19 ottobre 2007
Lettera dei 138 leader islamici al Papa: i commenti di Giuliano Ferrara e Carlo Panella
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La fatwa della riconciliazione
Né irenica né isterica, la lettera dei 138 è il gesto tanto atteso dopo Ratisbona
di Giuliano Ferrara
La lettera dei 138 saggi dell’islam lancia una parola di umiltà e di riconciliazione all’interno della sollevazione fondamentalista che investe il mondo islamico. Ci piace quest’idea pragmatica secondo cui musulmani e cristiani formano oltre metà della popolazione mondiale e la “sopravvivenza” dipende da un accordo tra di loro. Non è la solita stanca profferta di dialogo. Non c’è solo l’apertura del cardinale Jean-Louis Tauran. Anche il Daily Telegraph, che non fa sconti all’islam radicale che insanguina Londra e benedice l’esecuzione dei suoi Kenneth Bigley, accoglie positivamente la lettera: “Nell’era in cui l’estremismo islamico, con la sua chiamata alla rivoluzione letale, sembra dettare le regole, è incoraggiante sentire di un grande gruppo di leader musulmani che sostengono la pacifica coesistenza con i cristiani”. Non mancano le riserve: la fatwa come strumento di egemonia, la definizione del jihad, la relazione con il giudaismo, lo status delle minoranze religiose e il martirologio che ha offerto il sangue degli innocenti in olocausto al nostro tempo. Manca una lettura ermeneutica del Corano. Perchè abbia inizio un dialogo vero non bastano il dotto letteralismo e l’estrapolazione di versetti che invitano alla tolleranza. La reggenza teologica dell’islam deve farsi carico di trent’anni di stragismo e di negazionismo su cui grava la morte di 100 mila musulmani per mano di altri musulmani. Anche il Times ne ha parlato bene, nonostante lo scetticismo di dignitari anglicani come l’ex musulmano oggi vescovo di Rochester, Michael Nazir-Ali. Di fronte alla cupola pakistana che conferisce a Osama bin Laden l’onorificenza di “spada dell’islam”, alla retorica ghettizzante del qariota Yusuf al Qaradawi, all’eulogia maomettana di Tariq Ramadan, ben vengano gesti né irenici né isterici come questi. I 138 riaprono la strada al razionalismo arabo dei Mutaziliti che produsse Farabi, Avicenna e Averroè. La soluzione allo scisma islamico, di cui subiamo le conseguenze, passa dalla riscoperta della ragione nemica del gorgo nichilistico che ha mosso guerra all’apostata, al deviante e all’infedele. Travolgendo i civili israeliani nelle feste di matrimonio, i villaggi yazidi, gli stampatori di Bibbie incaprettati sul Bosforo e le masse sciite che comprano frutta a Baghdad. Dopo Ratisbona c’era bisogno di una mano islamica tesa verso la nostra umma. Questo è un buon inizio.
© Copyright Il Foglio, 16 ottobre 2007
E’ un falso ideologico, il dialogo passa dall’abrogazione dei versetti contro ebrei e cristiani
di Carlo Panella
L’appello dei 138 musulmani ai cristiani non può non imbarazzare chi lo riceve. Al di là delle evidenti buone intenzioni, costituisce infatti un esempio scoraggiante di falso ideologico (per non usare un termine offensivo). Innanzitutto, si apre con una inammissibile, discriminatoria esclusione degli ebrei quali destinatari dell’appello. Un vulnus clamoroso, evidente, irritante. Nella tradizione coranica i “popoli del Libro” o “popoli della scrittura” sono tre: prima gli ebrei, poi i cristiani, infine i musulmani. E’ un unicum inscindibile nello schema coranico, come è inscindibile lo schema della Rivelazione, che considera appunto il profeta Maometto il sigillo dei profeti dell’ebraismo e del cristianesimo. Ma c’è una ragione, irriferibile, poco degna, molto opportunistica, per cui l’appello non si rivolge anche agli ebrei, come avrebbe dovuto: l’antigiudaismo che sfocia nell’antisemitismo che caratterizza tutto l’islam contemporaneo e che è anche all’origine del rifiuto araboislamico di Israele (e non viceversa). Pure, in tutto il lungo documento, molteplici sono i riferimenti e le citazioni della Bibbia, a riprova, secondo gli estensori, dell’unicità di due momenti centrali: adorazione del Dio unico e amore per il prossimo. Ma questi dotti musulmani non si appellano con parole di pace agli ebrei, non intendono rivolgere neanche la parola, oggi, agli ebrei, pretendono – e questa affermazione ha dello sbalorditivo, tanto è intrisa di egemonismo – che “il futuro del mondo dipenda dalla pace tra cristiani e musulmani”. Una pace che non