11 aprile 2007

Aggiornamento rassegna stampa dell'11 aprile 2007


Vedi anche:

Rassegna stampa dell'11 aprile 2007

I Cattolici sono una minoranza?

"Colpevoli di crimini enormi" (Benedetto XVI ai preti pedofili)

Qualcuno imbratta i muri, la stampa lo attacca, i vaticanisti lo sottovalutano, ma il Papa...


LA POSTA IN GIOCO DI UNA NUOVA LAICITÀ

di ALESSANDRO BARBANO

LE immagini del capo dei vescovi italiani, monsignor Bagnasco, costretto a farsi accompagnare da un poliziotto di scorta, delimitano il perimetro di un Paese dove il confronto delle idee accende tensioni pericolose. E c'impongono di riflettere su quella laicità dello Stato, la cui salvaguardia oggi coincide con la stessa difesa della democrazia. La quale non esaurisce i suoi presupposti nell'esercizio incondizionato del diritto di voto.
Ma si sostanzia invece - ci ricorda Amartya Sen nel suo La democrazia degli altri - nella capacità di promuovere un dibattito reale sulle decisioni della politica. La stanza di questo dibattito è proprio una laicità intesa come il luogo decisivo del confronto tra soggetti e identità diversi, che tuttavia si riconoscono un reciproco dovere di ascolto.
La laicità non nasce fuori o contro, ma dentro il mondo cristiano. Come segnalano due studiosi di diversa cultura ma di comparabile rigore e apertura, Paolo Prodi e Claudia Mancina, la separazione tra etica e legge, i principi liberali della dignità della persona, l'eguaglianza morale di tutti gli individui, il rispetto per la vita umana hanno con il Cristianesimo un rapporto di filiazione, anche se non sempre lineare né pacifico, poiché è vero che la libertà individuale e di pensiero si è affermata spesso in lotta con la Chiesa.
Questa interdipendenza di valori è ancora oggi l’architrave delle nostre democrazie? Se è pacifico che la laicità dello Stato coincida con la sua non identificazione con qualsivoglia visione del mondo, c'è tuttavia da dubitare che ciò significhi anche neutralità o addirittura indifferenza nei confronti dei suoi valori fondanti.
Il compito dello Stato, suggerisce il cardinal Angelo Scola nel suo ultimo libro, Una nuova laicità, è quello di coinvolgere in una relazione di riconoscimento e confronto reciproco tutte le culture che segnano l'identità di un popolo, la sua storia e la sua sensibilità.
Ecco perché lo stesso Ratzinger, se pure non abbia mai rinunciato a testimoniare la verità dei cattolici, ha più volte riconosciuto nei primi due anni di pontificato la laicità dello Stato quasi come una garanzia per la stessa professione di fede. Ciò dovrebbe far riflettere chi vorrebbe confinare la religione nella sfera privata, scoraggiando i credenti e le comunità religiose ad esprimersi come tali anche politicamente.
Il rischio oggi è che la laicità assuma nella sua dimensione pubblica il volto caricaturale di un'arena in cui i redivivi Peppone e don Camillo regolano i loro conflitti personali. Perché ciò non accada, la politica - da una parte e dall'altra - non deve rinunciare alle proprie idee, ma deve sforzarsi di eleggere il confronto tra le varie anime del Paese come l'obiettivo primario della sua azione.
Tanto più le posizioni sono distanti e il reciproco riconoscimento delle parti è fragile, tanto più essa deve tessere la trama del dialogo. Ciò vale per i Dico, per il testamento biologico e per tutti quei temi dove la dialettica politica ridefinisce con le sue opzioni l'identità di un Paese e il suo rapporto con la modernità.
La posta in gioco è molto più alta di quanto appaia superficialmente. Sullo sfondo del fallito dialogo tra laici e cattolici nelle sedi parlamentari e in tutta la sfera del discorso pubblico, si stagliano da una parte le minacce al capo dei vescovi e allo stesso Papa, accompagnate da un montante sentimento di intolleranza nei confronti della Chiesa e della morale che essa propone; dall'altra la prospettiva di un partito confessionale, la cui tentazione è pure presente in alcuni ambienti cattolici. Disposti a utilizzare l’esclusione politica per radicalizzare i toni.
E' il peggiore degli scenari, quello di un dialogo tra sordi condito da estremizzazioni e complotti, di cui purtroppo si colgono già le avvisaglie.

