25 giugno 2008
"Caso Orlandi-Marcinkus": un articolo del Foglio del 2000 riproposto oggi e mai così attuale...
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Concittadino di Al Capone e banchiere spericolato (accuse anche per la morte di Luciani). I soldi per Walesa
All’interno di una serie intitolata “Quei farabutti che hanno ben meritato”, il 5 gennaio del 2000 pubblicammo questo articolo sull’ex presidente dell’Istituto opere religiose (Ior), l’arcivescovo americano Paul Marcinkus. Ancora attuale.
Paul Casimir Marcinkus, detto “Chink”, l’arcivescovo che fu presidente dell’Istituto opere di religione e che la magistratura italiana tentò invano di rinchiudere dietro le sbarre per il crac del Banco Ambrosiano, non ha mai avuto “le phisique du rôle” del pio sacerdote. La sua specialità sono sempre state le acrobazie finanziarie, meglio se oscure e condotte in compagnia di non limpidissimi personaggi; le malelingue l’hanno persino accusato di avere un’amante e di aver complottato per avvelenare papa Luciani. Accuse un po’ troppo grosse. Di certo, più che Madonna Povertà amava la bella vita; e ha lasciato un bel buco nelle casse del Vaticano. Oggi, a 77 anni, vive ritirato in Arizona, con funzioni di viceparroco. Anche se non è raro incontrarlo in quella Roma che lo vide potentissimo e accanito giocatore di golf, la Roma dove abitano ancora molti amici e a lui piace d’estate cenare, in maniche corte, alla “Campana”.
Nato nel 1922 a Cicero, il sobborgo di Chicago noto per aver dato i natali ad Al Capone, da una famiglia di immigrati lituani, Paul Casimir aveva cinque fratelli. Il padre si guadagnava da vivere pulendo i vetri degli uffici. La vocazione si manifesta abbastanza presto: a tredici anni si iscrive a una scuola della diocesi e a diciotto si trasferisce nel seminario maggiore di St. Mary of the Lake a Munderlein, in Illinois, dove studia filosofia e teologia. Nel ’47 riceve l’ordinazione sacerdotale e viene inviato in una parrocchia di un quartiere nella parte sudoccidentale di Chicago, in missione fra le giovani famiglie. Appena un anno dopo, Marcinkus viene trasferito al Tribunale diocesano e due anni dopo lo troviamo già a Roma per studiare diritto canonico. Nel 1952, mentre si trovava a Londra per una ricerca, fu raggiunto da una lettera del Vaticano che lo invitava a trascorrere due mesi presso la sezione inglese della Segreteria di Stato. I professori della Gregoriana avevano infatti segnalato il nome di don Paul al factotum di Pio XII, monsignor Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI. Quel periodo di prova divenne definitivo. E Marcinkus si trasformò a poco a poco nel punto di riferimento romano per tutti gli americani. Durante il Concilio Vaticano II lo troviamo al lavoro per garantire i prezzi migliori per i voli transoceanici dei vescovi e la loro sistemazione negli alberghi romani. Nel ’63 fa costruire Villa Stritch (dedicata a un cardinale di Chicago), un complesso da un milione di dollari progettato per ospitare i prelati statunitensi, e ne diviene il primo rettore.
Il tour operator di Dio
Ma la sua vera carriera coincide con i primi viaggi apostolici del Papa. Nel 1964 Paolo VI, che Marcinkus aveva aiutato a studiare inglese, gli chiede di organizzare la trasferta in India per il Congresso eucaristico. Le sue capacità organizzative si rivelano formidabili, tanto che da allora dirigerà ogni viaggio del Pontefice, da New York a Fatima, dall’Uganda al Cile. Tutti cominciano a chiamarlo “l’uomo del Papa”, mentre la sua preoccupazione per l’incolumità fisica di Paolo VI gli fa guadagnare il soprannome di “gorilla”. Un nomignolo azzeccato, date l’imponente stazza e la folta peluria del prelato americano. Nel 1969 il Papa lo consacra vescovo e lo trasferisce alla guida allo Ior, pur non avendo Marcinkus alcuna competenza in fatto di banche e finanza. Passano pochi anni, e nel 1972 il suo nome viene tirato in ballo nello scandalo dei titoli azionari falsificati che il Vaticano avrebbe acquistato dalla mafia. L’indagine sulla “Vatican connection” è affidata all’Fbi. Gli agenti entrano nelle sacre stanze e interrogano i più stretti collaboratori dell’allora Sostituto alla Segreteria di Stato, monsignor Giovanni Benelli. Che da allora diventerà avversario di Marcinkus. Il prelato di Cicero viene prosciolto dall’accusa, ma quella data segna l’inizio della sua cattiva fama.