spiegano da chi sia infranta, da cui escludono la pace teologica e quindi storica tra musulmani e ebrei. Si rivolgono dunque solo ai cristiani e lo fanno, peraltro, con una manipolazione sfrontata del testo coranico. Si rimane attoniti, se solo si sia letto il Corano, dalla disinvoltura con cui gli estensori estrapolano versetti, omettendo di citare i precedenti e i successivi. Un vizio questo tipico della cultura islamica contemporanea, tanto avulsa dal dibattito teologico, dall’esegesi dei testi, quanto prigioniera di un universo citazionistico sterile, per di più ampiamente manipolato, oltre i limiti del rispetto dell’intelligenza dell’interlocutore (Tariq Ramadan non è il solo maestro della dissimulazione più sfrontata). Valga per tutti l’esempio clamoroso di manipolazione del testo operato con la citazione dei soli versetti 113, 114 e 115, della terza sura, a riprova della affermazione centrale di questo documento, riportata con rilievo da tutti i media in questi giorni: “Come musulmani noi diciamo ai Cristiani che non siamo contro di loro e che l’islam non è contro di loro, a meno che non intraprendano la guerra contro i musulmani a causa della loro religione, li opprimano e li privino delle loro case”. I tre versetti citati lasciano intendere effettivamente una rivelazione coranica impregnata di ecumenismo: “Non sono tutti uguali. Tra la gente della Scrittura c’è una comunità che recita i segni di Allah durante la notte e si prosterna (...) Credono in Allah e nell’Ultimo Giorno, raccomandano le buone consuetudini e proibiscono ciò che è riprovevole e gareggiano in opere di bene. Questi sono i devoti (...) Tutto il bene che fanno non sarà loro disconosciuto, poiché Allah riconosce perfettamente i devoti”. Ma il punto è che essi sono preceduti da tre versetti e seguiti da altri tre, in un tutto unico e inscindibile, che incitano all’avvilimento della gente della Scrittura “grazie a una corda d’Allah o a una corda d’uomo”, a prescindere assolutamente dal fatto che cristiani ed ebrei portino o meno guerra ai musulmani. Versetti chiarissimi: “Voi siete la migliore comunità che sia stata suscitata tra gli uomini, raccomandate le buone consuetudini e proibite ciò che è riprovevole e credete in Allah. Se la gente della Scrittura credesse, sarebbe meglio per loro; ce n’è qualcuno che è credente, ma la maggior parte di loro sono empi. Non potranno arrecarvi male, se non debolmente; e se vi combatteranno, volteranno ben presto le spalle e non saranno soccorsi. Saranno avviliti ovunque si trovino, grazie ad una corda di Allah o ad una corda d’uomini. Hanno meritato la collera di Allah, ed eccoli colpiti dalla povertà, per aver smentito i segni di Allah, per aver ucciso ingiustamente i Profeti, per aver disobbedito e trasgredito. (sura, III, 110-112). E quelli che sono miscredenti, i loro beni e i loro figli non li metteranno affatto al riparo da Allah: sono i compagni del Fuoco e vi rimarranno in perpetuo (...) E ciò che spendono in questa vita sarà come un vento glaciale che impazza sul campo di quelli che sono stati ingiusti con loro stessi e lo devasta. Non è Allah ad essere ingiusto con loro, ma sono essi ad esserlo con loro stessi (...) O voi che credete, non sceglietevi confidenti al di fuori dei vostri, farebbero di tutto per farvi perdere. Desidererebbero la vostra rovina; l’odio esce dalle loro bocche, ma quel che i loro petti celano è ancora peggio. Ecco che vi manifestiamo i segni, se potete comprenderli (sura III, 116-118)”. Il significato profondamente settario del messaggio non è equivocabile tanto che viene compendiato da Maometto, nel versetto 29 della nona sura: “Combattete coloro che non credono in Allah e nell’Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati”. Questo versetto è storicamente fondamentale, come sa chiunque abbia un minimo di conoscenza dell’islam. E’ infatti alla base del jihad (il “piccolo jihad” naturalmente) che storicamente i musulmani hanno sempre condotto, assieme al Profeta e poi per secoli dopo la sua morte, contro ebrei e cristiani. Si potrebbe continuare a lungo nel rilevare le intollerabili omissioni che gli estensori dell’appello hanno operato nel loro testo. La manipolazione è semplice, quanto evidente: si sottolineano i punti teologici di unitarietà, la comune ascendenza abramitica (inesistente, perché il Corano nega espressamente che egli fosse “ ebreo o cristiano”), per