Il Messaggero, 11 aprile 2007

Ma e' chiaro che c'e' questo rischio! I Cattolici non sono cittadini di serie B o C o Z che possono parlare di pace, di misericordia, di bonta' (o buonismo?), ma mai di temi eticamente sensibili. Relegarci in un angolo non e' democratico e soprattutto non e' proficuo.
Raffaella


Antiseri: uniti intorno alla sacralità della vita

di ANNA MARIA SERSALE

ROMA - Le minacce a Bagnasco e al Papa alzano il livello dell’allarme. Non sono soltanto l’espressione di un sentimento anticattolico, sono anche un attacco alla democrazia. Professor Antiseri, che cose può arginare questa nuova minaccia?

«Una società è aperta quando ogni individuo e ogni tradizione sono legittimati a fare le proprie proposte, quando nessuno è esente da critica e quando trovano spazio il maggior numero possibile di idee e di ideali, diversi e magari anche contrastanti. Una società aperta, però, deve essere chiusa ai violenti e agli intolleranti, è un primo principio di laicità». All’intervista risponde Dario Antiseri, ordinario di Scienze sociali alla Luiss.

Minacce e accuse alla Chiesa di interferenze nei confronti dello Stato laico?

«La Chiesa ha pieno diritto di parola, la fede non può rimanere nella sfera privata, chi ha fede deve potere esprime i propri valori e una certa visione del mondo. Per esempio, trovo giusto che la Chiesa difenda il valore della persona e la sacralità della vita. Per spiegare scelgo una citazione di Thomas Eliot, con cui sono pienamente d’accordo: ”se il cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura e allora dovremo attraversare molti secoli di barbarie”. In ogni caso per noi esprimere la fede non equivale a una forma di teocrazia. L’Occidente, grazie al messaggio cristiano, per il quale dobbiamo “dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”, la teocrazia è una malattia da cui non siamo toccati».

Crede che sia fallito il dialogo tra laici e cattolici?

«Non credo, il dialogo è aperto e il consenso possibile. La difesa della sacralità della vita è un valore intorno al quale tutti possono convergere. Benedetto Croce disse che il cristianesimo è la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuto. Questo non si può negare».

Il Messaggero, 11 aprile 2007


Melloni: intransigenza chiama polemica

CITTA’ DEL VATICANO - «Il vero effetto dei processi di secolarizzazione non è costituito tanto da un conflitto tra i secolarizzati e i cattolici, ma dall’apertura di un conflitto o qualcosa di simile tra gli stessi cattolici. Lo si vede chiaramente in Italia attorno al dibattito sul concetto di cosa è la laicità dello Stato». Alberto Melloni, docente di storia contemporanea, autore di decine di saggi sulla storia della Chiesa, allievo di Giuseppe Alberigo, parla del clima di contrapposizione che anche ieri ha portato qualcuno a scrivere frasi di minaccia su un muro di Torino contro il presidente della Cei, Angelo Bagnasco e il Papa».
E’ così marcata la radicalizzazione dello scontro tra cattolici e non cattolici?

«Dato che una parte della polemica in corso è di carattere strettamente politico ne consegue inevitabilmente l’accentuazione del suo carattere politico. Nel momento in cui l’autorità della Chiesa interviene si ha come effetto un forte impatto nella polemica politica. Che a sua volta sale, crescono i toni, si sbraita da una parte e dall’altra. Il tutto amplificato dai media. Ma nel concreto del vissuto della società italiana, a livello di vita popolare, il terreno del conflitto non lo vedo così radicalizzato. Anzi».

Secondo lei anche in Italia come in Francia la tendenza della politica è di confinare la religione in uno spazio angusto?

«A me non pare proprio. Non penso che la si voglia ridurre e marginalizzare».

Ma non c’e’ un clima di intolleranza, ieri le scritte contro Bagnasco a Genova e oggi contro il Papa a Torino...

