30 giugno 2008

Paolo, un testimone che continua ad affascinare (Picucci)


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Un testimone che continua ad affascinare

Studiosi internazionali a confronto sulla formazione e la personalità dell’Apostolo delle genti. E sulla sua eredità

DI EGIDIO PICUCCI

Undici volumi, 143 interventi, 3.120 pagine. A tanto ammonta il contributo dato agli studiosi dai Simposi che l’Istituto Francescano di Spiritualità della Pontificia Università Antonianum di Roma organizza da 19 anni con l’associazione culturale Eteria sull’apostolo Paolo a Tarso (Turchia), dov’egli nacque con molta probabilità tra il 7 e il 10. L’ultimo si è tenuto dal 22 al 25 giugno ed è stato promosso insieme al Centro di dialogo interculturale e interreligioso « Don Andrea Santoro » . Tema della dodicesima edizione del Simposio: « Paolo di Tarso: storia, archeologia, ricezione » .
L’appuntamento è stato animato da studiosi provenienti dall’Italia, dalla Svizzera, dalla Germania, dalla Turchia, dalla Grecia e dalla Spagna. La scelta del luogo è stata ritenuta fondamentale fin dagli inizi per capire meglio la formazione e la personalità di Paolo, che a Tarso ha respirato – secondo quanto Strabone dice a proposito dei suoi abitanti – « lo zelo per la filosofia e per ogni altra cultura generale in maniera superiore a quella che si aveva in Alessandria, Atene e qualsiasi altro luogo in cui sorgono scuole di filosofia » . Se l’ambiente non spiega fino in fondo il genio di Paolo, aiuta tuttavia a capire la sua padronanza del greco ( che dovette essere la sua lingua madre), il suo ministero svolto principalmente nelle città e non nelle campagne, tra ceti socialmente elevati a cui si rivolgeva adattando il messaggio cristiano alla loro preparazione culturale. Di ambiente si doveva parlare, perciò, anche nel Simposio di quest’anno perché la vera Tarso, come tutte le città antiche, sta riemergendo lentamente dai dieci metri di profondità in cui tempo e uomini l’hanno sepolta. Da lì sono venuti gradatamente alla luce tratti di una via che andava verso la catena del Tauro e un ponte che, proprio in mezzo alla città, attraversava il Kidnos. Paolo potrebbe avervi camminato più volte e con passo frettoloso, se è vero che nella « sua » Asia percorse, tra persecuzioni e rischi, ma con fiato agevole, gran parte dei 16 mila chilometri coperti per muoversi tra Lidia, Panfilia, Licaonia e Galazia. Dalle relazioni sull’archeologia si è passati a quelle sulla storia « sostando » nei porti asiatici da cui l’apostolo salpò o sbarcò nei tre viaggi che ne fecero un viandante tra due mondi. L’Anno Paolino, comunque, imponeva che ci si fermasse di più sugli scritti e sulla loro ricezione nei secoli. Ci si è voluto chiedere, insomma, se quel certo numero di Lettere che Paolo ha dettato o scritto, visto che la perdita di velocità di una missiva comporta anche una diminuzione di interesse, possono avere come destinatari gli uomini di oggi. Se il mittente è scomparso da secoli; se le notizie, la lingua, i modi di esprimersi e di pensare sono inevitabilmente datati; se le condizioni sociali e culturali non sono più quelle di allora; se il terzo millennio ci sta travolgendo sotto tsunami di inquinamenti mortali, come quelle Lettere possono resistere e parlare? Certo che lo possono – si è detto durante le relazioni e le discussioni – perché Paolo ha ancorato il suo pensiero non a un’idea, ma a un Uomo ucciso e risorto di cui fece esperienza nella propria carne innamorandosene.
Partendo da questa realtà, è stato facile per gli oratori parlare dell’attualità di Paolo fondata su alcune sue esperienze mistiche, come il « viaggio celeste » ; sulla validità delle sue chiese domestiche; sulle geniali esegesi che i Padri hanno fatto dei suoi scritti e alle quali i biblisti ricorrono ancora; sull’esemplare ricezione che ne hanno fatto alcuni studiosi di rilievo ( Tommaso Moro, Erasmo, Balthasar), e perfino sul tentativo di integrare, ai tempi di Manuele Comneno, cristianesimo e islam.
Negli Atti si legge che l’avvocato ebreo Tertullo, in veste di pubblico ministero, nell’anno 58 disse: « Abbiamo scoperto che quest’uomo è una peste » , dando di Paolo una delle definizioni meno convenzionali. Il Simposio di quest’anno era stato inaugurato domenica scorsa dal cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani che, di fatto, aveva aperto in Turchia ( con una settimana di anticipo rispetto a Roma) l’Anno Paolino nella terra
Ha ancorato il suo pensiero non a un’idea ma a un Uomo ucciso e risorto. Di cui fece esperienza nella sua carne innamorandosene dell’Apostolo delle genti.
Il saluto di benvenuto era stato affidato a monsignor Luigi Padovese, vicario apostolico d’Anatolia. Da sottolineare che i Simposi che si organizzano in Turchia e che si chiudono sempre ad Antiochia, dov’è viva la memoria di Pietro ( più di una volta egli invitò i cristiani a leggere le missive scritte da Paolo « secondo la sapienza che gli è stata data » ), pur non avendo risonanze planetarie, intendono far conoscere anche ai laici la grandezza, la sapienza di un uomo che disse parole su cui meditare, come si legge nella seconda Lettera ai Corinzi: « Noi siamo davanti a Dio il profumo di Cristo fra quelli che si salvano e quelli che si perdono; per gli uni odore per la morte, e per gli altri odore di vita per la vita » . Vita risorta, naturalmente.

© Copyright Avvenire, 29 giugno 2008

1 commento:

mariateresa ha detto...

Ho comprato la rivista Paulus ch e è assai godibile nel formato. Ecco, se devo essere sincera si può fare di più, ma è un mio parere personalissimo. La maggior Paolo sa molto poco e quindi i vari box di tipo divulgativo vanno bene, altri articoli invece, magari divisi per il numero e le volte che un termine viene proninciato nelle lettere, sono un po'indigesti.
La lettera ai Romani, che è l'oggetto del primo numero, ne viene fuori un po' a fatica. Ma
aspetto i numeri successivi.
Oltre a difendere o illustrare le proprie posizioni, secondo me gli estensori dovrebbero considerare che molti sanno poco. Molto poco.