19 ottobre 2007

Papa e precariato: i commenti de "La Stampa" e "Repubblica"


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Il Papa attacca “La precarietà mina la società”

E Bagnasco rilancia: su vita e matrimonio
i vescovi non taceranno, la politica ci ascolti


GIACOMO GALEAZZI

CITTÀ DEL VATICANO
Benedetto XVI «patrono» dei precari. «Il precariato è un emergenza sociale ed etica, il lavoro instabile mina le basi della società». Altolà del Pontefice alla precarizzazione delle occupazioni che «non permettono ai giovani di costruire una famiglia». La 45ª Settimana sociale di Pistoia si apre con la dura critica del Pontefice alla precarietà nel lavoro e la riaffermazione orgogliosa da parte del presidente della Cei, Angelo Bagnasco del ruolo attivo dell’episcopato nella vita pubblica. Sui temi caldi come la vita e la famiglia, dunque, «i vescovi non taceranno» perché la Chiesa li ritiene «valori non negoziabili». In linea con il tema dell’assise («Il bene comune oggi: un impegno che viene da lontano»), il Pontefice incentra il messaggio ai delegati delle 160 diocesi, sulla necessità di collocare il lavoro tra le «emergenze etiche e sociali». Un’urgenza «in grado di minare la stabilità della società e di compromettere seriamente il suo futuro». La «precarietà del lavoro», denuncia il Pontefice, non permette ai giovani di costruire una famiglia, con la conseguenza che «lo sviluppo autentico e completo della società risulta seriamente compromesso». Il Papa sottolinea anche come il «rispetto della vita umana e l’attenzione da prestare alle esigenze della famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna» non sono «valori e principi solo cattolici, ma valori umani comuni da difendere e tutelare, come la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato». Un monito «condiviso pienamente» dal ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero: «Ha ragione il Papa, il precariato è la vera piaga del nostro tempo ed impedisce ai giovani di costruirsi serenamente una vita. La politica deve intervenire per combattere la precarietà». E dal «no global» di Rifondazione, Caruso al «teocon» centrista, Volonté è un coro unanime di consensi all’intervento papale.
La Chiesa è tornata a Pistoia dopo cento anni dalla prima Settimana sociale: nel 1907 i delegati furono presi a sassate dai contestatori anticlericali, nel 2007 si è invece civilmente mobilitato il Coordinamento laico con i gazebo contro «l’ingerenza eccelsiastica». Il neo-cardinale Bagnasco ha rilanciato l’appello del Papa al «lavoro stabile un bene comune» e, facendo proprie le parole del Pontefice, ha ricordato che la Chiesa italiana ribadisce il diritto alla stabilità dell’impiego. «Senza questo elemento del lavoro stabile, sicuro e dignitoso -precisa- diventa difficile parlare di bene comune». Il presidente della Cei considera vita e matrimonio «valori non riconducibili al processo di secolarizzazione e di relativizzazione». Per questo, secondo il presidente della Cei, «la parola dei pastori non potrà essere assente». E sarà una parola «chiara, ferma e rispettosa, protesa anzitutto a ribadire i principi non negoziabili». Senza timore di confrontarsi. «Chi sta vicino alla gente, al contrario di quanti si muovono da posizioni preconcette - afferma Bagnasco - percepisce che esiste ed è forte l’attesa di una loro parola, dato che il delicato momento vissuto dal Paese rende ancora più forte l’esigenza di punti di riferimento autorevole». Il leader dei vescovi ha rivolto anche un monito ai politici. «Nel diretto impegno politico- raccomanda- i laici sono chiamati a spendersi in prima persona attraverso l’esercizio delle competenze e contestualmente in ascolto del Magistero della Chiesa. Non è questo il tempo di disertare l’impegno, semmai di prepararlo e orientarlo». Il presidente della Conferenza episcopale ha toccato anche il tema dell’eutanasia, tornato di stringente attualità dopo la sentenza della Cassazione sulla vicenda di Eluana Englaro. La vita, osserva Bagnasco ribadendo la posizione già espressa dal Vaticano, è un bene indisponibile che secondo la Chiesa va sempre custodita e difesa: «Dobbiamo essere tutti quanti stimolati ad una riflessione sempre più puntuale e concreta su questo grande tema della vita che comporta anche il tema del morire». L’accenno di Bagnasco al fatto che i vescovi continueranno a dire la loro viene interpretato dai delegati come una risposta agli attacchi contro la gerarchia, lamentati anche dal segretario della Cei, Betori.

