23 maggio 2008

Una «Questua» rimasta a secco. I «soldi della Chiesa»: le tesi infondate del libro di Curzio Maltese (Folena)


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Una «Questua» rimasta a secco

I «soldi della Chiesa»: le tesi infondate del libro di Curzio Maltese

DI UMBERTO FOLENA

Da che parte cominciare a smon­tare La questua. Quanto costa la Chiesa agli italiani, il libro del giornalista di Repubblica Curzio Malte­se appena giunto in libreria? Ma dall’i­nizio, e dall’equivoco di fondo che Mal­tese non nasconde, anzi dichiara aper­tamente.

La confusione tra Vaticano e Santa Sede di qua, Chiesa italiana e Cei di là.

A pagina 31 sbotta: signori, è la stessa zuppa ed è vano perderci tempo. «Una volta scartati il politicamente cor­retto e il cattolicamente corretto, mi so­no concentrato su quello di cui finan­che l’autore capiva il senso: il costo del­la Chiesa, una e trina». In realtà la cor­rettezza non c’entra.

Maltese ha biso­gno di confondere Santa Sede e Cei per­ché il mirino è puntato sull’otto per mil­le, che va alla Cei ma che ai lettori va fatto credere vada al Vaticano, insi­nuando l’idea che la distinzione sia un cavillo, una pura formalità. Invece è so­stanza.

Un libro a tesi

Altra tesi iniziale: la percentuale degli i­taliani che vanno a Messa (circa un ter­zo della popolazione) e di quanti fir­mano per l’otto per mille a favore della Chiesa cattolica coincide. Si tratta in­somma delle stesse persone. Sbagliato, e lo dicono i numeri. Primo, il confron­to è tra gruppi non omogenei: di qua tutti gli italiani, di là i soli contribuenti. Secondo, a firmare è più del 40% dei contribuenti, ma mal distribuiti: sono il 61,3% di coloro che sono costretti a pre­sentare la dichiarazione (730 o Unico) e una percentuale davvero minima di chi non è obbligato, per lo più pensio­nati, che invece sono in larga misura praticanti. Un bel pasticcio. Scrive Mal­tese che questi italiani «dichiarano di andare a messa e di essere influenzati nel voto dall’opinione del papa e dei ve­scovi ». Quale sia la fonte non si sa, ma che un italiano, credente o miscreden­te, ammetta di essere «influenzato» ha dell’incredibile.

Per Ruini bastava Google

Da pagina 36 in poi, Maltese si avven­tura in brevi cenni di storia recente del­la Chiesa che farebbero sorridere un re­dattore di Topolino. Parla di «fronte pas­satista » che si oppone alle «aperture del­la Chiesa conciliare». I 27 anni di Papa Wojtyla sono così riassunti: «I risultati concreti del pontificato di Giovanni Paolo II sono il ritorno alla Chiesa pre­conciliare, l’alleanza privilegiata con le forze tradizionaliste e la progressiva ri­duzione, fino all’estinzione, del dissen­so cattolico». Fine. Non si può dire che manchi di sintesi. E Camillo Ruini? Sa­rebbe bastato Google per evitare scioc­chezze del genere: «Quando Giovanni Paolo II lo chiama a Roma da Reggio E­milia, Ruini è un giovane vescovo noto alle cronache solo per aver celebrato il matrimonio di Flavia Franzoni e Ro­mano Prodi».
Le cronache di Eva Ex­press, forse. Com’è arcinoto, Ruini, già stimato docente di teologia dommati­ca a Bologna, si fa apprezzare in parti­colare come vicepresidente del Comi­tato preparatorio del Convegno eccle­siale di Loreto (1985), dove ricopre un ruolo di primo piano.

