19 ottobre 2007
Padre Samir commenta la lettera dei 138 leader islamici al Papa: positiva (con qualche riserva)
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Lettera dei 138. Il commento di padre Samir, islamologo del papa
Su “Asia News” il gesuita egiziano Samir Khalil Samir, islamologo tra i più ascoltati in Vaticano, ha dedicato un ampio commento alla lettera dei 138 dotti musulmani al papa a ai capi delle altre Chiese cristiane di cui www.chiesa ha dato notizia il 12 ottobre.
Padre Samir dà alla lettera valutazioni positive, ma avanza anche delle critiche.
Di positivo, scrive, c’è l’ampio consenso espresso dalla rosa dei firmatari, appartenenti alle più diverse correnti del mondo musulmano. Sul principale promotore di questa intesa, il principe Hassan di Giordania, padre Samir dà questo interessante ragguaglio:
“Quest’uomo rappresenta forse quanto di meglio oggi esiste nell’islam, dal punto di vista della riflessione, dell’apertura e anche della devozione. Pur essendo un musulmano credente e devoto, egli è sposato a una donna indù che – fatto insolito nell’islam attuale - non ha dovuto convertirsi all’islam, cosa che invece viene richiesta alle cristiane oggi in Occidente, pur non essendo prevista per nulla dal Corano”.
Padre Samir fa notare che il titolo della lettera, “Una parola comune tra noi e voi”, è tratto dal Corano, là dove Maometto chiede ai cristiani di accordarsi almeno su questo: adorare un solo Dio e “non prendere alcuni di noi come padroni all’infuori di Dio”. C’è in questo l’eco del primo comandamento del decalogo. Ma la lettera dei 138 - fa notare padre Samir - non prende come base d’intesa né il decalogo né la legge naturale, che varrebbero per gli uomini di tutte le fedi e anche per i non credenti, come ricorda spesso Benedetto XVI. La lettera non ha un orizzonte universale: “si ferma a ciò che è comune nella Bibbia e nel Corano”, come se bastasse l’accordo tra cristiani e musulmani. E del Corano cita solo i passi più benevoli con i cristiani, omettendo quelli duramente aggressivi, con il rischio di impostare un dialogo “basato sull’ambiguità”.
In ogni caso, come “primo passo”, padre Samir giudica utile la lettera: “Spesso i cristiani hanno preso delle iniziative di dialogo; stavolta, per la prima volta, mi sembra, sono i musulmani a prendere l’iniziativa, e l’hanno fatto bene”.
A giudizio di padre Samir la cosa più bella della lettera è la conclusione, dove essa cita il versetto coranico della tolleranza: “Se Dio l’avesse voluto, avrebbe fatto di voi una sola comunità. Ma ha voluto provarvi con l’uso che farete di quello che vi ha dato. Gareggiate dunque nelle opere buone; voi tutti ritornerete a Dio ed Egli vi informerà a proposito delle cose su cui siete discordi” (Sura della tavola imbandita, n. 5:48).
Commenta Samir: “Questa sura è la penultima in ordine cronologico del Corano. Ciò significa che non può essere cancellata o superata da un’altra sura, secondo la teoria islamica dell’interpretazione coranica detta dell’abrogante e dell’abrogato (nâsikh wa-l-mansûkh). Questo versetto è fondamentale perché dice che possiamo convivere malgrado le nostre diversità, anzi che Dio ha voluto queste diversità”.
Padre Samir si chiede tuttavia “che peso avrà la lettera nel mondo islamico, mentre continuano i rapimenti di sacerdoti, le persecuzioni di apostati, l’oppressione dei cristiani”.
Ed auspica che in un prossimo passo il dialogo prenda di petto “le questioni più sensibili della libertà religiosa, del valore assoluto dei diritti umani, del rapporto tra religione e società, dell’uso della violenza”.
A questo proposito, però, è stata una doccia fredda ciò che hanno detto l’11 ottobre nella presentazione ufficiale della lettera, a Washington, i professori Seyyed Hossein Nasr, musulmano sciita, uno dei firmatari, e John Esposito, cattolico, della Georgetown University.
