11 luglio 2007

Papa Ratzinger? Il vero riformatore


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Benedetto XVI, il vero riformatore

Il senso del motu proprio «Summorum pontificum» sull'uso del messale pre-conciliare

di Gianteo Bordero

Il dado è tratto. Nonostante le pressioni e le perplessità di parte dei vescovi; nonostante le preoccupazioni del clero progressista; nonostante le reprimende degli esponenti dell'ecclesialmente corretto, Benedetto XVI ha deciso di pubblicare il motu proprio «Summorum pontificum» col quale «liberalizza» l'uso del messale di San Pio V (nella versione riveduta da Giovanni XXIII nel 1962) e dona alla messa pre-conciliare la medesima dignità della messa nata a seguito della riforma liturgica varata da Paolo VI nel 1969.

La portata della decisione di Papa Ratzinger va oltre il fatto in sé: essa ha un valore simbolico destinato a lasciare una traccia profonda nel cammino della Chiesa. Di che cosa si tratta? Si tratta dell'applicazione concreta del discorso che Benedetto XVI rivolse alla Curia romana nel dicembre del 2005, riguardante la corretta lettura del Vaticano II e il suo inquadramento all'interno della storia complessiva della Chiesa.
Un discorso a suo modo rivoluzionario, che spezzò la retorica circolante in ampi settori del clero e degli intellettuali cattolici in riferimento al Concilio svoltosi negli anni 1962-65. Il Papa, in quell'occasione, parlò di «due ermeneutiche contrarie» che, «si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L'una ha causato confusione, l'altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti. Da una parte esiste un'interpretazione che vorrei chiamare "ermeneutica della discontinuità e della rottura"; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna. Dall'altra parte c'è l'"ermeneutica della riforma", del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino». Criticando la prima interpretazione del Concilio, Benedetto XVI disse che essa «fraintende in radice la natura di un Concilio come tale... Esso viene considerato come una specie di Costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova». L'ermeneutica della continuità e della riforma, invece, pensa che «la Chiesa è, tanto prima quanto dopo il Concilio, la stessa Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica in cammino attraverso i tempi».

E' alla luce di queste parole che bisogna leggere il motu proprio sull'uso del messale pre-conciliare: ciò che ha spinto il Papa ad assumere una decisione tanto importante non è la volontà di tornare indietro al «bel tempo che fu»; non è soltanto il desiderio «estetico» di una liturgia maggiormente corrispondente al mistero che in essa si celebra; è, soprattutto, la consapevolezza che la lettura del Vaticano II come discontinuità e rottura ha inferto all'autocoscienza ecclesiale profonde ferite, che hanno messo in pericolo l'unità dei credenti. Ferite che ora il Papa, rispondendo alla natura del suo compito e della sua missione, è chiamato a rimarginare. Nel dettaglio: pensare che la riforma del 1970 comportasse l'abolizione di tutta la varietà delle espressioni liturgiche presenti nella Chiesa è stato un errore che, come già sosteneva il cardinal Ratzinger anni addietro, non poteva che avere conseguenze tragiche, dando l'impressione che tutto ciò che vi era stato prima fosse ormai superato e quindi da mettere nel dimenticatoio. Un'autentica sciagura, un autentico crimine nei confronti della stessa Chiesa, il cui cammino nel corso dei secoli non può essere compreso se non alla luce della fede, della continuità rispetto all'initium, e non alla luce di criteri ideologicamente storicistici. Non poteva che accadere, così, che la liturgia riformata diventasse spesso, smarrita la dimensione cosmica del rito (cosmica anche rispetto alla storia stessa della Chiesa), il momento dello sfogo estemporaneo di quella che Benedetto XVI ha chiamato più volte la «creatività» del credente, sostituitasi appunto all'initium, cioè alla consapevolezza che nel cristianesimo l'iniziativa della salvezza sta in Dio e non certo nell'inventiva umana - per quanto geniale essa possa essere.

Quello che compie oggi Papa Ratzinger non è dunque un gesto di «restaurazione» mosso da una volontà passatista. E' pienamente e profondamente un gesto di riforma ecclesiale nel senso in cui egli stesso l'ha descritta nel già citato discorso alla Curia romana, come capacità di rispondere alle sfide della storia e di correggere, nel corso del tempo, quelle deviazioni che rischiano di compromettere l'unità in Cristo dei fedeli - bene primario per la Chiesa e compito ad essa e alla sua guida assegnato da Gesù prima della passione e morte in croce e dopo la risurrezione: «Che siano una cosa sola», «Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli».

Il valore ecclesiale della decisione di Benedetto XVI potrà essere valutato appieno soltanto nel tempo, ma già ora si può dire che essa rappresenta uno straordinario gesto di coraggio «riformatore» nel momento in cui, nella Chiesa, il vero «conservatorismo» era diventato quello della retorica sul Vaticano II come nuovo inizio e non come tappa del cammino della Chiesa, come tutto a fronte del nulla di 1960 anni di storia, come rifondazione della fede mossa da furia distruttrice e non come sua rilettura che sgorga dall'amore per il mistero che si è incontrato.

