorgere tanti intellettuali laici in difesa dell’antica liturgia laddove molti ecclesiastici (che pure capivano cosa stava accadendo) non ebbero il coraggio di fiatare.
Con Benedetto XVI potremmo assistere al ritrovamento della grande tradizione liturgica della Chiesa.
Sarà un evento straordinario. E forse sarà l’inizio della fine per il “progressismo” dentro la Chiesa. La fine dell’autodemolizione.
Ritrovare le radici significa ritrovare il vigore, l’identità, la bellezza del rito e l’evidenza del Mistero in un tempo in cui gli uomini, assetati del sacro, lo trovano spesso in forme aberranti.
© Copyright Il Giornale - 18 settembre 2005
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3 commenti:
e io che pensavo che la messa in latino era solo un favore ai lefebvriani....
Più di qualcuno, ha capito male ed interpretato il Motu Proprio del Papa, una concessione ai lefreviani; ma, lo scopo non era sicuramente quello o almeno solo quello. Peccato che in pochissimi lo hanno capito tacciando Papa Benedetto come un debole sopraffatto dalle pressioni conservatrici......... quanta ottusità e strettezze di vedute e soprattutto da quelli che definendosi progressisti incalliti, sono più conservatori dei veri conservatori!!!!!!!!
Eugenia
brutte cose...
un non cristiano che si fa gli affari della chiesa (in barba alla sua libertà), irride la messa e invoca un folklorico ritorno all'indietro come sfizio culturale
e un socci - "carta scoperta" - che gli va dietro e trova l'occasione di togliersi dalle scarpe qualche sassolino contro l'innocua zarri
ah... che si deve leggere!!!
francesco
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