Uno dei presenti – citando il passaggio della lettera che dice: “Come musulmani, diciamo ai cristiani che né noi né l’islam sono contro di loro, almeno fino a quando essi non muovono guerra ai musulmani a motivo della loro religione, li opprimono e cacciano dalle loro case” – ha domandato: “A giudizio dei leader musulmani la guerra in Iraq soddisfa questa condizione e quindi legittima l’uso della violenza?”.
Nasr ha risposto: “Molti pensano di sì, ma ve ne sono che si mantengono in posizione di attesa. È interessante che molti ulema sciiti in Iraq non abbiano finora emesso alcuna fatwa contro gli americani, compreso l’ayatollah Sistani, la più alta autorità sciita. Se egli ne avesse emessa una, le vittime tra i soldati americani sarebbero state dieci volte più numerose, dall’inizio della guerra. È rimasto in silenzio, sperando che l’intervento sia temporaneo e prima o poi finisca. Ma se continua, lui ed altri come lui, che sono moderati, si troveranno spinti in una situazione davvero difficile. Tra i leader sunniti ve ne sono in maggior numero che sono contro l’invasione americana dell’Iraq e hanno dichiarato con forza che combattere contro l’aggressione è legittimo, poiché bisogna difendere la propria casa e il proprio paese”.
Esposito ha chiosato: “Essi vedono questo come una resistenza all’occupazione”.
Sorprende che la risposta abbia ridotto la questione a un puro scontro militare con i soldati americani. La stragrande maggioranza delle vittime della violenza musulmana, in Iraq e altrove, sono civili inermi, per la gran parte anch’essi musulmani.
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ISLAM - CRISTIANESIMO
La Lettera dei 138 dotti musulmani al Papa e ai Capi cristiani
di Samir Khalil Samir, sj
C’è molto di buono nel documento inviato a Benedetto XVI e ai capi cristiani: maggiore convergenza fra correnti musulmane; attenzione al vocabolario cristiano; desiderio di dialogo. Vi è anche qualche ambiguità e difficoltà. Ma è un primo passo: è tuttora necessario aprire il dialogo anche con il mondo secolare. La grande sura della tolleranza. Un’ampia analisi del nostro esperto sull’Islam.
Beirut (AsiaNews) - La lettera inviata da 138 personalità islamiche al papa e ai capi cristiani è un primo passo positivo verso un dialogo, che ha però bisogno di divenire più universale e più concreto.
La lettera si situa in modo esplicito come prolungamento della prima, inviata proprio un anno fa a Benedetto XVI, quale risposta al suo discorso magistrale all’università di Regensburg: per la pubblicazione è stata scelta la stessa data (13 ottobre 2007), che quest’anno coincideva con la fine del Ramadan[1]
Rappresentatività della Lettera
Notevole è il fatto che i firmatari sono aumentati rispetto all’anno scorso: da 38 – come era per lo scorso anno – si è passati a 138. Essi rappresentano circa 43 nazioni, tra nazioni musulmane e altre (in particolare occidentale). Ci sono dei gran mufti (cioè capi di fatwa in un Paese), dei responsabili religiosi, dei studiosi e dei privati.
Fra i firmatari, oltre a rappresentanti dei due grandi gruppi sunniti e sciiti, abbiamo anche rappresentanti di gruppi più piccoli, di sette e perfino di tendenze divergenti, per esempio la tendenza più mistica (sufi), in maggioranza occidentali. Vi sono ad esempio ismailiti, che sono una derivazione degli sciiti; giafariti, anch’essi una deviazione dallo sciismo; ribaditi, che è un vecchio gruppo dell’islam, di cui non si parla molto, ma che ha un rappresentante nello Yemen.
Ciò indica un allargamento del consenso da parte di un certo ambiente islamico, un passo verso ciò che l’islam chiama l’ijmaa (consenso). Nella tradizione islamica ogni punto della fede si fonda su tre fonti: il Corano, la tradizione muhammadiana (hadith ossia detti, e vita di Maometto), il consenso della comunità, appunto l’ijmaa. Questo terzo passo finora non è mai stato molto valorizzato. Anzi, c’è molta divisione nel mondo islamico: un giorno un imam dice una cosa; il giorno dopo un altro dice una cosa diversa.