Sono gli anni in cui, grazie a potenti appoggi, Michele Sindona ha facile accesso al Vaticano. Così come il suo “allievo” Roberto Calvi, discusso presidente del Banco Ambrosiano, con cui lo Ior di Marcinkus entra presto in affari. Con l’aumentare del suo potere, “Chink” vede crescere anche il numero dei suoi nemici.
Profondamente indignato per il modo d’agire un po’ troppo disinvolto del presidente dello Ior è ad esempio il Patriarca di Venezia Albino Luciani, che a metà degli anni Settanta ebbe dei contrasti con Marcinkus relativi al Banco San Marco e alla cessione della Banca Cattolica del Veneto al Banco Ambrosiano. Si dice che giunto a Roma per chiedere spiegazioni di un’operazione condotta senza che i vescovi veneti fossero stati avvisati, Luciani sia stato messo alla porta in modi piuttosto spicci. Monsignor Marcinkus smentirà la circostanza. Sta di fatto che, secondo molte autorevoli fonti, subito dopo l’elezione, papa Luciani manifestò l’intenzione di rimuovere il prelato americano dal vertice dello Ior “perché un vescovo non deve dirigere una banca”.Certe operazioni spregiudicate dell’Ambrosiano erano ben note ancor prima dell’arrivo al Soglio di Karol Wojtyla. Ma Giovanni Paolo II prende in simpatia Marcinkus, lo promuove arcivescovo (è il 1981) e lo nomina propresidente della Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano. Oltre che di finanze, il vescovo statunitense si occupa della vita spicciola dello Stato più piccolo del mondo. Operai e maestranze lo ricordano ancora con grande affetto: era capace di arrampicarsi sulle impalcature per portare qualcosa da bere ai muratori, sensibile alle loro esigenze, pronto ad aiutare chiunque fosse in difficoltà. Così dicono i pochi suoi agiografi.
Finanza off-shore, Frati neri e magistrati
Lo stesso non si può dire per quanto riguarda le operazioni finanziarie. Le carte e i documenti spulciati dai liquidatori dell’Ambrosiano e dai magistrati descrivono transazioni per centinaia di milioni di dollari dalle società fantasma di Calvi allo Ior. Per 11 anni la banca vaticana, grazie al suo status “offshore” fece da intermediaria per le operazioni del “banchiere di Dio”, che nel 1982 morirà impiccato sotto il ponte dei Frati neri nel cuore di Londra. A inguaiare l’intraprendente arcivescovo furono le famose lettere di patronage, concesse dallo Ior a Roberto Calvi nel momento in cui l’impero di scatole cinesi dell’Ambrosiano cominciava a sfaldarsi. Con quelle lettere, la banca vaticana confermava che “direttamente o indirettamente” esercitava il controllo su Manic. S.A. (Lussemburgo), Astolfine S.A. (Panama), Nordeurop Establishment (Liechtenstein), U.T.C. United Trading Corporation (Panama), Erin S.A (Panama), Bellatrix S.A (Panama), Belrosa S.A (Panama), Starfield S.A (Panama). Sono la “prova” delle colpe di Marcinkus, secondo gli inquirenti che chiederanno il suo arresto per concorso in bancarotta fraudolenta, mai concesso dal Vaticano. In realtà, esisteva anche un’altra lettera, a firma di Calvi, che sollevava la banca della Santa Sede da ogni responsabilità.