«Ci si deve interrogare. Se da un lato c’e’ la questione del brodo di coltura del terrorismo che evidentemente non è finito. Dall’altra, secondo me, e’ la risposta alla Presidenza Ruini, una presidenza forte che ha esposto la Chiesa ai metodi e ai linguaggi brutali della polemica».
F.GIA.

Il Messaggero, 11 aprile 2007

Eh si',ha ragione Lei, caro Melloni! Le scritte contro il Papa e il Presidente della CEI? Colpa del Papa, di Bagnasco e di Ruini. O forse ho capito male? Certo che i cosiddetti cattolici "democratici" hanno una strana idea del concetto di liberta' di espressione...
Raffaella


Il 16 aprile

Gli 80 anni di Ratzinger

IN VISTA del suo compleanno numero ottanta, che cadrà il prossimo 16 aprile, in Vaticano si preparano i festeggiamenti per Papa Benedetto XVI. Nato nel 1927 a Marktl am Inn, Joseph Ratzinger ha pensato ad anticipare il suo genetliaco facendosi un regalo: la diffusione nelle librerie - proprio dal prossimo lunedì - del suo volume dedicato a Gesù di Nazareth, che uscirà per i tipi di Rizzoli (alla quale la Libreria Editrice Vaticana ha affidato la pubblicazione dell’opera iniziata da Ratzinger quando ancora era cardinale, e che gestirà i diritti d’autore in tutto il mondo) e verrà presentato venerdì pomeriggio da padre Federico Lombardi (direttore della sala stampa della Santa Sede), dal cardinale Christoph Schoenborn (arcivescovo di Vienna), da Daniele Garrone (decano della Facoltà Valdese di Teologia di Roma) e Massimo Cacciari (sindaco di Venezia e ordinario di estetica nell'ambito della facoltà universitaria del San Raffaele di Milano). Dalla natia Baviera sono attesi centinaia di regali, e per renderre partecipi i lavoratori della Santa Sede Benedetto XVI offrirà una gratifica di 500 euro a tutti i dipendenti vaticani e, eccezionalmente, una giornata di vacanza per tutti gli uffici. La festa si replicherà poi pochi giorni dopo, il 19 aprile, per l’anniversario della elezione al soglio pontificio. E nella giornata di lunedì è stato anche programmato un concerto in suo onore.

Il Tempo, 10 aprile 2007


Atteso per lunedì prossimo il «motu proprio»
Messa in latino: torna la tradizione

L'ATTESO «motu proprio» papale sul recupero della messa pre-conciliare in latino è pronto da tempo, ma la sua pubblicazione, prevista in un primo tempo per prima di Pasqua, slitterà a dopo il 16 aprile, giorno dell'ottantesimo compleanno di Benedetto XVI. Lo indicano fonti attendibili in Vaticano. La nota, scritta di proprio pugno dal Pontefice, ripristinerà la possibilità di celebrare la messa in latino con il rito tridentino. Non che adesso tale rito sia proibito: ma sono tanti a tali i passaggi burocratici e i placet da ottenere da parte dei vescovi locali che molti fedeli, a cui pure piacerebbe ritornare alle atmosfere sancite dal Concilio di Trento, vi rinunciano. Il «motu proprio» - secondo le anticipazioni che si sono rincorse negli ultimi mesi - consentirebbe la celebrazione della messa in modo quasi automatico, se a richiederla è un certo numero di persone. La messa tridentina in latino è l'unica accettata dai seguaci del defunto vescovo scismatico Marcel Lefebvre e il documento pontificio aprirebbe senza dubbio la strada per una ricomposizione della frattura avvenuta negli anni ottanta dello scorso secolo. I vescovi francesi, guidati dal loro presidente mons.Jean Pierre Ricard, non nascondono però un certo disagio di fronte alla prospettiva di perdere il controllo su un capitolo liturgico che ancora brucia in Francia, dove è forte il seguito della Comunità lefebvriana di San Pio X. Sono molti i sacerdoti francesi che si rifiutano di celebrare in latino. Proprio per appianare le perplessità dell'episcopato d'Oltralpe, la pubblicazione del «motu proprio» è stata rinviata più volte. È d'altra parte evidente che il ritorno ad una spiritualità maggiormente legata alla tradizione millenaria della Chiesa è uno dei punti centrali del pontificato: anche nell'esortazione post-sinodale sull'Eucarestia era stato auspicato un più ampio uso del latino e del canto gregoriano nelle liturgie.