Questa lettera non dice che vi è accordo tra tutti i musulmani, ma mostra che si va verso un certo consenso. Questa convergenza è avvenuta sotto l’egida del re di Giordania e della fondazione Aal al-Bayt (cioè la Famiglia del Profeta dell’islam), guidata dallo zio del re, il Principe Hassan. Quest’uomo rappresenta forse quanto di meglio oggi esiste nell’Islam, dal punto di vista della riflessione, dell’apertura e anche della devozione. Pur essendo un musulmano credente e devoto, egli è sposato a una donna indù che – fatto insolito nell’Islam attuale - non ha dovuto convertirsi all’islam, cosa che invece viene richiesto alle cristiane oggi in Occidente, ma che non è previsto per nulla dal Corano.
Il primo punto positivo della lettera è perciò la sua rappresentatività, il suo provenire da un gruppo convergente. La lettera è rappresentativa anche perché è inviata a tutto il mondo cristiano. Se si prende l’elenco dei destinatari, abbiamo un quadro molto completo e accurato: oltre al papa, abbiamo tutte le tradizioni dell’Oriente cristiano, i patriarchi delle Chiese calcedoniane e pre-calcedoniane; poi le Chiese protestanti e infine il Consiglio mondiale delle Chiese. Il che mostra che dietro questa lettera vi è qualcuno che conosce bene il cristianesimo e la storia della Chiesa.
I - La struttura
Venendo al contenuto, risalta il fatto che il titolo è preso dal Corano: “Una parola comune tra noi e voi” (Sura della famiglia di Imran, 3:64). Questo è ciò che nel Corano Maometto dice ai cristiani: quando vede che non riesce a mettersi d’accordo con loro, allora dice: Venite, accordiamoci almeno su una cosa comune: che non adoriamo che un solo Dio (cioè sull’unicità divina) “e che non prenderemo alcuni di noi come padroni all’infuori di Dio”.
Da notare che questa parola comune nel Corano, non prende in considerazione alcuna definizione su Maometto. In questa frase non si parla di Maometto come il profeta, o l’ultimo messaggero di Dio. Ciò che qui viene sottolineato come parola comune è l’unicità di Dio. Il che è anche un passo positivo, pur partendo sempre dal Corano.
La struttura comprende tre parti: la prima è intitolata “L’amore di Dio”, suddivisa in due sottoparti, “L’amore di Dio nell’islam” e “L’amore di Dio come primo e più grande comandamento nella Bibbia”. In realtà, il titolo arabo originale è più preciso: dice “nel Vangelo”. Mettere la parola “Bibbia” (che comprende l’Antico e il Nuovo Testamento) permette di integrare in questo discorso anche il giudaismo (sebbene la lettera sia indirizzata solo ai cristiani). La seconda parte è intitolata “L’amore per il prossimo” (hubb al-jâr). Anche qui si divide in due sezioni: «l’amore per il prossimo nell’islam» e «l’amore per il prossimo nella Bibbia». Di nuovo, l’originale arabo dice “nel Vangelo”.
La terza parte conclude riprendendo la citazione coranica: “Venite a una parola comune tra noi e voi”, e offre un’analisi interessante in tre parti: “parola comune”, ““Venite a una parola comune” e “Tra noi e voi”.
II - Qualche riflessione sul contenuto
Davanti a questa struttura, vorrei fare alcune osservazioni.
Anzitutto, vi è una continuità fra la prima lettera di un anno fa e questa. La prima lettera si concludeva con la necessità di arrivare a mettersi d’accordo partendo dall’amore di Dio e del prossimo. Con questa i dotti vogliono dire: noi sviluppiamo adesso ciò che avevamo annunciato come fondamento della relazione tra islam e cristianesimo.
