7 maggio 2008

Intervista al cardinale di Hong Kong, Zen: "Le riforme di Pechino. La visita del Papa? La situazione è ancora molto confusa" (Famiglia Cristiana)


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CINA

IL CARDINALE ZEN IN UN LIBRO-INTERVISTA DELLA SAN PAOLO

LE RIFORME DI PECHINO

«Penso che le autorità cinesi dovranno arrivare alla democrazia, magari partendo dal Partito comunista. La visita del Papa? La situazione è ancora molto confusa».

a cura di Alberto Chiara e Maurizio De Paoli

È un personaggio atipico. Non nasconde amarezza e preoccupazioni con le sfumature proprie del linguaggio diplomatico. Ama, invece, parlar chiaro. Di sicuro, conosce in profondità la situazione interna della Cina. Perché è lui stesso un cinese, per quanto trasferitosi presto a Hong Kong, e perché anni di incontri sul campo gli danno tutto il diritto di mostrarsi vigile, se non addirittura preoccupato, circa il futuro della Chiesa in Cina, sebbene nel suo intimo resti fiducioso, in quanto uomo di autentica fede.
Joseph Zen Ze-kiun è un sacerdote salesiano (ordinato a Torino nel febbraio 1961) diventato vescovo di Hong Kong (coadiutore dal 1996, titolare dal 2002) e cardinale (dal 2006). Quest’anno, il Papa gli ha affidato il compito di preparare le meditazioni per la Via Crucis del Venerdì santo.

E a lui è interamente dedicato il librointervista Senza diplomazia - Il cardinale Zen, vescovo di Hong Kong, e la Cina comunista (San Paolo, 156 pagine, 13 euro), scritto dal giornalista francese Dorian Malovic e arricchito dal giornalista italiano Gerolamo Fazzini. «Sono nato nel 1932 nella grande metropoli della Cina orientale, Shanghai», afferma il cardinale Zen. «Mio padre frequentò il liceo in una scuola retta da sacerdoti; mia madre in un istituto di suore. Così sono stati battezzati, si sono conosciuti e quindi sposati. La mia famiglia apparteneva alla buona borghesia di Shanghai». L’occupazione giapponese, con i bombardamenti che distruggono la grande casa, e una grave malattia che colpisce il papà, paralizzandolo, trascinano la famiglia di Joseph Zen nell’indigenza totale. Poi, l’incontro con i Salesiani, la vocazione, il noviziato a Hong Kong, gli studi a Torino e a Roma.

Nel libro-intervista uno spazio rilevante è ovviamente dato all’attualità.

In rapporto al sistema politico cinese, dove il pragmatismo domina l’ideologia, lei vede un’evoluzione democratica per la Cina?

«Penso che dovranno arrivare a una situazione di democrazia. Mantengo la speranza di vedere questo percorso di democratizzazione iniziare dall’interno del Partito comunista. Il leader comunista all’origine delle riforme economiche e dell’apertura della Cina al mondo, Deng Xiaoping, ha potuto scegliere il suo successore, Jiang Zemin, ma mi sembra che l’attuale presidente della Repubblica popolare cinese e segretario generale del Partito comunista, Hu Jintao, non potrà comportarsi allo stesso modo. Si percepisce che questo sistema di designazione dovrà evolversi con il prossimo leader».

Ci saranno dunque novità?

«Forse è ancora un po’ troppo presto, ma gli alti dignitari dovranno arrivare a organizzare elezioni all’interno del Partito comunista. Parlo di vere elezioni democratiche, non di un consenso a partire dal quale tutti votano per un solo uomo. Sono convinto che si stia rafforzando in tutta la società cinese una domanda, ancora silenziosa, per una riforma di questo genere».

È realistico pensare che la riforma parta dal Partito comunista?

«I quadri politici più giovani sperano di vivere in futuro un’atmosfera generale più democratica. Se riuscissero a instillare questo spirito nel Partito, si darebbe avvio al cambiamento. In una seconda fase potrebbe essere il popolo, a sua volta, a esprimersi (con il voto, ndr)».

Come vede una possibile visita del Papa in Cina?

«Non penso che una visita papale in Cina sia possibile prima che venga attuata una vera politica di libertà religiosa. Adesso la situazione è molto confusa e le ultime tre ordinazioni episcopali illecite del 2006 mostrano che tutto è manipolato dal Governo. È per questo motivo che, nelle circostanze attuali, consiglierei a tutti i cardinali desiderosi di recarsi in Cina di rinunciarvi. Gli inviti fatti dall’Associazione patriottica cercano solo di incrementare questa enorme manipolazione politica. Ma è necessario che tutti sappiano che questa associazione non ha che un solo e unico scopo: controllare la Chiesa in Cina».

Non vede dunque spiragli a breve...

«Comunque, non sono disperato, perché in Cina tutto è imprevedibile, ogni cosa può succedere, per il meglio come per il peggio, senza che ce lo si possa nemmeno aspettare. Le autorità possono prendere una decisione forte in senso positivo in qualsiasi frangente. Ma non si può mai andare in Cina per dialogare e arrivare direttamente a un compromesso. Il vicepresidente dell’Associazione patriottica, Liu Bainian, conduce i suoi interlocutori su terreni minati. Quest’uomo non agisce con la preoccupazione di fare del bene alla Chiesa in Cina».

È prevedibile un’evoluzione positiva del dialogo tra la Santa Sede e il Governo cinese?

«Il dossier della Chiesa cattolica e dei cristiani non si trova tra le preoccupazioni più pressanti del Governo cinese, che attualmente ha ben altre priorità. Oggi esiste una lotta di potere al vertice di Pechino, la corruzione ha intaccato tutta la società e le strutture dello Stato, mentre l’instabilità sociale inquieta le autorità. Ma nonostante tutte queste sfide, Pechino potrebbe davvero attuare una manovra intelligente, considerando molto seriamente il dossier dei cristiani e prendendo coscienza della sua grande importanza, che supera le frontiere del Paese. Bisognerà attendere che si affermi al più alto livello dello Stato cinese un desiderio sincero di discutere direttamente con il Vaticano. In quel caso ci sarebbe una speranza».

© Copyright Famiglia Cristiana n. 19 del'11 maggio 2008

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