Ingenuo e desideroso di aiutare un compagno d’affari che gli offriva weekend di lavoro alle Bahamas o complice di operazioni sporche? Nessuno saprà mai fino in fondo la verità. E sebbene il Vaticano abbia continuato a negare qualsiasi malversazione, il cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato di Sua Santità, negoziò con il governo italiano un accordo in base al quale lo Ior avrebbe versato la bellezza di 244 milioni di dollari ai creditori dell’Ambrosiano, come risarcimento per ogni pretesa presente o futura. E il pagamento, checchè ne dicano i vertici della Santa Sede, equivale a un’ammissione di colpa. La somma fu versata anche grazie all’aiuto dei banchieri dell’Opus Dei, la quale si vedrà riconoscere lo statuto di Prelatura personale del Papa nel nuovo codice di Diritto canonico, promulgato di lì a poco. L’Anno Santo straordinario del 1983, indetto da Papa Wojtyla, servirà anche a rimpinguare le casseforti vaticane dopo la bufera. Non tutto è chiaro nei passaggi che portano alla liquidazione del Banco dopo il crac, così come molte zone d’ombra rimangono sulle circostanze della morte di Calvi. Giulio Andreotti, ad esempio, ha più volte manifestato la sua sorpresa per la rapidità con cui il più grande gruppo bancario cattolico venne distrutto.
Dal primo Giovanni Paolo al secondo (veleni)
Paul Casimir Marcinkus, nonostante le bufere, è rimasto alla guida dello Ior fino al 1989. Giovanni Paolo II lo ha protetto e difeso, anche se non l’ha premiato con la porpora. Oltre ai servigi resi nell’organizzazione dei viaggi, di cui Marcinkus è stato per anni indiscusso protagonista, un ruolo decisivo possono averlo giocato, secondo alcuni esegeti dell’Ottantanove, i finanziamenti a Solidarnosc. Senza i suoi denari, quale che ne fosse la provenienza, la Storia sarebbe forse andata diversamente. Calvi aveva più volte sostenuto di aver avuto una parte nell’aiuto finanziario al sindacato polacco di Lech Walesa che con la sua attività segnò l’inizio della fine del comunismo. In una bobina registrata segretamente da Flavio Carboni si sente la voce di Calvi che dice: “Io gli ho detto sul muso a Marcinkus: guardi che se per caso risulta da qualche contabile che gira per New York che manda soldi a Solidarnosc, qui fra un po’ non c’è più pietra su pietra… Tanto per parlarci chiaro”. I finanziamenti sarebbero stati gestiti con operazioni estero su estero e incassati da un prete polacco residente a Roma, che li faceva pervenire al sindacato. E traccia di una “operazione Polonia” è rimasta anche in un verbale del consiglio d’amministrazione del Banco Ambrosiano. Il presidente dello Ior smentirà di essere stato a conoscenza dell’operazione: “Calvi non mi ha mai parlato di Solidarnosc. Se ha dato qualcosa a Solidarnosc, va bene, ma non ne ho mai saputo niente”. Di certo, i soldi guadagnati da Marcinkus con gli investimenti e le compravendite di proprietà sono serviti a finanziare “opere di religione” e sono stati utilizzati per costruire chiese.
Nonostante le frequenti voci e i numerosi pettegolezzi messi in giro dai suoi tanti nemici all’interno della mura vaticane, nulla è mai stato accertato contro Marcinkus, escluse, ovviamente, le sue acrobazie finanziarie. Le dicerie su una sua presunta relazione con una bella donna sposata, ex miss Francia, si sono rivelate del tutto infondate e frutto della malevolenza di prelati invidiosi del “Chink”. Così come si rivelerà del tutto priva di fondamento l’accusa rivoltagli nel 1984 dal giornalista inglese David Yallop, autore del bestseller “In God’s name”. Nel libro si sostiene la tesi dell’omicidio di Papa Luciani, che sarebbe stato assassinato anche da Marcinkus, in combutta con l’allora Segretario di Stato Jean Villot e con il discusso arcivescovo di Chicago John Patrick Cody. Un altro prelato americano caduto in disgrazia per la cattiva gestione delle finanze ecclesiastiche.
© Copyright Il Foglio, 25 giugno 2008 consultabile online anche qui.
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10 commenti:
Non conosco l'autore di questo articolo. Mi sembra però che riporti affermazioni più volte smentite come per esempio che l'Opus Dei sia intervenuto al salvataggio dello IOR ricevedno in cambio la concessione della Prelatura. Oltre ad essere un'affermazione senza fondamento è piuttosto offensiva nei riguardi di persoen come Giovanni Paolo II, l'allora cardinal Ratzinger, ecc.
Il cardinale Ratzinger?