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Il latino aiuta anche i cristiani perseguitati

di Raffaele Iannuzzi

Benedetto XVI, col motu proprio «Summorum pontificum» sull'uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970, ha reintrodotto la libertà di celebrare la messa in latino, previa richiesta da parte di un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica. I parroci sono invitati ad accogliere siffatte richieste da parte dei fedeli, secondo lo spirito antico della libertà interna alla Chiesa come madre e come guida delle anime. Si sancisce, così, un criterio di libertà che Ratzinger aveva già posto nella sua celebre intervista Rapporto sulla fede, curata da Vittorio Messori, laddove viene affermato che non esiste una «Chiesa post-conciliare», perché la Chiesa vive di un'unica tradizione. Osservava già nel 1985 l'allora cardinale Ratzinger: «Bisogna decisamente opporsi a questo schematismo di un prima e di un dopo nella storia della Chiesa, del tutto ingiustificato dagli stessi documenti del Vaticano II che non fanno che riaffermare la continuità del cattolicesimo. Non c'è una Chiesa "pre" o "post" conciliare: c'è una sola e unica Chiesa che cammina verso il Signore, approfondendo sempre di più e capendo sempre meglio il bagaglio di fede che Egli stesso le ha affidato. In questa storia non ci sono salti, non ci sono fratture, non c'è soluzione di continuità. Il Concilio non intendeva affatto introdurre una divisione del tempo nella Chiesa» (Rapporto sulla fede, edizioni Paoline, Milano 1985, p. 33). In un discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005 Benedetto XVI ha ribadito questo antico principio, che sostanzia la lettera di questo motu proprio. E' il cardinal Ruini a ricordarlo in un editoriale pubblicato su Avvenire domenica 8 luglio.

Torna il latino e ritorna la libertà nell'aderire alla tradizione liturgica, ferma restando la disciplina liturgica sancita dal Vaticano II. Un enorme passo in avanti nel dialogo con i lefebvriani della Fraternità San Pio X, con i quali i rapporti sono andati migliorando nel corso degli ultimi anni. La Chiesa aveva dialogato con tutti, dai marxisti ai teologi della liberazione, con le altre religioni, ma con questi scismatici aveva stabilito duramente una linea di demarcazione fin troppo netta. Un eccesso di zelo, direi. Il Vaticano II aveva stabilito alcune linee-guida culturali che guardavano ad una modernità peraltro già in profonda crisi ed aveva tralasciato completamente gli oppositori interni alla linea della tradizione ecclesiastica. Con ciò si è stabilito un precedente pesante che ha gravato moltissimo sull'unità della Chiesa, realtà che Benedetto XVI cura con uno zelo pastorale degno di ogni ammirazione. Il Papa, e con lui la Chiesa, ha portato a casa, per così dire, un risultato straordinario, che ricollega il presente alla tradizione classica della Chiesa, posto che i cristiani hanno conosciuto Dio in latino.

Detto questo, c'è un altro significato storico che non deve essere sottovalutato, soprattutto nel caso di un Pontefice che guarda alla storia come al luogo della rivelazione del Dio di Gesù Cristo. Con questo passo, ristabiliti i criteri dell'unità della Chiesa attorno al nucleo della tradizione, la stessa Chiesa oggi perseguitata, dal Medioriente alla Cina, ritrova slancio e fervore, potendo richiamarsi ad un principio che stringe tutti i cattolici, dai lefebvriani ai sostenitori dello «spirito del Vaticano II», in una nuova unità. Il motto di Tertulliano, «sanguis martyrum, semen Christianorum», ritorna dirompentemente alla ribalta e riapre una coscienza mondiale della Cristianità, anzi l'idea stessa di una Cristianità, cioè di una civiltà legata ad una stessa tradizione religiosa, liturgica e culturale. Il che ha degli effetti politici e pubblici, determinati dall'opinione pubblica, non irrilevanti. Si è aperto un fronte pro-Cristianità, anche in settori distanti dalla Chiesa, talvolta del tutto laicisti. Benedetto XVI conosce bene la realtà di martirio dei cristiani nel Medioriente, sa che la Chiesa ha trascurato per troppo tempo l'idea che dovesse esserci una reciprocità tra la Cristianità e l'Islam, in materia di libertà di culto o, meglio, una soglia minimale per l'Islam di accettazione di alcuni criteri elementari di apertura alla libertà religiosa. Il Papa sa bene tutto ciò. E sa anche che la libertà religiosa rappresenta, di fatto, il punto centrale, insieme di vertice e di sintesi, della libertà in quanto tale. Un'idea, fortemente centrata sulla costituzione conciliare Dignitatis humanae e sapientemente rielaborata da Giovanni Paolo II. Una linea di demarcazione che determina non soltanto la politica ecclesiastica, ma, oggi, nella globalizzazione, anche la politica in quanto tale, dato che siffatta libertà segna nella carne il presente di molti popoli, essendo loro violentemente negata. Si apre così una nuova partita giocata dal Papato, che si conferma il soggetto universale capace di muovere gli orizzonti dell'umanità nel difficile tempo della globalizzazione.

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1 commento:

euge ha detto...

vai a farlo capire a Melloni politi e c. che Benedetto XVI è un vero riformatore!!!!!!!!!

Eugenia