23 maggio 2008
Una lettura teologica della Spe Salvi: "Pregando per uno sconosciuto, come insegna Dostoevskij" (Osservatore)
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Una lettura teologica della Spe Salvi
Pregando per uno sconosciuto, come insegna Dostoevskij
di Padre José Luis Plascencia Moncayo
Università Pontificia Salesiana
Perché il Santo Padre ha scelto come tema per la sua seconda enciclica proprio la speranza?
Anche se la risposta vera e piena potrebbe venire solo dal Papa stesso, mi sembra che si possano individuare almeno tre possibili ragioni: da una parte vuol invitarci a contemplare l'essenziale della nostra fede cristiana attraverso le tre virtù teologali, o meglio, attraverso il triplice atteggiamento teologale che costituisce l'identità della nostra vita cristiana. Un'altra ragione ci viene offerta dal Sinodo dei vescovi dell'Europa, che ha trovato la sua espressione piena nell'esortazione apostolica Ecclesia in Europa: "L'urgenza più grande" leggiamo nell'introduzione, "consiste in un accresciuto bisogno di speranza, così da poter dare senso alla vita e alla storia".
Non sarebbe strano considerare l'enciclica come una risposta a questo bisogno, tenendo conto della preoccupazione speciale del Santo Padre per la situazione del continente europeo. Inoltre nelle diverse parti dell'enciclica affiora - e non poteva essere altrimenti - il pensiero più personale del Papa: in modo particolare, quello che aveva espresso quaranta anni fa nella sua opera più conosciuta, Introduzione al Cristianesimo, che ha avuto il record, ancora non superato per quello che io so, di diffusione di un libro di teologia: undici edizioni nel suo primo anno. Questa opera straordinaria nasce mentre è giovane professore a Tubinga; di questo periodo lui stesso racconta nella sua autobiografia: "Ernst Bloch insegnava allora a Tubinga (...); quasi contemporaneamente al mio arrivo, nella facoltà evangelica di teologia fu chiamato Jürgen Moltmann, che nel suo affascinante libro Teologia della Speranza ripensava completamente la teologia a partire da Bloch".
Mi piace pensare che questa enciclica costituisca il compimento, nella sua piena maturità, di un sogno della gioventù teologica di Joseph Ratzinger: dire la fede in chiave di speranza.
Utilizzando un'immagine molto semplice, vorrei presentare la dimensione teologica come chiave di lettura dell'enciclica, alla maniera di una guida turistica che si legge prima di visitare una città sconosciuta, per orientarsi e poter valutare meglio quello che si visiterà; non può sostituire la visita stessa, ma piuttosto è in funzione di essa. D'altra parte, la guida può anche aggiungere alcuni elementi storici o artistici che permettono di capire meglio quello che poi si vedrà. Anzitutto, il Papa stabilisce un dialogo molto interessante con diverse correnti religiose e, soprattutto, filosofiche e scientifiche, cominciando da un esame della situazione culturale dei primi secoli del cristianesimo. Poi, in particolare, affronta l'età moderna, con Francis Bacon, la Rivoluzione francese, Emmanuel Kant, l'Idealismo tedesco, in particolare Hegel; continua poi soffermandosi, nell'ottocento, su Karl Marx e, nel secolo ventesimo, sul comunismo. Da ultimo esamina la posizione critica della scuola di Francoforte, in particolare con Adorno e Max Horkheimer. Non possiamo qui analizzare nel dettaglio le riflessioni che Benedetto xvi sviluppa in questo interessante dialogo diacronico, nel quale, entro le logiche limitazioni di spazio e di linguaggio, egli offre alcune chiavi di lettura molto indovinate per capire qual è stato il movimento del pensiero occidentale negli ultimi secoli, e soprattutto qual è stato l'atteggiarsi della speranza cristiana di fronte ad esso. È infatti nell'ambito della speranza, più che in quello della fede, che emergono le diverse maniere di intendere l'uomo, il mondo e, nella prospettiva religiosa, Dio stesso. In fondo, la domanda a cui si vuol rispondere la troviamo nel n. 10: "La fede cristiana è anche per noi oggi una speranza che trasforma e sorregge la nostra vita?". È il linguaggio cristiano soltanto "informativo" o anche, e soprattutto, "performativo"? Trasforma cioè la nostra vita?.