Il prete, una 'casta' da 853 euro al mese

Capitolo otto per mille.
Ruini, assicura Maltese, ha «l’ultima parola su ogni sin­gola spesa». In un’inchiesta seria ti a- spetteresti una descrizione del sistema, di come è 'composta' la remunerazio­ne di preti e vescovi, di chi decide la de­stinazione degli aiuti all’estero... Nulla di nulla. Sembra una dittatura, con i ve­scovi a capo chino succubi dei capricci del presidente. In realtà i criteri di di­stribuzione sono oggettivi e Maltese de­ve averli letti o su Avvenire o nei siti del­la Cei, di cui finalmente pare essersi ac­corto. I preti italiani, ovunque prestino servizio pastorale (anche i fidei donum all’estero), ricevono la stessa remune­razione, a partire da 853 euro netti men­sili; idem i vescovi, che alla soglia della pensione ne ricevono 1.309. Non sono cifre segrete. Maltese pubblica la re­munerazione dei pastori valdesi (650 euro): perché non quella dei preti cat­tolici? Forse perché è così bassa da non essere minimamente riconducibile ai «privilegi di una casta»? Criteri oggetti­vi, dicevamo. La quota assegnata alle singole diocesi viene divisa per metà in parti uguali, per l’altra metà in base al numero di abitanti. Per l’estero, un ap­posito Comitato riceve le richieste e provvede alle assegnazioni. È tutto co­sì misterioso che l’elenco dettagliato dei primi 6.275 interventi è stato pubblica­to nella primavera del 2005 in un volu­me di 386 pagine, Dalla parola alle o­pere. 15 anni di testimonianze del Van­gelo della carità nel Terzo Mondo, con u­na ricca documentazione fotografica e alcuni saggi introduttivi. Il libro è stato presentato ai giornalisti in una confe­renza stampa. Escluse le testate d’ispi­razione cattolica, nessuno ne ha scrit­to niente. E quasi niente, quindi, ne ha saputo chi non legge la stampa d’ispi­razione cattolica. Si può consultare il volume online nel sito www.chiesacat­tolica.it/sictm.

Chi vota e chi no

Il sistema dell’otto per mille, scrive Mal­tese, non è democratico. In realtà è il primo caso di democrazia diretta ap­plicata al sistema fiscale. Non c’è nulla di automatico, la Chiesa non ha alcuna garanzia – per dire: nessun minimo ga­rantito – e dipende completamente dal­la volontà degli italiani, che oggi firma­no a suo favore, domani chissà. E gli a­stenuti? In gran parte sono contribuenti non tenuti a presentare la dichiarazio­ne, costretti a compiere alcune opera­zioni complesse per far valere la pro­pria firma. È inevitabile che molti, spe­cialmente se anziani, se ne dimentichi­no o rinuncino; ed è un peccato pro­prio per la democrazia. Degli altri, due terzi firmano.

Il meccanismo è analogo a quello di una votazione. Se per il Par­lamento vota l’80% degli elettori, non per questo il 20% dei seggi rimane non assegnato. Chi si astiene si rimette alla volontà di chi partecipa. In effetti non si firma per il proprio otto per mille, ma per l’otto per mille complessivo, di tut­ti. A Maltese scappano queste precisa­zioni, tutt’altro che irrilevanti.

Spot pieni zeppi di preti

Otto per mille e comunicazione. Mal­tese dà i numeri. Negli spot, scrive, le due voci – carità in Italia e nel Terzo Mondo – occupano il 90% dei messag­gi, mentre assorbono solo il 20% del­l’otto per mille. Controlliamo. Nel sito www.8xmille.it è possibile vedere ben 47 spot, con relativo documentario, de­gli ultimi anni, così distribuiti: carità I­talia 20, carità estero 15, preti 6, culto 6. La carità occupa meno del 90%. Ma ba­sterebbe guardare quegli spot per sco­prire che tra i protagonisti ci sono sem­pre dei preti, che spesso costruiscono chiese, oratori, scuole, officine... Una divisione netta per destinazioni è as­surda. Tutti i preti italiani sono impe­gnati, chi più chi meno, sul versante del­la carità; tutti i parroci custodiscono luoghi di culto.

La parola 'colletta' dice niente?