E che c'azzecca, se mi si passa il francesismo?
R.
Ho guardato i tg stasera, ma molto approssivamente, come accade nella mia rumorosa famiglia, la sera. Mi sembra, soprattutto sul TG3, si sia passati come argomento , da mandanti vaticani di assassinio nel caso Orlandi, più prudentemente alla sepoltura strana a san Apollinare del De Pedis (vedo che su Repubblica ci sono le interviste furenti dei fedeli che non vogliono più il cadavere. E questo, ve lo dico sinceramente, è un po' troppo per il mio stomaco. Compatitemi.Un morto è un morto.). Per un anticlericale idrofobo, la cosa non cambia. Ma in termini normali, mi sembra che molte creste si siano abbassate. Sbaglio? Io sono molto ottimista di natura, come ben sapete.
Sembra , a me tapina , che un grande Vecchio pensi: "tutto fa brodo". Anche le storie bislache, basta che si immagini un mondo mostruoso, come nel libro di Gide "I sotterranei del Vaticano". Ho una pessima opinione di Gide perchè , solo per bassezza umana, stroncò i libri di Proust.E lo ammise lui stesso.
Sono uno studente di teologia dalla Slovenia e conosco alcuni "retroscena" da articoli di giornali stranieri. Credo che l'articolo non sia tanto infondato ma riporta fatti verificabili e storicamente esatti. Basta collegare gli spunti offerti e...
l'inchiesta è già finita perchè è impossibile accusare marcinkus senza tirare in ballo direttamente o di striscio i pontefici che allora regnavano e cioè paolo vi e giovanni paolo ii.
onore a luciani,l'unico che ci vide lungo.
onore a ratzinger specchio assoluto di moralità.
quanta sporcizia c'è nella chiesa.
ricordate la via crucis 2005?
Fatevi una risata leggendo ma missiva di una signora a Augias.
Secondo lei Ratzinger non ha più remore e è tornato il potere temporale.
Evidentemente la signora ha scritto la lettera prima di leggere le ultime su Marcinkus che non sono ultime ma che almeno danno un'idea più chiaro di quanto avveniva in Vaticano negli anni settanta e ottanta.
Da Solidarnosc al clan della Magliana tutti i segreti del banchiere di Dio
Repubblica — 07 ottobre 2005 pagina 29 sezione: CRONACA
Ventitrè anni dopo la tragica morte, impiccato sotto il Ponte di Frati Neri a Londra, il fantasma di Roberto Calvi, il "banchiere di Dio", torna nell' aula giudiziaria di Rebibbia, dove si svolge il processo contro i presunti assassini. Quel morto, dopo quasi un quarto di secolo, non ha pace, mentre le spoglie funebri di Enrico De Pedis, detto Renatino, boss della Banda della Magliana assassinato nel 1990 a Roma, riposano in pace nella prestigiosa cripta di Sant' Apollinare. Renatino, tra i pochi privilegiati nella storia della Chiesa romana, giace vicino al grande musicista del Seicento Giacomo Carissimi, che colà fu seppellito per «il suo alto magistero a servizio della Chiesa e dell' arte». L' anima - se c' è - del "Banchiere di Dio", che fece grande e distrusse il Banco Ambrosiano in un' orgia dissipatoria di migliaia di miliardi di lire, nella quale ebbe complici alti prelati e politici, vaga invece tra le aule di tribunale come Calvi Roberto. Un nome ormai impronunciabile nel Torrione vaticano di Niccolò V, dove ha sede lo Ior, l' Istituto per le Opere di Religione. Una banca, ma una banca speciale, forse unica al mondo, perché da un lato è una banca "off shore", che opera nella più totale extraterritorialità, dall' altra è "on shore", nel senso che, chi è adeguatamente presentato - sono pochi, ma contano molto - può entrarvi portando una valigia piena di euro o di dollari di qualunque provenienza e uscirne, senza ricevuta, con la certezza che il suo denaro andrà dove deve andare, lasciando poche tracce. è qui, all' ombra del Torrione di Niccolò V e della tormentata finanza vaticana - squassata fin da Sindona da alcuni tra i più gravi scandali finanziari che il paese ricordi - che s' intrecciano le vite del grande banchiere cattolico, che si vantava - a ragione - di aver concretamente aiutato il Papa nelle operazioni finanziarie pro-Solidarnosc in Polonia, e la Banda della Magliana: De Pedis, Diotallevi, Balducci, Proietti, Fabiola