20 ottobre 2007

"Un rabbino parla con Gesù" di Jacob Neusner


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Jacob Neusner

UN RABBINO PARLA CON GESÙ
SanPaolo, 202 pp., euro 14

Andrea Monda

A distanza di 14 anni è nuovamente uscito in questo giorni il libro di Jacob Neusner Un rabbino parla con Gesù. Nel 1993, subito dopo la pubblicazione negli USA, il rabbino capo della Gran Bretagna, Jonathan Sacks, lo definì “un tour de force molto, molto coinvolgente”, giusta definizione per un saggio breve, ma “pressante”, che, come si suol dire, “una volta cominciato non si riesce a smettere di leggere”. Questa seconda edizione italiana arriva sulle ali di un rinnovato e contagioso entusiasmo giustificato da un fatto, semplice quanto notevole: nel suo Gesù di Nazaret, Benedetto XVI ha dedicato intere pagine a Jacob Neusner e al suo saggio (che, tra l’altro, è solo una delle sue oltre novecento pubblicazioni), non a caso sulla copertina campeggia una citazione del libro del Papa:
“Questa disputa…del grande erudito ebreo Jacob Neusner…mi ha aperto gli occhi sulla grandezza della parola di Gesù”. Un rabbino
erudito ebreo che, con un saggio su Gesù, apre gli occhi al più raffinato teologo cattolico vivente, da due anni diventato Papa?
Eppure è così e chi leggerà questo libro se ne renderà conto facilmente. Il punto è che Neusner, tra i massimi esperti delle Sacre Scritture ebree, ha preso sul serio, con la massima onestà e trasparenza intellettuale, le parole di Gesù, in particolare quelle del Discorso della Montagna, e, da buon ebreo, ha intrapreso una discussione serrata con l’autore di quel Discorso. L’autore infatti considera il più grande complimento che si possa fare a qualcuno quello di discutere con lui; per il rabbino americano la discussione, se condotta con curiosità e senza doppiezza (come riesce a fare per tutte le 200 pagine del volume, un “miracolo” che è stato reso possibile, dice, proprio dalla “nostra innata curiosità americana e una fondamentale buon volontà”), è il segno del massimo rispetto, ma anche di più, che si possa dimostrare verso una persona: “io mi osservo” scrive nelle prime pagine sintetizzando il senso del suo saggio, “mentre incontro quest’uomo e dialogo cortesemente con lui. E’ la mia forma di rispetto, il solo complimento che chiedo agli altri, l’unico serio omaggio che rendo alla gente che prendo sul serio: dunque rispetto e anche amore”. Neusner fa una cosa semplice e al tempo stesso complicatissima: si mette a seguire Gesù e lo ascolta come se fosse la prima volta che quelle parole vengano pronunciate. “Facciamo finta di non aver mai udito le parole che sono risuonate per secoli” propone audacemente l’autore al suo lettore, ebreo o cristiano o ateo che sia, “Allora, e solo allora, trovando nuovo e stimolante ciò che i secoli hanno reso vecchio, possiamo rinnovare l’incontro che fonda, a mio avviso, il cristianesimo: l’incontro con Gesù”. E’ fin troppo evidente la coincidenza con l’approccio di Benedetto XVI che nella prima pagina della Deus Caritas est, afferma: “All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”. In fondo il Papa e il rabbino si muovono nella stessa direzione: presentare la novità del vangelo di Gesù così com’è, una novità, che deve scrollarsi di dosso la polvere di 2000 anni di cristianesimo e di storia occidentale. E’ necessario ritornare sulle pendici di quel monte delle Beatitudini, altrimenti la freschezza decisiva del vangelo rischia di essere perduta. E non importa che poi Neusner preferisca (motivando la sua scelta) non avvalersi della novità di Gesù, anzi questa serietà e fedeltà a Israele non fa che avvalorare l’indagine del rabbino dialogante. La scelta dell’autore di privilegiare il primo vangelo scaturisce dal fatto che Matteo è un ebreo che scrive ad una comunità di cristiani provenienti dal giudaismo per cui Neusner si sente direttamente chiamato in causa, coinvolto: a quella pro-vocazione di un maestro della Torah, come Gesù si presenta, il rabbino esperto di Torah di oggi intende rispondere.
Tra l’altro l’autore non fa mistero di non gradire gli altri vangeli, in particolare quello di Giovanni per nulla “tenero” nei confronti dei figli d’Israele, ma se non ama il contenuto del quarto vangelo, va detto però che Neusner ha uno stile simile a quello giovanneo, uno stile spiraliforme per cui ama ritornare di continuo sullo stesso concetto per approfondirlo e ampliarlo; da qui quel risultato di “libro-tour de force” molto coinvolgente di cui parlava il capo rabbino inglese quattordici anni fa (e che non ha perso neanche un grammo della sua forza), un tour de force che può fare molto bene ai cristiani come ha intuito, primo fra tutti, Joseph Ratzinger.
Alla fine di maggio Neusner spiegò sul Jerusalem Post come era nato il dialogo con Ratzinger. “Quando il mio editore mi chiese di consigliargli a quali colleghi chiedere di presentare il mio libro, suggerii il rabbino capo Jonathan Sacks e il cardinale Joseph Ratzinger. Il rabbino Sacks mi aveva da tempo impressionato per i suoi acuti e ben argomentati scritti teologici, da valido apologista contemporaneo dell'ebraismo.
Quanto al cardinale Ratzinger avevo ammirato i suoi saggi sul Gesù della storia e gli avevo scritto per dirglielo. Lui mi aveva risposto e ci eravamo scambiati scritti e libri. La sua volontà di discutere sulla questione della verità, e non solo sulle politiche della dottrina, mi aveva colpito come coraggiosa e costruttiva”. Neusner spiega come grazie al Gesù di Benedetto XVI, “le dispute ebraico-cristiane entrano in una nuova era. Siamo ora in grado di incontrarci gli uni gli altri in un promettente esercizio di ragione e di critica. Le parole del Sinai ci conducono assieme verso il rinnovamento di una tradizione lunga duemila anni di dibattito religioso al servizio della verità di Dio. Una volta uno mi definì la persona più amante della disputa che avesse mai conosciuto. Ora ho trovato chi mi tiene testa. Benedetto XVI è un altro cercatore della verità. Quelli che stiamo vivendo sono tempi interessanti”.

© Copyright Il Foglio, 20 ottobre 2007

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