In questa prospettiva di teologia fondamentale ritroviamo molti elementi della Introduzione al Cristianesimo, in particolare della sua prima parte. Penso, per esempio, alla concezione della verità, "Verum quia faciendum", e agli interrogativi, che qui si pongono, circa la verifica della fede, il rapporto futuro-speranza, l'impegno per trasformare la realtà. Il Papa non fa una riflessione sistematica sulla speranza, ma piuttosto fa una teologia sistematica nell'ottica della speranza: e questo evoca un lavoro analogo, ma in fondo diverso nei contenuti e nel metodo, rispetto a quello del suo collega evangelico di Tubinga citato prima. Indubbiamente, l'enciclica del Santo Padre, per sua natura, non ha le pretese scientifiche di Moltmann nella sua Teologia della Speranza, ma, nella sua brevità, mi sembra più chiara e sistematica.
Se vogliamo pur brevissimamente menzionare alcuni aspetti di questa teologia sistematica nell'orizzonte della speranza, possiamo dire: il Dio in cui crediamo è quella Realtà personale, "Ragione, Volontà, Amore", che noi non abbiamo creato, ma che ha creato noi, e che permette di avere, al di là delle "piccole speranze", una radicale speranza anche oltre la morte, in modo che "chi non conosce Dio, pur potendo avere molteplici speranze, in fondo è senza speranza". Anche il giudizio non è fonte di minaccia o spavento, ma di speranza, e non in maniera individuale, ma comunitaria e universale; il rapporto inscindibile, in Dio, tra la giustizia e la grazia, che ci permette, utilizzando il titolo di un libro di Hans Urs von Balthasar, di "sperare per tutti", ma senza minimizzare il valore di atti e decisioni di questa vita. Il purgatorio non come un luogo o tempo, ma come l'incontro (che può essere di "un istante") con il Signore Gesù, fuoco d'amore che brucia, purifica, e riempie dello stesso amore. La preghiera per i nostri defunti: mai diventa inutile! A questo riguardo, non posso omettere un brano bellissimo de I Fratelli Karamazov di Dostoevskij, anche per la sua sintonia con il pensier0 del Papa: "Ricordati anche di questo: ogni giorno, anzi, ogni volta che puoi, ripeti dentro di te: "Signore, abbi pietà di tutti quelli che oggi sono comparsi dinanzi a Te". Perché a ogni ora, a ogni istante, migliaia di uomini finiscono la loro vita su questa terra, e le loro anime si presentano al Signore. E quanti uomini lasciano la terra in completa solitudine, senza che nessuno lo sappia, tristi e angosciati, perché nessuno li piange e nessuno sa neppure che hanno vissuto! Allora, forse, dall'estremo opposto della terra si leva in quel momento la tua preghiera al Signore per la pace di colui che sta morendo, sebbene tu non l'abbia conosciuto affatto, né lui abbia conosciuto te. Come si commoverà la sua anima quando sentirà, nell'attimo in cui sarà giunta davanti a Dio piena di timore, che qualcuno prega anche per lei, che sulla terra è rimasto un essere umano che ama anche lei. E Dio sarà misericordioso con tutti e due; perché, se tu hai avuto tanta pietà di quell'uomo, quanta più ne avrà Lui, che è infinitamente più misericordioso e più amoroso di te! E gli perdonerà per amor tuo".
Se all'inizio abbiamo parlato del rapporto della speranza con la fede, adesso troviamo il suo compimento pieno nell'amore. "Soltanto l'amore è degno di speranza" scriveva Urs von Balthasar; la speranza trova il suo oggetto "degno" soltanto se si spera nell'amore; anzi, nell'Amore con la maiuscola, che è il Dio di Gesù Cristo. "Questa grande speranza può essere solo Dio" leggiamo nell'enciclica, "ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine (...) E il suo Amore è per noi la garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell'intimo aspettiamo: la vita che è veramente vita". Ma anche è presente la direzione inversa: dove l'amore è il soggetto della speranza. Qui possiamo ricordare san Paolo: "L'amore spera tutto" (I Corinzi, 13, 7), e aggiunge Søren Kierkegaard: "...e perciò non resta mai confuso": e lo spiega in maniera straordinaria nelle pagine della sua opera più importante, Atti dell'Amore. In particolare, il Papa presenta questa dimensione nel rapporto con gli altri: chi ama è l'unico che può sperare per gli altri, per tutti.
L'amore apprende ed esercita la sua speranza in diversi "luoghi", come li chiama il Santo Padre: la preghiera, l'azione e la sofferenza, che permettono di vivere alcuni atteggiamenti tipici di chi crede-spera-ama: la con-solazione (il credente mai si sente solo, e cerca di fare in maniera che nessuno si senta così); la vulnerabilità e la com-passione.
(©L'Osservatore Romano - 23-24 maggio 2008)
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