© Copyright La Stampa, 19 ottobre 2007


E per Rifondazione è già diventato “san Precario”

ANTONELLA RAMPINO

ROMA
Ai tempi del primo governo Prodi, l’asse tra i cattolici del Ppi e Rifondazione comunista (con Fausto Bertinotti segretario), metteva sempre in minoranza i riformisti dell’allora coalizione di centro-sinistra. Ieri, una riedizione di quella cordiale intesa, bypassando la rappresentanza parlamentare, ha coinvolto direttamente il Vaticano, il partito di Bertinotti e quello di Diliberto. Il Papa ha puntato il dito contro «il precariato, vera emergenza etica e sociale», monsignor Bagnasco che da presidente della Cei ha sotto osservazione lo specifico della società italiana ha sviluppato il concetto: «Senza lavoro stabile, sicuro e dignitoso diventa difficile parlare di bene comune».
E da sinistra s’è alzato un coro di plauso: bene il Papa, bene Bagnasco.
Pazienza se su «eutanasia», testamento biologico, coppie di fatto e cellule staminali il Vaticano allunga la sua influenza sul Palazzo. Da parte di Giovanni Russo Spena, di Paolo Ferrero, e poi anche del comunistissimo Diliberto, solo osanna. «Non si è ascoltata l’Europa, né l’Onu, speriamo che sulla precarietà di ascolti almeno il Papa», per dirla con Diliberto. «San Precario ha fatto il miracolo», esclama il no-global bertinottiano Caruso.
Non è solo che Russo Spena, strettissimo sodale di Bertinotti (il quale pure a suo tempo rivelò di «interrogarsi» sulla fede) si è fatto le ossa nelle Acli, o che il ministro della Solidarietà sociale Ferrero è religioso, e precisamente valdese. Non è nemmeno che Nicky Vendola, possibile candidato alle eventuali primarie della «Cosa Rossa», sia un fervido credente. Non è insomma che si sia risvegliata l’anima cattolica che alberga in parte dell’anima comunista (altra esponente Lidia Menapace). E’ che domani c’è quella manifestazione contro il precariato, in una condizione politicamente insoddisfacente, ovvero con le sinistre che dovranno votare un protocollo sul Welfare che lo stesso Prodi definisce «niente affatto modificato rispetto all’accordo del 23 luglio», e dev’essere così se ieri è arrivato il via libera di Confindustria.
La piazza scelta per l’arrivo del corteo per giunta è San Giovanni, quella che di solito le manifestazioni sindacali riempiono fino all’orlo, e che può contenere ben oltre il mezzo milione di persone. Rifondazione comunista e Pdci saranno lì a bandiere spiegate, niente vessili invece ma solo «partecipazioni individuali» della mussiana Sinistra democratica e dei Verdi di Alfonso Pecoraro Scanio. Con le bandiere anche la Fiom, mentre pare che Epifani abbia diramato il veto ad innalzare i gonfaloni della Cgil, ma si vedrà. Ieri da Rifondazione e dagli altri sono partiti inviti a scendere in piazza anche a chi al referendum ha votato sì. Ma intanto, anche se il segretario di Rifondazione Franco Giordano, consapevole dell’insuccesso politico di un evento che non è propriamente di lancio della «Cosa Rossa», ritiene che difficilmente sarà insuccesso quantitativo, su Internet i «movimenti» cominciano a riflettere. «La manifestazione ha la funzione di rianimare le morenti illusioni di Rifondazione e del Pcdi di modificare la politica del governo Prodi», anche se «i due partiti la stanno organizzando da mesi e spenderanno un sacco di soldi per offrire mezzi di trasporto gratuiti», recitava un volantino-mail di Alternativa comunista, che dei bertinottiani sta molto a sinistra. Insomma, le parole del Papa, ragiona Giovanni Russo Spena, sono una mano santa, «fanno piacere in un giorno normale, figurarsi a due giorni da una manifestazione contro il precariato». Magari in piazza arriveranno anche tanti cattolici di sinistra, si spera.