non affrontare, per non mettere in discussione i dogmi islamici che rendono impossibile nei fatti il dialogo perché nelle società musulmane buona parte degli stessi firmatari conculca la libertà religiosa delle altre fedi. Come è possibile scrivere un appello del genere senza minimamente prendere posizione sulla libertà di pensiero e di religione nell’islam, oggi? Come è possibile che questo appello sia firmato da teologi di università saudite che impediscono con la violenza non solo di fondare chiese, ma che addirittura incarcerano i cristiani che esercitano la loro fede nel regno, o da ayatollah iraniani che non si sono mai espressi contro la persecuzione sanguinaria a cui sono sottoposti i Bahi nel loro paese? Come è possibile che un documento come questo non prenda atto delle ribadite fatwe di tutti i più eminenti ulema dell’autorevolissima (e “moderata”) università coranica di al Azhar?Lì è stabilito che il musulmano il quale “dia pubblico scandalo” della sua conversione al cristianesimo deve essere condannato a morte dalla giustizia secolare. E infine, sul piano teologico, come è possibile che gli estensori giochino con le parole e fingano che vi sia condivisione cristiana della definizione islamica di Dio “che non ha associati”? Al di là della complessa definizione della Trinità, che può non essere contraria a questa definizione, tutti sanno che il culto dei Santi e della stessa Maria, nel cristianesimo vìola appieno questa rigida disposizione islamica. Nel cristianesimo Dio, Allah, ha appunto degli “associati”, degni di devozione e di culto e questo definisce appunto il shirk, il più grave e intollerabile peccato per l’islam. Proprio questa “associazione” è stata la base della ripulsa del cristianesimo come idolatra da parte di Ibn Taymiya, ed è la ragione della virulenza anticristiana di cui è intriso il wahabismo-salafismo non solo di al Qaida, ma anche dell’intollerante regno saudita. Se gli estensori di questo appello hanno estrapolato solo le citazioni ecumeniche del Corano e hanno volutamente tralasciato quelle palesemente e incontestabilmente settarie, perché ritengono queste inefficaci, avrebbero una strada e una strada sola da percorrere dentro il mondo musulmano. E non è quella percorsa in questo documento in cui fanno finta che quelle affermazioni settarie e incitanti alla guerra santa non siano contenute nel Corano. Se sono convinti della profonda essenza ecumenica, su un piede di piena e totale parità con le altre fedi, del Corano, devono dichiarare che i versetti settari sono abrogati e quelli ecumenici sono abroganti. Considerare abroganti i versetti citati in questo documento, però, è impegno serio, grave, che deve essere preso a testa alta. E’ questa la strada che intendono percorrere? Non ve ne è la minima traccia. Questo fece invece uno straordinario teologo musulmano, che rispose con entusiasmo al dialogo interreligioso proposto dal Concilio Vaticano II, e che propose di esaltare il messaggio islamico delle sure “meccane”, le prime, quelle impregnate con evidenza dalla Rivelazione. Di conseguenza, le sure medinensi (quasi tutte quelle settarie da noi qui citate sono medinensi), così evidentemente influenzate dall’esperienza storica e politica del Profeta, così ispirate dalle logiche della guerra e della spada, così umane (incluso lo sgozzamento dei 650 ebrei Banu Quraizah, inclusa la punizione degli ebrei trasformati in “porci e scimmie” da Allah), dovevano essere considerate per quel che erano e non veicolo di Rivelazione. Uno schema teologico eccellente, l’unico che apre ad una possibilità di dialogo interreligioso e che permette all’islam di percorrere quella strada dell’interpretazione e dell’esegesi che ha permesso all’ebraismo di superare le dure e oggi intollerabili prescrizioni del Levitico. Un veicolo di effettiva pacificazione tra le fedi, tanto che quel teologo nel 1983 si è levato con veemenza contro la decisione del governo sudanese di imporre il rispetto della sharia anche ai cristiani ed animisti del sud del paese, con conseguente loro ribellione e guerra civile con 500.000 vittime. Quel teologo, Muhammed Taha, che molti considerano un vero e proprio Martin Lutero dell’islam contemporaneo, è stato impiccato a Khartum il 19 gennaio del 1985, quale apostata. Sarebbe interessante sottoporre ai firmatari di quest’appello il quesito sulla correttezza o meno di quella condanna a morte.
