20 ottobre 2007

Le chiacchiere stanno a zero...


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Se i valori non negoziabili della Chiesa collidono coi principi della Costituzione

Di questo passo il testamento biologico farà la fine dei Dico

DI ORLANDO FRANCESCHELLI

I diritti dei cittadini. La Cassazione che li tutela appellandosi al «pluralismo dei valori» garantito dalla Costituzione. La gerarchia cattolica che bolla prontamente il tutto come inaccettabile relativismo. È lo scenario dinanzi a cui la sofferta vicenda di Eluana Englaro ha messo la nostra coscienza di uomini e di cittadini. Uno scenario che rievoca la vicenda di Piergiorgio Welby. Ma è segnato ormai da una sentenza che riconsegna a ogni malato la libertà di decidere sulle cure a cui vuole sottoporsi: sulla propria vita e sulla propria morte. Una svolta. Salutata come «un sussulto di umanità e di libertà» dal padre di Eluana. E che finalmente fa emergere con drammatica evidenza come un certo protagonismo politico della chiesa non esiti a entrare in rotta di collisione neppure con la Costituzione. Un lusso che solo il più convinto integralismo può permettersi.
Eluana, come i medici hanno diagnosticato in base a convenzioni internazionali, si trova dal 1992 in coma vegetativo permanente. E prima aveva manifestato il suo desiderio di non voler essere tenuta in vita artificialmente. Come ai magistrati hanno testimoniato suo padre e altri conoscenti. Ebbene, ha stabilito la Corte, una volta che simili «elementi chiari, univoci e concordanti» siano stati individuati, il giudice può autorizzare la disattivazione dell'idratazione e dell'alimentazione artificiali cui Eluana è sottoposta ormai da quindici anni.
Non vi è dubbio infatti che questi «costituiscono un trattamento sanitario». E visto che - come recita l'articolo 32 della Costituzione - «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario», la conclusione da trarre è, da un lato, che «la salute dell'individuo non può essere oggetto di imposizione autoritativo-coattiva». E dall'altro che questo «diritto all'autodeterminazione del paziente» non può essere limitato neppure quando viene sacrificato «il bene della vita». Perciò la stessa volontà del medico deve essere sempre subordinata a quella del paziente. Del resto: non ci si è regolati così anche nella gestione delle ultime fasi della malattia di Giovanni Paolo II? Chi può dire quanto a lungo papa Wojtyla avrebbe potuto essere tenuto in vita se fosse stato sottoposto a trattamenti artificiali dai medici?
Il punto dirimente di tutta la questione è dunque questo: il diritto di scegliere che «la malattia segua il suo corso naturale», e di rifiutare le terapie anche quando un simile rifiuto conduce alla morte. È il diritto rivendicato anche da Welby e di cui certo non è obbligato ad avvalersi chi sente come propri i valori religiosi e «non negoziabili» cui la gerarchia vincola i fedeli. Ma è anche - hanno ricordato a tutti i magistrati - un diritto già scritto nella libertà e nel pluralismo garantiti dalla Carta. Contro cui però, a quanto pare, la curia romana non esita a esigere che alle persone venga comunque negata la «potestà indeterminata sulla propria esistenza». Una contrapposizione ideologica - come altro chiamarla? - e mai così aperta agli stessi principi costituzionali su cui si fonda la nostra convivenza civile.
Una simile escalation lascia presagire anche per il testamento biologico la stessa sorte toccata ai Dico. Ostacolando di nuovo anche l'impegno dei cattolici attivi nella società e nel parlamento. Deriva inevitabile quando si è convinti di essere gli unici portatori di valori. E che gli altri coltivano soltanto «voglie» relativistiche e antiumane. Tanto che, senza rifarsi a una fede religiosa, sarebbe impossibile «immettere nella società quei valori etici che soli possono garantire una convivenza degna dell'uomo» (Benedetto XVI).
L'opposto appunto del pluralismo garantito dalla Carta. L'opposto della laicità feconda che questa gerarchia sembra come ostinarsi a smarrire. Ma la cui ricchezza umana e insostituibile funzione civile ci vengono ricordate anche dai diritti costituzionali di Eluana. Onorati da cittadini, magistrati - e credenti - non dimentichi che le rigidità neointegraliste sono ciò di cui le nostre società hanno meno bisogno. E che i «sussulti di umanità e di libertà» sono la risorsa più preziosa su cui tutti dovremmo saper costruire.

© Copyright Il Riformista, 20 ottobre 2007


Le chiacchiere non stanno a zero ma a meno 50! Siamo sempre al solito punto, ripetiamo sempre le stesse cose...che noia!
Prima di tutto: la sentenza della Corte di Cassazione non e' legge! Sara' la Corte di Appello di Milano a decidere che cosa fare sulla base di un nuovo processo. Per i laicisti: non cantate vittoria. La Corte ha stabilito due criteri strettissimi per consentire la sospensione dei trattamenti sanitari: l'accertamento di stato vegetativo permanente ed irreversibile (concetto astruso, impossibile, allo stato, da definire) e prova inconfutabile del fatto che, se la persona fosse cosciente, non continuerebbe le cure (nel caso di Eluana penso che tale volonta' non si possa evincere con certezza...).
E basta accusare il Cattolicesimo di integralismo solo perche', gne' gne', non si puo' fare come si vorrebbe! Vedo piu' integralismo in certi laicisti, in tutta onesta'...
Signori cari, il Parlamento e' votato dagli Italiani. Se essi scelgono politici cattolici (non sedicenti tali, ma veramente illuminati dal Magistero) occorre prendere atto che non si hanno maggioranze per fare certe leggi. Questa e' democrazia, non integralismo
.
Raffaella

1 commento:

Anonimo ha detto...

Come è stato giustamente fatto notare, il concetto di coma irreversibile è di difficile (impossibile) definizione. I casi di stati comatosi definiti dai medici "non più recuperabili", ma che poi si sono conclusi con il risveglio del paziente non sono certo pochi. Ne conosco uno anch'io. Un ragazzo della mia zona ebbe, diversi anni fa, un incidente e finì in coma. I medici chiesero alla madre il permesso di staccare la spina e donare gli oragani, ma ella non volle e con fermezza respinse le loro richieste, con la convinzione che il figlio si sarebbe ripreso. Così è stato. Lui, l'interessato, ripete da anni che se sua madre avesse dato retta a quei medici, lui ora non sarebbe più su questa terra...
Per quanto riguarda il secondo punto, la situazione mi sembra ancora più difficoltose e per almeno due buoni motivi. In primo luogo, come si fa a ritenere un pensiero detto anni prima vincolante? Voglio dire, come si fa a sospendere un trattamento vitale perché il diretto interessato ne aveva parlato anni prima (in questo caso particolare, almeno 15 anni prima!)? Come si fa a sapere se l'interessato è ancora di questa opinione? Chi può affermare con assoluta certezza che la ragazza non abbia la minima coscienza, caso in cui potrebbe aver cambiato idea?
E in secondo luogo: quando l'opinione era stata espressa, era essa frutto di una riflessione reale? Pensiamo a quante cose, anche di una certa importanza, vengono "buttate là", senza tanto pensarci, in certe conversazioni... e in base ad un pensiero di un momento, si potrebbe lasciar morire una persona?