18 ottobre 2007

Card. Scola: la lectio di Ratisbona ha suscitato una dinamica di grande interesse all’interno dell’islam


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IL PATRIARCA E I MUFTI’

Per il cardinale Scola la lettera dei 138 saggi islamici è il punto di partenza, “con un approccio realistico”, per un dialogo teologico. Il numero e la qualità delle firme e il linguaggio lo rendono più credibile di altri proclami

Roma. In quest’intervista esclusiva concessa al Foglio, il patriarca di Venezia, cardinale Angelo Scola, apre allo spirito della lettera dei 138 saggi islamici, “Una Parola comune tra noi e voi”, mettendo fine alla discrezione finora osservata dalla chiesa. Unica eccezione, il cardinale Jean Louis Tauran, presidente per il pontificio consiglio per il Dialogo inter-religioso, che al Foglio di sabato scorso ha detto che “è un documento non polemico, firmato sia da sunniti sia da sciiti, ricco di citazioni dal Vecchio e dal Nuovo Testamento” Aggiungendo: “Mi ha impressionato, a questo proposito il fatto, probabilmente senza precedenti, che le citazioni relative a Gesù Cristo sono prese dai Vangeli e non dal Corano”. “Un segnale molto incoraggiante, poiché dimostra che la buona volontà e il dialogo sono capaci di vincere i pregiudizi. E’ una riflessione spirituale sull’amore di Dio”: così Tauran. La riserva ecclesiale, per il resto, era stata notata anche dalle agenzie di stampa internazionali, a cominciare dalla Reuters.

“Il documento è sicuramente un segno incoraggiante” dice il cardinale Scola al Foglio. “E’ notevole innanzitutto il numero e la qualità dei sottoscrittori. Non si tratta di un fatto solo ‘mediatico’ perché il consenso è per l’islam una fonte della teologia e del diritto. I redattori di Oasis mi hanno detto che anche se i sottoscrittori hanno evitato di dare un taglio giuridico al documento, è pur vero che nessun testo prodotto dai gruppi salafisti più estremisti ha mai potuto vantare un consenso paragonabile a quello testimoniato dalle 138 firme in calce alla lettera aperta.

L’approccio è realistico, ‘se i musulmani e i cristiani non sono in pace, il mondo non può essere in pace’, e si propone in fondo semplicemente di ‘dire ai cristiani che come musulmani non siamo contro di loro e che l’islam non è contro di loro – fintantoché non fanno guerra contro i musulmani in nome della loro religione’. Al proposito i leader musulmani si identificano volentieri con quegli ‘altri’ di cui Gesù dice: ‘chi non è contro di noi è con noi’”.
Per la prima volta un gran numero di studiosi dell’islam sembra rompere con la cultura del rigetto dell’occidente e dei non musulmani. “Il documento, nella prospettiva del duplice amore, di Dio e del prossimo, valorizza tutta una vena della tradizione musulmana che è stata messa parzialmente in ombra dalla crescita del fondamentalismo. L’uomo, afferma il testo, ha ‘una mente che è fatta per comprendere la verità; una volontà che è fatta per la libertà di scelta e un sentimento che è fatto per amare il buono e il bello’. Per contro, si nota tra le righe una condanna del terrorismo: ‘… a quelli che bramano il conflitto o la distruzione per sé o pensano che alla fine ne trarranno un vantaggio, a loro diciamo… (di) dispiegare sinceramente ogni sforzo per fare la pace’. Il radicamento nella tradizione musulmana è molto importante e rende il testo più credibile di altri proclami espressi in un linguaggio più occidentale”.
Nell’introduzione i 138 ricordando che “insieme noi rappresentiamo il 55 per cento della popolazione mondiale”, un approccio molto tattico, politico. Anche per questo il cardinale Tauran ha detto che la lettera apre strade nuove, ma ha bisogno di essere approfondita per renderla più oggettiva e non selettiva, universale e meno politica. Più che di critiche alla lettera, Scola però preferisce parlare “di una, forse, necessaria limitazione di campo. Non si deve chiedere a questo documento più di quello che può dare. Esso è solo il preludio per un dialogo teologico, che, in un’atmosfera di maggiore stima reciproca, si proponga di indagare il contenuto dei due pilastri (l’amore del Dio unico e l’amore del prossimo) nelle due tradizioni religiose”.
Un anno fa al Cairo il patriarca organizzò un incontro del semestrale Oasis dal titolo “Diritti fondamentali e democrazie”, in collaborazione con l’Università di Al Ahzar, alti dignitari cattolici, accademici occidentali e membri del World Jewish Congress. “Questo dialogo teologico non è in nessun modo possibile se non c’è una stima anteriore”,continua Scola. “Ho avuto occasione di discutere pubblicamente al Cairo e negli Usa con tre dei firmatari del documento: Seyyed Hossein Nasr, Ahmad Al-Tayyeb, Muzammil H. Siddiqui e ho potuto constatare che questa stima reciproca è reale. L’augurio è che questo documento sia letto e diffuso largamente nel mondo musulmano e nell’occidente”.