© Copyright Il Foglio, 16 ottobre 2007
Dopo il popolo del sabato, quello della domenica. Le sure della discordia
Combattete coloro che non credono in Allah e nell'Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati. Dicono i giudei: “Esdra è figlio di Allah”; e i nazareni dicono: “Il Messia è figlio di Allah”.
Questo è ciò che esce dalle loro bocche. Ripetono le parole di quanti già prima di loro furono miscredenti. Li annienti Allah. Quanto sono fuorviati! Hanno preso i loro rabbini, i loro monaci e il Messia figlio di Maria, come signori all'infuori di Allah, quando non era stato loro ordinato se non di adorare un Dio unico.
Non vi è dio all'infuori di Lui! Gloria a Lui ben oltre ciò che Gli associano! (sura IX, 29,31) Né i giudei né i nazareni saranno mai soddisfatti di te, finché non seguirai la loro religione. Dì: “E’ la guida di Allah la vera guida”. E se acconsentirai ai loro desideri dopo che hai avuto conoscenza, non troverai né patrono né soccorritore contro Allah. (sura II, versetto 120)
Una parte della gente della scrittura dice così: “All’inizio del giorno credete in quello che è stato fatto scendere su coloro che credono e alla fine del giorno rinnegatelo. Forse si ricrederanno. (sura III, v.72)
Tra le genti della Scrittura ci sono alcuni che, se affidi loro un qintar, te lo rendono, altri che se affidi loro un denaro, non te lo rendono finché tu non stia loro addosso per riaverlo. E ciò perché dicono: “non abbiamo obblighi verso i gentili”. E consapevolmente dicono menzogne contro Allah”. (sura III, v.75)
O gente della Scrittura, perché spingete coloro che hanno creduto lontano dal sentiero di Allah e volete renderlo difficoltoso mentre ne siete testimoni?” Allah non è incurante di quello che fate. (sura III, v. 99)
I giudei dicono: “La mano di Allah si è incatenata!”
Siano incatenate le mani loro e siano maledetti per quello che hanno detto. Le Sue mani sono invece ben aperte: Egli dà a chi vuole.
Quello che è stato fatto scendere su di te da parte del tuo Signore, certamente accrescerà in molti la ribellione e la miscredenza. Abbiamo destato tra loro odio e inimicizia fino al giorno della Resurrezione, Ogni volta che accendono un fuoco di guerra Allah lo spegne. Gareggiano nel seminare disordine sulla terra, ma Allah non ama i corruttori. (sura V, v. 64)
Quelli che hanno ricevuto la Scrittura, riconoscono il Messaggero, come riconoscono i loro figli. Coloro che non credono preparano la
loro rovina”. (sura VI, v. 20)
Allah ha respinto nel loro astio i miscredenti, senza cha abbiano conseguito alcun bene, e ha risparmiato ai credenti la lotta.
Ha fatto uscire dalle loro fortezze coloro, fra le genti del Libro, che avevano spalleggiato i coalizzati ed ha messo il panico nei loro cuori. Ne uccideste una parte e l’altra la faceste prigioniera. (sura XXXIII, v. 25-26)
© Copyright Il Foglio, 16 ottobre 2007
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