E le offerte per il clero, quelle deducibi­li? Maltese ironizza: se dipendesse dai fedeli, il clero morirebbe di fame. Ma come si fa a ignorare che la forma ordi­naria, normale, di contribuzione alle e­sigenze del parroco e della parrocchia è l’offerta fatta durante la Messa dome­nicale, o direttamente al parroco in tan­te occasioni, a cominciare dalla bene­dizione delle famiglie? È la forma ordi­naria indicata anche dal documento
Sovvenire alle necessità della Chiesa del 1988, che fonda l’intero sistema e che Maltese non cita mai. E viene il dubbio se sappia che esiste.

Ricevere per poter donare

Con dispiacere ritroviamo nel libro un’aspra dichiarazione attribuita alla moderatrice della Tavola Valdese, Ma­ria Bonafede: «I soldi dell’otto per mil­le arrivano dalla società ed è lì che de­vono tornare. Se una Chiesa non riesce a mantenersi con le libere offerte, è se­gno che Dio non vuole farla sopravvi­vere ». Che cosa Dio voglia o non voglia siamo convinti non lo possa stabilire con tanta certezza nessuno, cattolico o valdese che sia. E i soldi tornano asso­lutamente tutti a quegli italiani che li affidano alla Chiesa.

Tornano sotto for­ma di tempo dedicato a loro, di servizi, di strutture educative, formative, sani­tarie e sportive, di luoghi in cui prega­re. Altro che casta. Nulla serve a co­struire personali carriere. Chiunque ab­bia un’esperienza anche superficiale di Chiesa – cattolica o valdese – lo sa.

Il fantasma di Luciano Moggi

Un capitolo a parte merita una notizia, falsa, in fondo marginale. Ma serve a comprendere come sia stata costruita l’inchiesta. Maltese, nonostante le smentite, insiste: il 27 agosto, sul volo Mistral da Roma a Lourdes, al pellegri­naggio dell’Orp, con il cardinale Ruini c’era anche «l’invitato Luciano Moggi». Moggi non c’era, andò a Lourdes per i fatti suoi come privato cittadino. Mal­tese ci ha letti, infatti corregge un det­taglio (Boeing 737-300, non 707-200). Ma insiste: la fonte è il «blog di papa Ratzinger, ufficioso ma benedetto dal Santo Padre». Papa Ratzinger ha un suo blog? Una rapida indagine. In effetti e­siste un «Papa Ratzinger blog», tenuto da una fedele cattolica, che però sotto la testata si affretta a precisare: «Si trat­ta di una iniziativa personale che non ha alcun riconoscimento ufficiale » .
Dov’è la «benedizione»? Il sito si limita a riprodurre quattro articoli del 28 ago­sto 2007 relativi al volo Mistral. Uno so­lo, dell’Eco di Bergamo, tira in ballo Moggi. Gli altri tre no. Uno è anonimo. Uno è del Giornale. L’ultimo, sorpresa, è di Orazio la Rocca di Repubblica. Non ci sono né Moggi né il rettore della La­teranense che avrebbe benedetto il viaggio. Maltese farà bene a mettersi d’accordo con il collega. Se non basta, potrà leggersi la cronaca di Virginia Pic­colillo dell’autorevole Corriere della se­ra:
Moggi era mescolato tra migliaia di pellegrini, nella basilica a Lourdes, mentre Ruini celebrava. Tutto qui. Grande giornalismo d’inchiesta, dav­vero.

Demolite le chiese

A un certo punto Maltese stigmatizza l’eccesso di spese per tante chiese e chiesine italiane, e sembra elogiare la Francia, che le chiese «inutili» le demo­lisce. Maltese trascura un dettaglio che certo non può ignorare: lo Stato fran­cese è proprietario di tutti gli edifici di culto costruiti prima del 1905. Sono suoi, quindi se li può restaurare (a sue spese) o demolire. E la carità? Merce di scambio tra lo Stato e una Chiesa a cui è delegato il 'lavoro sporco'. Tutto qua. E comunque, «non bisogna dimentica­re che per la dottrina cattolica e per la musulmana l’azione sociale è secon­daria rispetto all’indottrinamento» (pa­gina 136). Servono ulteriori commenti?