Moretti, Danilo Abbruciati, il killer freddato nel 1982 durante il fallito attentato a Roberto Rosone, vicepresidente di Calvi al Banco Ambrosiano. La holding criminal-politica, dedita a scommesse clandestine, usura, falsificazione di titoli di credito, droga e riciclaggio, aveva esordito alla grande sul mercato del crimine con i rapimenti Bulgari e Ortolani, il figlio del defunto cameriere del Papa Umberto Ortolani, che con Licio Gelli era a capo della Loggia P2 e poi era entrata in qualche modo in tutte le più oscure vicende nazionali. Compreso l' omicidio di Calvi «al fine di punirlo - sostiene l' accusa nel processo che si sta aprendo - per essersi impadronito di notevoli quantitativi di denaro...; conseguire l' impunità, ottenere e conservare il profitto dei crimini commessi..., impedire a Calvi di esercitare il potere ricattatorio nei confronti dei referenti politico - istituzionali della massoneria, della Loggia P2 e dello Ior, con i quali aveva gestito investimenti e finanziamenti di cospicue somme di denaro». Lo Ior: Calvi sapeva benissimo che l' immenso buco delle consociate estere che facevano capo all' Ambrosiano, un miliardo e 200 milioni di dollari di allora, era in realtà della banca del Vaticano, e andava ripetendo: «I preti saranno la nostra fine. Loro credono che tanto, se uno muore, sopravvive l' anima e, dunque, non è un gran male». Quando vide che di lì non veniva l' aiuto dovuto, cominciò a lavorare rischiosamente sulle presunte contrapposizioni interne alla Santa Sede, fino ad arrivare a scrivere direttamente al Papa. Dei giorni del disastro si trova una ricca documentazione nel libro «Poteri forti-La morte di Calvi e le misteriose trame della finanza internazionale» del giornalista Ferruccio Pinotti, di imminente uscita per Rizzoli. Il tentativo del banchiere, ormai disperato, era di estromettere monsignor Marcinkus, considerato esponente dell' ala massonico-curiale, dalla presidenza dello Ior, di affidare la banca papalina all' Opus Dei e di far rilevare dallo Ior una quota societaria del 10-15 per cento del banco Ambrosiano per 1.200 milioni di dollari. Ma l' uomo è ormai bruciato e comincia - anzi continua - a muoversi disordinatamente e pericolosamente. Il 30 maggio 1982 scrive al cardinal Palazzini, considerato uomo dell' Opus Dei: «Eminenza reverendissima.... la credibilità morale ed economica del Vaticano è già gravemente compromessa; come mai nessuno vuole intervenire? ... all' interno del Vaticano esiste un complotto che, in connivenza con le forze laiche e anticlericali nazionali e internazionali, mira a modificare l' attuale assetto del potere all' interno della Chiesa stessa. Che il Cardinale Casaroli e Monsignor Silvestrini siano complici e soci è provato, tra le altre cose, da una serie di tangenti che si spartivano per operazioni effettuate da Sindona; e io stesso potrò indicare, se Lei lo desidera, le circostanze in cui avvenivano tali spartizioni, entità delle somme e numeri dei conti correnti! Ma a cosa mirano costoro? Del resto, molti finanziamenti e tangenti concessi dal Banco Ambrosiano a partiti e uomini politici hanno origine su loro indicazione. Eppure costoro sanno che io so...». Un linguaggio che non si saprebbe definire se non ricattatorio. Non molto più temperato nella lettera che il figlio di Calvi ha trovato nell' archivio paterno e consegnata a Pinotti, destinata al Papa con data 5 giugno 1982: «Santità, sono stato io ad addossarmi il pesante fardello degli errori nonché delle colpe commesse dagli attuali e precedenti rappresentanti dello Ior, comprese le malefatte di Sindona....; sono stato io che, su preciso incarico dei Suoi autorevoli rappresentanti, ho disposto cospicui finanziamenti in favore di molti Paesi e associazioni politico-religiose dell' Est e dell' Ovest; sono stato io che, di concerto con autorità vaticane, ho coordinato in tutto il Centro-Sudamerica la creazione di numerose entità bancarie, soprattutto allo scopo di contrastare la penetrazione e l' espandersi di ideologie filomarxiste; e sono io infine