È interessante notare che il vocabolario utilizzato è un vocabolario cristiano, non musulmano. La parola “prossimo” non esiste nel Corano; è tipica del Nuovo Testamento. Di fatti, il testo arabo non dice “prossimo” ma “vicino” (jâr), che non può avere che il senso geografico (come il vicino di casa), a differenza del termine cristiano qarîb, che significa “il prossimo”.
La parola “amore” è usata nel Corano poche volte. Addirittura, essa non fa parte dei nomi di Dio. Non si dice mai che Dio è l’amante, anche se vi sono alcuni sinonimi meno forti. La parola è invece largamente utilizzata nel cristianesimo. E infatti se si analizza la prima parte, quella sull’amore di Dio secondo l’Islam, noi cristiani lo chiameremmo piuttosto “obbedienza a Dio”, non “amore”. Ma qui essi lo chiamano così per adeguarsi al vocabolario cristiano. Il che è bello, ma un po’ pericoloso perché rischia di essere un gioco di “concordismo”. Di solito i musulmani parlano dell’adorazione di Dio, di riconoscere l’unicità di Dio; ma il tema dell’amore di Dio è tutto un altro discorso, che non è escluso dall’islam, ma si trova abbondantemente nel mondo dei sufi.
Ad ogni modo, in questa lettera, parlare di “amore di Dio” rappresenta una novità. Forse è anche un modo abile di riferirsi alla prima enciclica del papa Benedetto, “Dio è amore” (Deus caritas est). In ogni caso, c’è il desiderio di avvicinarsi al vocabolario cristiano, anche se nello stesso tempo c’è il rischio di voler intendere cose diverse con una stessa parola.
Altre questioni di vocabolario
In questo contesto, la versione araba della lettera usa una terminologia diversa rispetto quella francese o italiana o inglese. Abbiamo già notato il fatto che, laddove l’arabo parla del Vangelo, le lingue occidentale parlano della Bibbia. Do altri esempi.
Ad esempio: parlando di Cristo, nelle versioni occidentali si cita sempre “Gesù Cristo”. Nella versione araba si dice “Issa al-Massih”. Tale espressione non è coranica, ma è l’unità fra il modo in cui i musulmani chiamano Gesù (Issa) – i cristiani arabi lo chiamano “Jasua” – e la definizione cristiana di “al-Massih”, Cristo, che si trova nel Corano. L’espressione coranica è “Al-Massih Issa Ibn Mariam” (Il Messiah Issa figlio di Maria), mentre l’espressione cristiana abituale è “Jasu’ al-Massih” (Gesù Cristo). Il testo della lettera intreccia espressioni coraniche con espressioni cristiane.
Quando essi citano Corano e Bibbia, usano due metri diversi. Citando il Corano essi dicono “ha detto Dio”, come ogni buon musulmano. Quando citano versetti della Bibbia, essi dicono solo “come si trova nel Nuovo Testamento”, “come si legge nel Vangelo”, ecc… Il che vuol dire che essi usano, per la Bibbia, un discorso da studioso, più scientifico, mentre per il Corano essi usano una terminologia non scientifica, ma da credente islamico.
La struttura ultimamente è molto bella: d’ora in poi potremo dire che cristianesimo, ebraismo e islam hanno come cuore della fede l’amore di Dio e del prossimo. Questa è una vera novità, mai detta prima nel mondo islamico.
Uso della Bibbia
Nelle citazioni dell’Antico e del Nuovo Testamento, essi danno per assodato che quella della Bibbia è parola di Dio. Anche questa è una novità relativa. Nel Corano questa idea è affermata teoricamente, ma essa è rigettata nella pratica. Molto spesso i musulmani considerano la Bibbia come un prodotto manipolato (muharrafah o mubaddalah) attraverso aggiunte posteriori a un nucleo originario.
