14 aprile 2008

Il Papa alle Nazioni Unite: "Diritti umani, un appello di fede che va oltre la fede" (Casavola)


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Il Papa alle Nazioni Unite

DIRITTI UMANI, UN APPELLO DI FEDE CHE VA OLTRE LA FEDE

di FRANCESCO PAOLO CASAVOLA

A sessanta anni dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, Benedetto XVI va all’Onu. Avrà nella mente, e forse con la cadenza e la voce di Giovanni XXIII, le parole dell’enciclica Pacem in terris che evocano in quel documento «un passo importante nel cammino verso l’organizzazione giuridico-politica della comunità mondiale. In esso infatti viene riconosciuta, nella forma più solenne, la dignità di persona a tutti gli esseri umani». E quei singoli esseri umani «mentre partecipano sempre più attivamente alla vita pubblica delle proprie comunità politiche, mostrano un crescente interessamento alle vicende di tutti i popoli, e avvertono con maggiore consapevolezza di essere membra vive di una comunità mondiale».
E ricorderà anche del discorso di Paolo VI ai rappresentanti delle Nazioni Unite a New York l’invito «a far fraternizzare, non già alcuni popoli, ma tutti i popoli. Chi non vede la necessità di arrivare in tal modo progressivamente a instaurare una autorità mondiale in grado di agire afficacemente sul piano giuridico e politico?».

Benedetto XVI vive nel contesto attuale il bisogno più che mai acuto che ai tanti e crescenti mali del mondo, focolai di guerre, popoli in preda alla fame e alle malattie, attentati agli equilibri ecologici, diritti umani conculcati, l’unico rimedio realistico sta nel superare gli antagonismi di singoli Stati e nel valorizzare strutture internazionali e sovranazionali.

Ma la Chiesa non può esaurire la sua missione di pace e di promozione della condizione umana nell’auspicare la evoluzione politica del pianeta dalla comunità internazionale ad uno Stato mondiale.

La Chiesa dà voce agli uomini, cominciando dai più deboli tra essi. Non per caso l’insegnamento dell’immediato predecessore dell’attuale pontefice, Giovanni Paolo II, cominciò dai diritti degli uomini del lavoro, dai quali hanno origine e alimento tutti gli altri diritti umani. Nella enciclica Laborem exerces è scritto che l’uomo lavora per la propria famiglia, per la società cui appartiene, per la nazione della quale è figlio o figlia, per l’intera famiglia umana di cui è membro «essendo erede del lavoro di generazioni e insieme coartefice del futuro di coloro che verranno dopo di lui nel succedersi della storia». Il punto d’approdo della civiltà contemporanea nel lungo cammino del riconoscimento e della promozione dei diritti umani sta nel trovare il fondamento naturale e razionale nel valore e nella inviolabilità della vita umana.
A questo tema dedicò la Evangelium vitae Giovanni Paolo II stabilendo a guida dell’azione degli uomini il primato dell’essere sull’avere, della persona sulle cose. I diritti umani non vanno rivendicati soltanto contro quei poteri pubblici e privati, politici ed economici che ne impediscono la realizzazione, ma anche contro culture e religioni e filosofie e ideologie delle tecnoscienze che tendono a comprimere o ad alterare le profonde vocazioni della natura umana. La Chiesa parla anche a sè stessa, richiamando, con Giovanni Paolo II nella Veritatis splendor, come contenuto della evangelizzazione oltre l’annuncio la proposta morale.
E nella proposta morale non potrà mancare l’appello a quanti anche fuori della fede cristiana intendono essere solidali nel difendere valori morali comuni per la salvezza dell’umanità.

© Copyright Il Messaggero, 14 aprile 2008 consultabile online anche qui.

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