che oggi vengo tradito e abbandonato proprio da queste stesse autorità...». Poi giù sul nemico Casaroli: «... non m' interessa soffermarmi sulle tante chiacchiere che si fanno su alcuni prelati e in particolare sulla vita privata del segretario di Stato cardinale Casaroli (....), ma m' interessa moltissimo segnalarLe il buon rapporto che lega quest' ultimo ad ambienti e personaggi notoriamente anticlericali, comunisti e filocomunisti, come quello del ministro democristiano Nino Andreatta, col quale sembra abbia trovato l' accordo per la distruzione e spartizione del Gruppo Ambrosiano». Un Gruppo pieno di buchi, ma con alcuni preziosissimi gioielli: la Rizzoli-Corriere della Sera (che non manca mai nelle grandi partite) la Toro Assicurazioni, la Banca Cattolica del Veneto, il Credito Varesino. Nessuno saprà mai se Giovanni Paolo II lesse l' ultima lettera del "Banchiere di Dio". Tredici giorni dopo Roberto Calvi fu trovato impiccato sotto il Ponte dei Frati neri. Di certo fu lo stesso Papa ad autorizzare l' allora segretario dello Ior, monsignor Donato De Bonis, a firmare l' assegno di 242 milioni di dollari con cui il Vaticano risarcì in parte il vecchio Ambrosiano. Del tesoro del Banco (un paio di migliaia di miliardi?) da allora non c' è traccia. De Pedis riposa a Sant' Apollinare perché - dice il priore monsignor Piero Vergari - era buono, portava il vino ai poveri. E il fantasma del "Banchiere di Dio" torna in un' aula di Tribunale 23 anni dopo. - ALBERTO STATERA
come vedete tutto era già noto.
manca solo un'equazione che permetta di collegare marcinkus a chi stava più in alto.
Paul Marcinkus, 'el banquero de Dios'
traduzione in italiano:
Marcinkus ''Il banchiere di Dio''
non solo la scomparsa della Orlandi
COSÌ UNDICI ANNI FA IL FOGLIO SCRIVEVA DI EMANUELA ORLANDI E DI UN MISTER X CHE "PORTA LA TONACA"
Dal Foglio del 9 ottobre 1997
Sul giallo della scomparsa di Emanuela Orlandi, la giovane figlia di un messo pontificio svanita nel nulla la sera del 22 giugno 1983 nel centro di Roma, il Vaticano non ha offerto tutta la collaborazione necessaria alle indagini. Ne sono convinti i magistrati che da quattordici anni cercano di far luce su un mistero complesso fatto di messaggi trasversali, depistaggi e inutili tentativi di mediazione.
Mentre la prima inchiesta si avvia verso l’archiviazione e una seconda, forse più scottante, sta per essere avviata, dalle carte dei giudici emergono particolari inquietanti. Uscita dalla scuola di musica in un caldo pomeriggio di giugno e scomparsa nel centralissimo corso Rinascimento, praticamente davanti al Senato, la figlia quindicenne del dipendente vaticano non ha mai fatto ritorno a casa.
La segreteria di Stato della Santa Sede aveva messo a disposizione una linea telefonica riservata grazie alla quale i rapitori potevano contattare direttamente il cardinale Agostino Casaroli. Lo stesso Giovanni Paolo II chiese per otto volte pubblicamente il rilascio di Emanuela. I messaggi e le telefonate si erano susseguiti: alcuni misteriosi interlocutori avevano chiesto la liberazione di Ali Agca in cambio della vita della giovane e avevano collegato la scomparsa di Emanuela con quella di un’altra ragazza romana, Mirella Gregori, svanita nel nulla il 7 maggio dell’83.
Sono gli anni dell’attentato al Papa, della nascita di Solidarnosc in Polonia, del crack del Banco Ambrosiano, della vicenda di monsignor Paul Marcinkus al vertice dello Ior, della guerra delle Falkland. Per gli inquirenti l’ipotesi più accreditata è che dietro le quinte vi sia stato qualcuno di molto potente, in grado di mandare precisi segnali oltretevere per cercare di condizionare in qualche modo la politica della Santa Sede: “Da parte degli interlocutori”, ha affermato in un’intervista il giudice istruttore Adele Rando, “l’importante era far arrivare dei segnali, facendo capire che essi erano a conoscenza di certi particolari sulla vita privata delle due ragazze”. Il padre di Emanuela, Ercole Orlandi, nel maggio 1992 si era detto addirittura convinto dell’esistenza di un basista in Vaticano.