Addirittura, i 138 (alla nota 4) citano in modo esplicito san Paolo a proposito della nozione di “cuore”. In una usanza molto diffusa fra i musulmani, san Paolo viene rigettato, anzi viene considerato il traditore del messaggio di Gesù Cristo, che secondo loro avrebbe dato “un messaggio islamico”. Spesso i musulmani dicono che il messaggio di Cristo era come quello del Corano, ma che Paolo ha introdotto la Trinità, la Redenzione per la Croce e il rigetto della Legge mosaica. Un famoso libro anti-cristiano, pubblicato nel 2000 e vietato in Libano, s’intitola “Togliete il velo da Paolo”!
Tutti questi piccoli segni mostrano un sincero sforzo di dialogo a livello del linguaggio e delle testimonianze bibliche. Vi sono anche piccole allusioni all’ebraismo, per integrarlo in questa visione. Usando per esempio il termine “la gente della Scrittura”, è chiaro che si vuole parlare anche degli ebrei, anche se il discorso è ufficialmente indirizzato ai cristiani.
III. Apprezzamento positivo e lettura critica
Cerchiamo di vedere ora altri aspetti positivi di questo documento, segnalando anche le lacune e gli elementi che necessitano una riflessione più approfondita. Insomma, vorrei fare una lettura un po’ critica della Lettera.
Ricerca di un fondamento comune … ma non universale
Venendo al contenuto, l’impressione mia è che, rimanendo a questo livello, è facile mettersi d’accordo. Il metodo usato è di scegliere brani dei testi sacri che possano essere messi in parallelo. Nel Corano vi sono testi in contraddizione con il cristianesimo, ma loro hanno fatto la scelta di privilegiare quelli più simili e vicini. È un passo importante, ma se rimaniamo solo a questo livello, improntiamo un dialogo basato sull’ambiguità. In ogni modo, come primo passo, è utile mettere in rilievo un fondamento comune.
Anche nella tradizione cristiana c’è la ricerca di un fondamento comune con le altre religioni, anzi con tutte le culture. Tale fondamento, dal punto di vista cristiano, non si basa sul Corano e sulla Bibbia, perché questo escluderebbe i non credenti. Il fondamento comune è la legge naturale, il Decalogo visto come legge naturale, un’etica comune accettata anche dagli atei.
In un discorso del 5 ottobre scorso, rivolto alla Commissione Teologica internazionale, il papa ha parlato della legge morale naturale, per “giustificare e illustrare i fondamenti di un’etica universale appartenente al grande patrimonio della sapienza umana, che in qualche modo costituisce una partecipazione della creatura razionale alla legge eterna di Dio”. Benedetto XVI continua poi riferendosi al Catechismo della Chiesa cattolica (n. 1955): La vita morale “ha come perno l'aspirazione e la sottomissione a Dio, fonte e giudice di ogni bene, e altresì il senso dell'altro come uguale a se stesso”. Il Decalogo è “legge naturale” e non rivelata in senso stretto.
Il pontefice continua dicendo che partendo dalla legge naturale, “di per sé accessibile ad ogni creatura razionale, si pone con essa la base per entrare in dialogo con tutti gli uomini di buon volontà e più in generale con la società civile e secolare”.
Come i firmatari della Lettera, il papa sta cercando in tutti i modi di trovare un fondamento comune al dialogo, al dialogo con tutti; questo fondamento non può essere la Scrittura, ma è l’etica universale fondata sul diritto naturale.
La lettera inviata dagli esperti musulmani ai cristiani, si ferma a ciò che è comune nella Bibbia e nel Corano. Io penso che il passo seguente dovrebbe essere quello di trovare fra cristiani e musulmani un fondamento più universale. Questo includerebbe alcuni elementi delle Scritture religiose, purché accettabili da tutti; ma dovrebbe andare oltre, trovando i fondamenti di un dialogo universale.
Questa è una lacuna della lettera, che tenta solo di riannodare i rapporti fra cristiani e musulmani. Lo si dice con chiarezza nell’introduzione, ricordando che “insieme noi rappresentiamo il 55% della popolazione mondiale”. Dunque mettendoci d’accordo potremo quasi imporre la pace al mondo. E’ un approccio tattico, politico. Bisogna andare verso fondamenti razionali della pace, nella verità.