© Copyright Avvenire, 23 maggio 2008

Inchiesta ambiziosa ma sbilanciata

Era stata un’inchiesta ambiziosa: 7 puntate per un totale di 15 pagine nella sezione R2 di
Repubblica, diluite nell’arco di quasi tre mesi, dal 28 settembre al 17 dicembre scorsi. Ambizione pari agli errori clamorosi, alle notizie inventate di sana pianta e alle strategiche omissioni, tutto puntualmente messo in rilievo in cinque pagine di
Avvenire.

Autore dell’affondo Curzio Maltese, con la collaborazione di due leader radicali: Carlo Pontesilli, fiscalista «esperto di privilegi ecclesiastici» (testuale), e Maurizio Turco, vicario del Partito radicale nonviolento transnazionale transpartito e segretario dell’associazione www.anticlericale.net.

Da una settimana l’inchiesta è raccolta in un volume edito da Feltrinelli dal titolo La questua.
L’assonanza con il fortunato La casta è casuale? Non si direbbe, stando a quanto leggiamo a pagina 29: «Si tratta di un 'do ut des' fra due caste, quella dei politici e quella ecclesiastica, che passa sulla testa dei cittadini. Gli italiani spendono per mantenere la Chiesa più di quanto spendano per mantenere l’odiato ceto politico. Ma non lo sanno». Per i distratti, a pagina 38 replica: «Non so se si possa parlare di una 'casta ecclesiastica' parassitaria come la 'casta politica' (...). Ma un dato almeno è certo: il costo della Chiesa cattolica per i contribuenti italiani è superiore al costo della politica. Ed è governato da un sistema di finanziamento ancora meno democratico». E questa è precisamente la tesi alla quale Maltese piega e adatta la realtà.
Le 172 pagine (scritte larghe e in grande) ripropongono quasi integralmente l’inchiesta, con alcune aggiunte sulla vicenda istruttiva della mancata visita del Papa all’Università La Sapienza e sulla caduta del governo Prodi, esito di un complotto ecclesiastico. Quasi. Maltese ha infatti l’accortezza di tagliare alcuni degli svarioni e delle invenzioni della sua inchiesta, da noi smascherati, che però non ebbero alcuna rettifica su Repubblica.
In questo modo, i lettori del quotidiano sono ancora convinti che la Chiesa tenga nascosti quei rendiconti che in realtà pubblicava anche sulla stessa Repubblica – l’infortunio ha un suo pregevole risvolto comico – o che l’Abbazia di Chiaravalle alle porte di Milano sia effettivamente un albergo di lusso a 300 euro a notte, mentre invece è una normale, splendida abbazia, come ogni abbazia dotata di una sobria foresteria a 30 euro al dì, pensione completa, trattabili. O, ancora, che nei rapporti tra l’ospedale Bambin Gesù di Roma e la Regione Lazio ci sia qualcosa di losco. Nel volume questi clamorosi infortuni scompaiono, senza nessun ringraziamento per la nostra accurata e meritoria opera di editing: quale ingratitudine. Per la cronaca, nella pagina qui accanto proponiamo una tabella riassuntiva dei principali errori dell’inchiesta, nella stragrande maggioranza ripetuti pari pari nel volume.
Il libro, proprio per il suo carattere spiccatamente di parte e le sue approssimazioni (soprattutto citazioni virgolettate senza indicazione della fonte, con il chi ma senza il dove e il quando), finirà per convincere chi è già convinto – gli anticlericali militanti –, e per irritare quanti – cattolici disponibili al dialogo, più o meno praticanti – non si riconosceranno nella caricatura di Chiesa messa in scena da Maltese. Il rischio è che il libro alimenti non la stima, o almeno la curiosità reciproca, condizione necessaria per un incontro costruttivo, ma il sospetto e l’inimicizia.

Il nodo è sempre il solito: di tutto, assolutamente di tutto si può discutere liberamente, anche di Chiesa e denaro, a tutto vantaggio del gioco democratico. Ciò che non si può fare è spargere falsità e mezze verità, che quel gioco democratico lo alterano. Le inchieste fanno bene se sono fatte bene. Altrimenti vanno chiamate con il loro vero nome: propaganda. (U.Fo.)

© Copyright Avvenire, 23 maggio 2008

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