19 ottobre 2007
Navarro Valls: non è la prima volta che Papa Benedetto si occupa del lavoro
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IL VALORE DEL LAVORO
JOAQUÍN NAVARRO-VALLS
Il messaggio inviato da Benedetto XVI in occasione dell´inaugurazione delle Settimane sociali della Chiesa a Pistoia e a Pisa ha come tema di riflessione il lavoro. Non si tratta, in effetti, di una novità, ma di un´attenzione che egli ha dato alla questione, sia pure in modo diverso, molte volte e che ha presentato approfonditamente anche nella sua prima Lettera Enciclica Deus caritas est.
In realtà, la questione appartiene di diritto ad un esame scrupoloso generale a proposito della nostra società contemporanea. E, alla fine, della nostra stessa vita. Forse anche in ragione del fatto che la maggior parte delle ore della nostra giornata sono, per la maggior parte di noi, dedicate al lavoro, o, comunque, assorbite dalle nostre diverse attività professionali.
Apparentemente si potrebbe pensare che la rilevanza dell´operosità nel quotidiano sia un retaggio dei ritmi produttivi imposti dalla modernità, un effetto dello sviluppo corrente della vita, conseguenza della rivoluzione industriale e tecnologica che negli ultimi decenni si è così accentuata. In effetti, in molti hanno recentemente posto l´accento sul fatto che gli odierni ritmi di vita avrebbero trasformato il vecchio homo sapiens in quell´homo faber di cui parla Max Frisch in un suo celebre romanzo: un essere pragmatico, razionale, insensibile agli altri e totalmente assorbito nel proprio attivismo individualista. Tutto ciò, ovviamente, non è che un´immagine di fantasia, la rappresentazione emblematica di un caso limite, su cui comunque può essere sempre utile tornare a riflettere, ma che non è caratteristico di ciò che accade realmente in noi.
A ben vedere, infatti, la dimensione del lavoro non è un aspetto della vita di oggi, ma appartiene di diritto e, di fatto, a ciò che l´uomo è realmente e da sempre, almeno per quanto ne sappiamo. Per questo, fin dall´antichità l´operosità dell´uomo e della donna, con il giusto sacrificio che ne consegue, è guardata con grandissima ammirazione da tutti. Se Platone ed Aristotele discutono tra loro se sia giusta o no la proprietà privata dei beni materiali, entrambi riconoscono la centralità del lavoro nella vita degli uomini, considerando l´inoperosità volontaria la peggiore forma di schiavitù: proprio quella dell´ozio. Certo, i latini consideravano prerogativa del ricco l´otium, intendendo con tale espressione però un´altra cosa, cioè un lavoro più nobile, intellettuale e contemplativo di quello materiale.
La Bibbia ci dà la sua idea del lavoro proprio all´inizio della Genesi, sottolineando l´operosità senza fatica dell´uomo e della donna, non ancora appesantita dall´infelice carico del peccato originale.
Agostino era talmente convinto del valore del lavoro dei campi da ritenere che i religiosi contemplativi avessero il dovere di cimentarsi in tale attività per essere autonomi e sopravvivere in libertà. Come è noto, la regola benedettina farà sua questa impostazione agostiniana nel celebre ora et labora. Marx non ha torto quando afferma, da par suo, che l´uomo è tale in virtù della sua capacità di lavoro, cioè della sua effettiva capacità di trasformare la realtà esterna. Io penso che la rilevanza sociale del lavoro risieda, in effetti, nel suo carattere autenticamente umano, che si configura cioè come assolutamente inseparabile ed imprescindibile dalla realizzazione esistenziale di ogni singola persona. Infatti, se grazie al proprio lavoro è possibile vedere realizzati i propri sogni, è grazie al lavoro degli altri che possiamo in ultima istanza sopravvivere e prosperare.
Da questa consapevolezza proviene il dovere morale che ogni società ha sempre sentito per coloro che sono disoccupati involontariamente e che pertanto devono essere aiutati a poter lavorare. Oltre ovviamente al riconoscimento del carattere fondamentalmente soggettivo del lavoro, cioè l´intrinseca necessità che ogni uomo ha di lavorare per essere pienamente se stesso. Il senso ultimo del lavoro, quindi, non riposa tanto in ciò che dal lavoro si può ottenere, ma da ciò che possiamo divenire noi stessi e da ciò che possiamo migliorare degli altri. La dimensione, ad esempio, del lavoro non retribuito, cioè realizzato secondo la formula non profit, così come i lavori domestici o di assistenza agli invalidi, spesso ottemperati a livello di impegno privato, non soltanto sono da pensarsi in termini di lavoro, ma anzi forniscono una prova del carattere non economico, ma etico ed antropologico di ogni attività.
Se è vero che mediante il lavoro, con la fatica e l´impegno che una qualsiasi seria attività professionale richiede, perdiamo molto del nostro egoismo, è tuttavia vero anche che il lavoro di un essere umano non può mai trasformarsi in una merce o in uno strumento anche della propria, oltre che dell´altrui, ambizione. Ogni uomo è il protagonista primo ed essenziale della sua attività. L´uomo è soggetto nel suo lavoro perché è persona. E proprio perché è persona, il lavoro stesso ha un suo valore etico, e non soltanto economico.
© Copyright Repubblica, 19 ottobre 2007
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