24 maggio 2008

Un ponte tra fede e ragione: il ritorno dell'elemento religioso (Massimo Adinolfi)


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Su segnalazione di Eufemia leggiamo:

Un ponte tra fede e ragione

Massimo Adinolfi

Allora Paolo, servo di Cristo, «ritto in mezzo all’Areopago» predicò agli ateniesi il Dio che nella lettera ai cristiani di Corinto aveva detto essere «scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani», e quel popolo di filosofi lo mandò via tra le risa. Eppure la filosofia non ha mai smesso di interrogare (e interrogarsi su) la fede, né la fede ha mai smesso di rivolgersi alla filosofia per la propria stessa autocomprensione. Sulla strada tra Atene e Gerusalemme è nato l’Occidente (e la strada, va detto anche questo, è stata tracciata, non solo metaforicamente, dalle milizie romane). Un po’ più a sud, poco dopo l’antica Elea, dove la filosofia è nata molti secoli orsono, l’Happy Village di Marina di Camerota ospita per tre giorni la Scuola di filosofia della Fondazione Italiani Europei su democrazia e religione, che si apre oggi. Non è roba vecchia di secoli: è questione di stringente attualità. E non è solo il fondamentalismo religioso di matrice islamica a ricordarcelo: è anche il risveglio religioso che investe l’Occidente. E va dal massiccio seguito dei telepredicatori al ritorno della messa in latino, dalle beatificazioni a furor di popolo alle conversioni clamorose. Quel che peraltro ritorna, non sembrano essere tanto le intime vocazioni religiose, quanto piuttosto il bisogno di un’intima visibilità della religione.
Si ha perciò un bel parlare di disincantamento del mondo, di secolarizzazione, di modernizzazione, di laicizzazione - tutte parole che fino a poco tempo fa indicavano senza troppe incertezze un progressivo ritrarsi della religione dalla sfera pubblica - il fatto è che se ad esempio uno legge i discorsi dei candidati alla presidenza degli Stati Uniti d’America dell’ultimo decennio, vi trova una tal quantità di espressioni dal contenuto religioso, un così costante riferimento a Dio, che non può non domandarsi se vi sia mai stata, in quel paese, una reale separazione fra politica e religione. In base a questo indicatore, si direbbe addirittura che il paese che costituisce il centro propulsore del progresso e della modernità edonistica e consumistica, abitualmente dipinta come agente di scristianizzazione dell’Occidente, cioè appunto gli Stati Uniti, siano senz’altro il paese più cristiano dell’Occidente. Più della cattolica Irlanda o della Polonia di papa Wojtyla. Scovare un ateo professo per le strade di New York è impresa più ardua che trovarlo nei pressi del santuario di Lourdes. Naturalmente l’esperienza americana è molto differente da quella europea (e italiana): proprio su queste differenze, di ordine storico, politico e culturale, occorrerà riflettere, nel corso dei tre giorni della scuola, dal momento che non basta più - se mai è bastato - cavarsela con il riconoscimento del diritto di ciascun individuo di professare la propria fede nel privato della sua coscienza. Questo è poi il punto: che un tale diritto sembra non soddisfare più la richiesta di una presenza manifesta della religione nella sfera pubblica. La religione, d’altra parte, è, per sua natura e costituzione, un fatto pubblico: se così non fosse, tutto sarebbe più semplice. Ognuno avrebbe il proprio altare in casa propria, e nessun altare nella pubblica piazza. Non c’è bisogno di scomodare Vico o di visitare cattedrali in giro per l’Europa per sapere che non è mai stato così. Resta però necessario, vecchia o nuova che sia la laicità che ci occorre, che questo fatto trovi composizione entro l’orizzonte di garanzie fondamentali che è costitutivo delle democrazie liberali avanzate, orizzonte che costituisce un’acquisizione per tutti irrinunciabile. C’è infine un problema di identità, e i filosofi chiamati a convegno in questi giorni non potranno non parlarne. Identità del cristianesimo, identità dell’Europa, ma anche identità della filosofia.
La sera di venerdì primo aprile 2005, pochi giorni prima di ascendere al soglio pontificio, a Subiaco, Joseph Ratzinger tenne un importante discorso sull’Europa, in cui fra l’altro disse: «Il cristianesimo non è certo partito dall’Europa, e dunque non può essere neanche classificato come religione europea, la religione dell’ambito culturale europeo. Ma proprio in Europa ha ricevuto la sua impronta culturale e intellettuale storicamente più efficace e resta pertanto intrecciato in modo speciale all’Europa». Questa impronta il cristianesimo ha ricevuto dalla filosofia. Quali siano i caratteri di questa impronta, quanto sia persistente, quanto «occidentale», e quanto la filosofia stessa sia ancora oggi in grado di imprimersi sulla cultura dell’Occidente è difficile a dirsi. Ma non è un problema ozioso. Non è nemmeno sicuro, in verità, che la filosofia debba imprimersi, o non debba piuttosto fare esattamente il contrario. Nelle Scritture ci si domanda se il Risorto, al Suo ritorno, troverà fede tra gli uomini. Domanda - come si dice - da un milione di dollari. Io sarei già contento se, quando sarà, troverà un po’ di filosofia. Pungolati allora dalla filosofia, coloro che avranno ancora fede, ne avranno magari una più matura e più libera.

© Copyright Il Mattino, 23 maggio 2008

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