Il Tempo, 10 aprile 2007


Per lo scrittore inglese, l’Iscariota era “deluso” perché Gesù non liberò gli ebrei dai romani

di FRANCESCO FANTASIA

GIUDA non tradisce Gesù per intascare i trenta denari e nemmeno poi si impicca per il rimorso. La storia è un’altra, non è quella che si legge nel Vangelo di Matteo e che ci è stata tramandata dalla tradizione cristiana. «Certo, è una storia diversa che può essere considerata soltanto probabile - dice Jeffrey Archer -. Ma che è anche altamente possibile».
Sentite già odore di zolfo? Immaginate già nuovi scandali e feroci polemiche? Nulla di tutto questo: un altro caso Dan Brown stavolta non scoppierà. E non ci sarà neppure un altro Codice da Vinci da mettere all’indice. Il Vangelo secondo Giuda di Beniamino Iscariota (Mondadori, 120 pagine, 12 euro) è una fiction in cerca di fortuna che ha già conquistato le classifiche dei bestseller. Ma è soprattutto un romanzo che di fatto ambisce a riscrivere il Vangelo con il suggello, l’imprimatur del Vaticano. Proprio così: per assicurarsi la “benedizione” della Chiesa cattolica, lo scrittore inglese Jeffrey Archer si è procurato l’aiuto di un biblista di rango, il professor Francis Moloney, un’autorità in materia di sacre scritture oltre che amico personale di papa Ratzinger.
Con queste credenziali Il Vangelo secondo Giuda non ha nulla da temere. E attraverso le memorie del figlio Beniamino, punta a riabilitare la figura dell’Iscariota, il peccatore più vilipeso della storia, il simbolo di tutti i tradimenti e di tutte le apostasie. «La nostra civiltà nasce sul mito della croce - dice Archer -. E di questo mito, il tradimento è un elemento essenziale. Già questa considerazione dovrebbe farci rivalutare il ruolo di Giuda: senza di lui Cristo non si sarebbe potuto sacrificare. Che senso ha allora maledirlo?». Giuda è parte del piano divino, dunque: è una figura necessaria al teatro dell’ultima tragedia. Ma il Vangelo firmato da Archer va più in là, descrive il groviglio di sentimenti contraddittori che anima l’Iscariota, illuso e deluso dall’opera del Nazareno. «Sul tradimento di Giuda in cambio di trenta denari, Marco, Luca e Giovanni non dicono una parola. Un silenzio che mi ha portato a pensare che il resoconto di Matteo sia tendenzioso. Giuda non tradisce per denaro. Se tradisce è perché si sente deluso “politicamente” da Gesù, il messia che avrebbe dovuto liberare gli ebrei dal giogo straniero e che invece si rifiuta di capeggiare una ribellione per rovesciare i Romani».
Anche sulla fine dell’Iscariota il Vangelo di Archer sfida la tradizione. Qui Giuda non si impicca ma va a vivere da eremita e morirà crocifisso dai soldati romani di Tito. «I dubbi sulla storicità del suicidio dell’Iscariota sono molti. Intanto è sempre e solo Matteo a riferirci del suicidio. E quando Luca, negli Atti degli Apostoli, parla della morte di Giuda, ci dice che non è avvenuta per mano propria». Il Vangelo raccontato da Beniamino forse non riuscirà a riabilitare Giuda «ma potrà almeno spingere la gente a leggere con occhi nuovi i Vangeli canonici», aggiunge lo scrittore inglese. Che, guarda un po’, ha alle spalle proprio una storia di “riabilitazione”: ex deputato conservatore finito in carcere qualche anno fa per uno scandalo che mescolava sesso e politica, Archer si è reinventato una carriera come autore di thriller di successo. «E’ vero - dice -, nessuno scivola via dalle mani del Signore».

Il Messaggero, 8 aprile 2007

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