Le perplessità del prefetto Parisi. “L’intera vicenda Orlandi fu caratterizzata da una costante riservatezza da parte della Santa Sede che, pur disponendo di contatti telefonici, e probabilmente diversi, non rese partecipi dei contenuti dei suoi rapporti la magistratura e le autorità di polizia”. Così si esprimeva il 9 febbraio 1994 il prefetto Vincenzo Parisi (l’ex capo della polizia deceduto tre anni fa) di fronte al giudice Rando.
La deposizione di Parisi, all’epoca della scomparsa di Emanuela vicedirettore del Sisde, è contenuta nella richiesta di proscioglimento, avanzata dal sostituto procuratore generale della Corte d’appello di Roma, Giovanni Malerba, di alcuni esponenti dei “Lupi grigi” indiziati nel corso di questi anni di concorso in sequestro di persona. “Ritengo che le ricerche conoscitive sulla vicenda”, disse ancora Parisi nel ’94, “siano state viziate proprio per il diaframma frapposto tra lo Stato italiano e la Santa Sede.
L’intero svolgimento del caso fu caratterizzafini di palese depistaggio, lasciando nel dubbio gli operatori. Intendo dire che non è ancora agevole stabilire se la scomparsa della ragazza e le vicende che ne sono seguite fossero collegate da un unico nesso, o se invece l’attività destabilizzante si fosse sovrapposta alla scomparsa della ragazza, avvenuta, eventualmente, in modo autonomo”.
Riportando ampi stralci della deposizione del prefetto, il pg Malerba sottolinea: “Le riferite valutazioni circa il riserbo che ha costantemente caratterizzato la condotta delle autorità vaticane, lungi dal costituire isolate e personali opinioni del teste (cioè di Parisi, ndr.), trovano concreto supporto negli atti della formale istruzione”. Al sostituto procuratore generale “non risulta agevole comprendere le ragioni” della condotta assunta dalla Santa Sede. E il fratello di Emanuela, Pietro Orlandi, due giorni fa ha affermato: “Il Vaticano non ha aiutato una sua cittadina”.
Tre rogatorie senza risposta. Il pg Malerba offre anche qualche esempio di questa scarsa collaborazione e descrive le tre rogatorie “richieste ed espletate presso la Santa Sede”, il 13 novembre 1986, il 2 marzo 1994 e, infine, il 7 marzo 1995. Nella prima il giudice istruttore chiedeva al Vaticano “la trasmissione di ogni utile notizia” e in particolare “se effettivamente siano pervenuti nello Stato della Città del Vaticano, o siano stati indirizzati alle autorità del medesimo, messaggi telefonici o scritti riferentisi alla scomparsa delle due giovani”.
La Santa Sede rispose per via epistolare precisando che tutte le notizie utili erano “state trasmesse a suo tempo al pm dottor Domenico Sica”. Malerba però osserva che “di tali notizie lo scrivente non rinviene traccia in atti”. Nella seconda rogatoria, il giudice istruttore Rando puntò molto in alto e chiese di poter ascoltare direttamente i cardinali Agostino Casaroli e Angelo Sodano (cioè l’ex segretario di Stato e l’attuale segretario di Stato), l’ex assessore alla segreteria di Stato e attuale sostituto Giovanni Battista Re, l’ex reggente e attuale prefetto della Casa pontificia Dino Monduzzi e infine l’ex sostituto (oggi cardinale) Eduardo Martinez Somalo, “che aveva seguito il tentativo di stabilire un contatto con i presunti rapitori della Orlandi”.
Il Vaticano, al contrario di quanto dice il portavoce del Papa Joaquin Navarro Valls, secondo il quale la Santa Sede ha sempre fornito sul caso il massimo della collaborazione possibile, non accolse la richiesta e, appellandosi a una “normativa interna” impedì che gli alti prelati parlassero con il giudice istruttore. Decisione formalmente ineccepibile, dato che la Città del Vaticano è uno Stato straniero, ma che ha suscitato qualche perplessità.