© Copyright La Stampa, 19 ottobre 2007


La sinistra
La famiglia

Giorgio Cremaschi, segretario nazionale della Fiom, commenta le parole del Papa

Plauso dal sindacalista marxista "Anche la Chiesa ha capito il dramma"

La politica ha accettato di essere subalterna al mercato e alla competizione
Siamo un Paese che non si riproduce più biologicamente: ecco cos´è la precarietà


ROBERTO MANIA

ROMA - Giorgio Cremaschi si definisce - ancora - un marxista («Marx resta la migliore lettura per capire ciò che accade», spiega). Si dice profondamente ateo, ostile a tutti «i fondamentalismi religiosi», e per nulla prossimo ad una «improvvisa conversione». Ricorda di aver smesso di frequentare la parrocchia intorno ai dodici anni «quando cominciai a pormi i primi dubbi sulla religione». Ebbene, tutto ciò non gli impedisce - a lui sindacalista comunista da oltre trent´anni - di condividere l´analisi di Papa Ratzinger sul lavoro precario, o meglio sulla condizione della precarietà. Anzi il messaggio di Benedetto XVI diventa, per il bresciano segretario della Fiom, il ribelle dentro la Cgil di Epifani, l´occasione per ragionare «sul ripiegamento» della sinistra nell´accettare la precarietà (o anche la flessibilità, secondo Cremaschi) come «il male minore di fronte alla globalizzazione». «Non è così - dice - e questo mi fa imbestialire».
Intanto il messaggio del Pontefice alla Settimana sociale dei cattolici. «Io - sostiene Cremaschi - ho molto rispetto per le posizioni della Chiesa, anche quando non le condivido. Questa volta, però, rispetto e condivido pure. Ratzinger, che recupera il tradizionale approccio della dottrina sociale, ha davvero ragione. Perché la precarietà è una condizione, non è esclusivamente una questione sociale o economica. Il Papa sostiene che è anche una questione etica. Io preferisco dire che è una questione di diritti, di dignità dei lavoratori. D´altra parte come si può pensare di progettare il futuro, se metà della propria vita, quella nella quale si ha anche a disposizione maggiore energia, si trascorre nell´incertezza. La precarietà è una condizione drammatica, è molto più di una ingiustizia sociale. D´altra parte il suicidio del metalmeccanico di Tolentino perché non riesce più a pagare il mutuo, è l´altra parte della medaglia della condizione della precarietà».
Ma il Papa va oltre: dice che un giovane precario non può costruire la sua famiglia così che «lo sviluppo autentico e completo della società risulta seriamente compromesso». Anche su questo Cremaschi, il comunista, è d´accordo. «È assolutamente evidente che sia così. Certo, io non ho il culto della famiglia che può avere un cattolico, né attribuisco alla famiglia il medesimo significato. Ma noi siamo diventati un Paese che non si riproduce più biologicamente. Ecco cos´è la precarietà. È la perdita di sé. Non si può ridurre ad una questione salariale. Aggiungo: è un attentato alla dignità della persona».
Dalla dottrina alla politica, e soprattutto alla sinistra italiana che di fronte alle trasformazioni nel lavoro continua a dividersi e lacerarsi. Di più: il lavoro è diventato uno spartiacque tra massimalismo e riformismo. «Io - dice il fiommino Cremaschi che domani sarà in piazza insieme a Rifondazione e ai Comunisti italiani - non voglio strumentalizzare il Papa, ma la stragrande maggioranza delle forze politiche e culturali ha accettato di essere subalterna alla centralità del mercato e della competizione globale. Ed è contro questo atteggiamento di rassegnazione che mi ribello. La flessibilità delle imprese non può essere la precarietà del lavoro. Per l´uomo il lavoro non è un fine ma un mezzo per emanciparsi, per conquistare diritti. Insisto: l´uomo non si può ridurre a merce. Non si può accettare la precarietà e ritirarsi scoraggiati di fronte alle regole del mercato. Anche il Papa dice che c´è un´altra strada».

© Copyright Repubblica, 19 ottobre 2007

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