Si può sostenere che la lettera è la dimostrazione che Benedetto XVI ha aperto una grande partita a Ratisbona?

“Sicuramente l’intervento del Papa ha suscitato una dinamica di grande interesse all’interno dell’islam. Come riconoscono gli stessi sottoscrittori, l’interconnessione tra cristiani e musulmani nel mondo contemporaneo è tale da rendere ormai improcrastinabile una presa di posizione riguardo al problema della coesistenza di fedi differenti”.

Il dialogo con l’islam sembra essere fermo a un punto morto.

“Il documento indica un’importante punto di partenza per un autentico dialogo. Esso domanda sempre due condizioni: l’autoesposizione e la ricerca di una vita buona. Mi sembra che i sottoscrittori della lettera vadano decisamente in questa direzione dal momento che invitano i cristiani a una sorta di ‘emulazione spirituale’, in una gara nel fare il bene ‘gareggiamo gli uni con gli altri solo in giustizia e opere buone’”.

I firmatari di “Una Parola comune tra noi e voi”, la lettera che 138 esponenti islamici hanno indirizzato a Benedetto XVI ad altri leader cristiani (testo integrale nel Foglio di lunedì scorso), sono rappresentanti di oltre 43 nazioni. Ci sono molti muftì, i responsabili dell’emissione di una di fatwa (Egitto, Giordania, Siria, Emirati Arabi Uniti, Oman e Istanbul), il capo del Fatwa Council dello Yemen, ministri ed ex ministri degli Affari religiosi di Algeria, Sudan, Mauritania, Giordania e Marocco, oltre al presidente dell’Università Al Azhar, il più antico centro di cultura del mondo islamico. Il segretario generale della Organizzazione della conferenza islamica, un componente del Consiglio superiore degli ulema sauditi, uno del Supremo consiglio per gli affari islamici della Nigeria, il segretario generale del Consiglio degli ulema indonesiani, esponenti governativi e universitari iraniani. Aref Ali Nayed, consigliere del Cambridge Inter-faith Programme, sostiene che i firmatari rappresentano “il 99,9 per cento dei musulmani. E sono persone che non prendono alla leggera la sottoscrizione del documento”. Si nota subito la presenza di grandi rappresentanti delle comunità sunnite e sciite, in questi anni al centro di una guerra fratricida transnazionale. Ma anche di gruppi religiosi più piccoli, come la mistica sufi, bersaglio della furia salafita e wahabita. E ancora gli ismailiti e i giafariti, entrambi deviazione dallo sciismo, fino ai ribaditi, un’antica setta islamica. L’eterogeneità dei firmatari segna un passo in avanti verso ciò che l’islam chiama “ijmaa”, il consenso, uno dei tre pilastri nella tradizione islamica insieme al Corano e alla tradizione maomettana. La convergenza per la produzione di questo storico documento è avvenuta sotto l’egida del re di Giordania e della fondazione Aal al-Bayt, in arabo “Famiglia del Profeta dell’islam”, guidata dallo zio del re, il Principe Hassan, rappresentante del migliore islam, dal punto di vista della non violenza, dell’apertura ai non musulmani e della devozione spirituale.
L’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams ha accolto molto positivamente la lettera dei 138, perché “invita al rispetto, alla pace e alla buona volontà”. Del cardinale Tauran s’è già detto. Il vocabolario della lettera, come spiega l’islamologo gesuita Samir K. Samir, è cristiano, non musulmano. La parola “prossimo” non esiste nel Corano, è tipica del Nuovo Testamento. Anche la parola “amore” è usata raramente nel Corano e non fa parte dei nomi di Dio. “La lettera dice che cristianesimo, ebraismo e islam hanno come cuore della fede l’amore di Dio e del prossimo. E’ forse la vera novità, mai detta prima nel mondo islamico”.

© Copyright Il Foglio, 18 ottobre 2007

4 commenti:

brustef1 ha detto...

E' proprio il caso di dire che la parola di questo Papa smuove le montagne. Prima le reazioni ufficiali e sdegnate dei "politicamente corretti" alla lectio di Ratisbona, poi la riflessione e i risultati. Ho letto interpretazioni riduttive e prudenti della lettera dei saggi islamici, ma non c'è dubbio che sia un passo avanti nel dialogo, come non c'è dubbio che, senza Ratisbona, non ci sarebbe mai stata.

Anonimo ha detto...

Confermo e sottoscrivo :-))
Ci sono moltissimi articoli sulla lettera dei 138. Spero di riportarli entro oggi :-)

brustef1 ha detto...

Grazie per l'encomiabile e incessante impegno. Scusa l'intromissione nel privato, ma a volte mi domando: quando vai a fare la spesa?

Anonimo ha detto...

ahahhahahahah
quando scompaio per qualche ora :-))