29 aprile 2008

Il destino della bioetica nella nuova legislatura: Una stagione rilassata? No, piuttosto di ricomprensione (Scaraffia)


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IL DESTINO DELLA BIOETICA NELLA NUOVA LEGISLATURA

Una stagione rilassata?
No, piuttosto di ricomprensione


LUCETTA SCARAFFIA

Il risultato delle elezioni del Parlamento nazionale, con la vittoria così netta del centrodestra, dovrebbe aprire un periodo di pace sulle questioni bioetiche garantito, se non altro, dall’intenzione di non sollevare problemi laceranti.

Presumibilmente, non avremo più da parte del governo proposte di legge come quelle sui Dico o sul testamento biologico, che hanno costretto i cattolici a una risposta difensiva e a una contrapposizione netta. Possiamo quindi prevedere una nuova fase per il dibattito bioetico, meno concitata e quindi più costruttiva.

Soprattutto perché sarà finalmente possibile veder emergere il lato costruttivo e positivo della posizione cattolica, quello che di solito passa in secondo piano davanti alla necessità di intervenire per salvare il rispetto della dignità umana in situazioni specifiche che rischiano di cancellarla.

La posizione dei cattolici in bioetica non è infatti quella – quale invece molti vogliono far apparire – di arcigni custodi della tradizione, che si limitano a porre veti davanti alle novità, ma invece quella di chi sa fare uscire dalle ristrettezze ideologiche un dibattito che rimane ancorato alla risposta dei desideri individuali, con l’intento di portare ogni questione su un piano più largo, quello generale del bene comune. Prendiamo ad esempio il problema dell’eutanasia, che viene sempre proposto in riferimento a un caso pietoso, e inteso come unica risposta possibile a una grave sofferenza individuale: oltre che offrire altri rimedi alla sofferenza, e ricordare la sacralità della vita umana – come si è fatto in ogni occasione, a cominciare dal celebre caso Welby – i cattolici vanno oltre, perché in sostanza spostano il problema sul piano della società intera. Cosa succede a una società in cui l’eutanasia è legalizzata? Quali sono i pericoli, sia nella sfera dei comportamenti concreti sia in quella delle trasformazioni sociali e culturali, che ne derivano?

Lo stesso avviene per la selezione degli embrioni prima dell’impianto nell’utero: da problema individuale – la coppia che desidera un figlio sano – la questione viene spostata dal pensiero cattolico sul terreno socio­culturale che riguarda la società intera. Identificata con il suo vero nome, quello di eugenetica.

Naturalmente, per operare questo passaggio dalla dimensione del desiderio individuale all’effetto generale sulla società, è necessario avere un’idea di quale sia il bene per la società: bisogna cioè pensare che esista un 'bene comune' da individuare e da difendere. Ma proprio su questo vi è controversia, come di recente ha affermato il cardinale Camillo Ruini (in «Rieducarsi al cristianesimo») descrivendo la mentalità corrente: «Ogni determinazione di ciò che è bene non può che essere relativa al soggetto individuale e alla sua libertà e per conseguenza non può essere ammesso, almeno a livello pubblico, alcun riferimento a un bene oggettivo, a ciò che è bene o male in se stesso». Ma sappiamo che quando la scienza cammina più in fretta della comprensione etica, come avviene oggi, si diffonde nell’anima e nella testa degli esseri umani una profonda inquietudine, così profonda che non trova risposta nella sola libertà dei diritti individuali, ma richiede una rinnovata ricerca del modo giusto di porsi verso il mondo. Ed è su questo punto che oggi possiamo riaprire la discussione, e forse trovare un linguaggio comune per il confronto e la comprensione reciproca. Proprio su questo punto la cultura cattolica può svolgere un ruolo costruttivo di stimolo, superando la sua immagine che dall’esterno viene deformata in quella di una istituzione rigida e capace solo di veti. Quando invece non è così.

© Copyright Avvenire, 29 aprile 2008

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