Per questo, come ha detto il card. Tauran, il testo è interessante, apre alcune strade nuove nel metodo e nel contenuto, ma ha bisogno di essere approfondito per renderlo più oggettivo e non selettivo, per renderlo più universale, e meno politico.
Distinguere tra politiche e persone
Da questo punto di vista, bisogna aggiungere un’ulteriore piccola critica. La lettera ad un certo punto chiede ai cristiani di “considerare i musulmani non contro di loro, ma con loro, a condizione che i cristiani non dichiarino la guerra”. Qui essi alludono forse ai problemi della Palestina, dell’Iraq, dell’Afghanistan… Ma lì non sono i cristiani come tali che sono impegnati nella guerra.
Gli americani in Iraq (se a questo si riferisce la lettera) non sono in Iraq come cristiani che opprimono i musulmani: non c’entra né l’elemento cristiano, né quello musulmano. Si tratta di una questione politica fra gli Stati Uniti e i Paesi del Medio Oriente. E anche se sappiamo che il presidente degli Stati Uniti è cristiano e che la sua fede lo guida, non si puo’ assolutamente affermare che è una guerra dei cristiani contro i musulmani.
Questo punto è importante perché i musulmani tendono a vedere nell’Occidente una potenza cristiana, senza rendersi conto fino a che punto l’Occidente è secolarizzato e lontano dall’etica cristiana. Questo modo di pensare rinforza la teoria dello scontro di culture (o di religioni), proprio al momento che si cerca di combattere tale teoria!
Una bella conclusione: convivenza nella diversità
Un ultimo punto. Nella lettera si cita il versetto coranico sulla tolleranza: “Se Dio l’avesse voluto, avrebbe fatto di voi una sola comunità. Ma ha voluto provarvi con l’uso che farete di quello che vi ha dato. Gareggiate dunque nelle opere buone; voi tutti ritornerete a Dio ed Egli vi informerà a proposito delle cose su cui siete discordi” (Sura della tavola imbandita, n. 5:48).
Questa sura è la penultima in ordine cronologico del Corano. Ciò significa che questa sura non può essere stata cancellata o superata da un’altra, secondo la teoria islamica dell’interpretazione coranica, detta dell’abrogante e dell’abrogato (nâsikh wa-l-mansûkh). Questo versetto è fondamentale perché dice che le nostre diversità religiose sono volute da Dio. La conseguenza è: “gareggiate nelle opere buone” come modo di dialogare. Questa è davvero una bella scelta da parte loro per concludere la loro Lettera, perché significa che possiamo convivere malgrado le nostre diversità, anzi che Dio ha voluto questa diversità!
Verso il futuro
Questa Lettera è un primo passo nel dialogo tra cristiano e musulmano. Spesso i cristiani hanno preso delle iniziative di dialogo; stavolta, per la prima volta, mi sembra, sono i musulmani a prendere l’iniziativa, e l’hanno fatto bene. È importante che questi primi passi continuino nella direzione di una maggiore chiarezza, anche mostrando differenze e necessità di correzioni. Siccome la Lettera è indirizzata a varie responsabili del mondo cristiano, si puo’ sperare che ci sarà una risposta a questa lettera, che è costata un immenso sforzo da parte musulmana.
Ma questa Lettera è certamente indirizzata anche ai musulmani, anche se non è detto esplicitamente. Che peso avrà nel mondo islamico, mentre continuano le notizie di rapimenti di sacerdoti, persecuzione di apostati, oppressione dei cristiani? Finora non vi è stato alcun commento da parte islamica. Ma penso che col tempo questo documento potrà creare un allargamento e una convergenza maggiore.
Soprattutto, c’è da sperare che il prossimo passo si affronteranno le questioni più sensibili della libertà religiosa, del valore assoluto dei diritti umani, del rapporto tra religione e società, dell’uso della violenza, ecc., insomma delle questioni attuale che preoccupano tanto il mondo musulmano (e direi in primo luogo i musulmani) quanto il mondo occidentale.
[1] Per il testo completo della Lettera v. http://www.acommonword.com/index.php?lang=en&page=downloads
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