Per quanto riguarda i documenti, da oltretevere arrivarono soltanto carte che Malerba definisce prive di utilità. Anche alla terza e ultima rogatoria, quella del marzo ’95, la Santa Sede rispose negando la possibilità al giudice istruttore di ascoltare i testimoni. Perché questo muro di gomma? Perché questa scarsa collaborazione? E, soprattutto, perché il caso Orlandi, a distanza di quattordici anni, è ancora in grado di tenere sulle corde l’establishment vaticano? Il sostituto procuratore generale, prosciogliendo dalle accuse i Lupi grigi e Ali Agca, a proposito dell’atteggiamento tenuto dalle autorità della Santa Sede, osserva: “Se tale riserbo era doveroso nei confronti dei mass media, non altrettanto può apparire nei confronti degli inquirenti”.
Una pista che porta in Vaticano. “Ci sono elementi nell’istruttoria che fanno molto pensare… un solco misterioso che porta molto in alto… Una pista che passando attraverso le mura vaticane potrebbe condurre vicino alla soluzione del mistero”. Parola di Ilario Martella, il magistrato che ha condotto fino al 1990 le indagini sul caso Orlandi. Il caso Orlandi in questi anni è stato fatto riesplodere ciclicamente: se ne è parlato l’ultima volta diffusamente nel marzo 1995, quando sono finiti in prigione un sacerdote foggiano, don Tonino Intiso, e altri due loschi personaggi. Questi ultimi avevano chiesto, tramite l’ingenuo sacerdote, un riscatto miliardario in cambio di un contatto con i presunti rapitori di Emanuela, che sarebbe ancora viva. Tutto falso. Si è trattato soltanto di un tentativo di estorsione. Resta da spiegare perché, per circa un anno, alcune persone del Vaticano hanno tenuto in piedi una trattativa con i ricattatori senza avvertire la polizia italiana.
L’uomo che in questi tredici anni ha seguito passo dopo passo le indagini sul caso è Nicola Cavaliere, che all’epoca dei fatti lavorava alla squadra mobile di Roma. Il dirigente di polizia ha invitato a tener presente il contesto in cui il rapimento Orlandi è maturato, quello dei “primi anni Ottanta, un periodo in cui sono accaduti, o stavano per accadere, importanti avvenimenti sulla scena internazionale” e ha sempre smentito l’ipotesi che la scomparsa di Emanuela fosse dovuta a una fuga d’amore o a un allontanamento volontario da casa della ragazza.
“Non credo proprio che sia fuggita volontariamente”, ha detto, “e non esiste alcuna prova certa della sua esistenza in vita fin dal primo momento successivo alla scomparsa, così come, d’altra parte, non esiste alcuna prova certa della sua morte”. Cavaliere ritiene plausibile l’ipotesi del ricatto al Vaticano: “Se il caso si fosse risolto positivamente o tragicamente, saremmo arrivati comunque alla verità. Invece questa incertezza è stata voluta. Gli organizzatori hanno probabilmente ancora oggi interesse a tirare fuori la vicenda in determinati momenti per tenere sulle corde certi ambienti. Si vuole che qualcuno resti sempre allertato sul caso, nonostante sia passato così tanto tempo”.
Mister X porta la tonaca. Una traccia importante per comprendere il contesto in cui si è sviluppato il caso è rappresentata da un documento del Sisde, dal quale risulta che il personaggio che ha gestito il sequestro e ha inviato messaggi al Vaticano potrebbe essere un monsignore americano. Nel dossier, preparato da un’equipe di analisti che hanno avuto in mano gli originali delle lettere, vengono analizzati i messaggi che “furono indicati in un primo momento come redatti da un soggetto sgrammaticato e confuso. Al contrario essi appaiono a un attento esame non solo grammaticalmente corretti ma addirittura linguisticamente superiori alla norma.
Infatti sia gli assiomi desueti riportati, sia il particolare inizio di ogni frase - quasi sempre mister X esordisce con un verbo - sia il caratteristico uso del plurale appaiono come tendenza linguistica di non facile riscontro. Il tutto però ha una sua giustificazione: verosimilmente il soggetto in esame è un profondo conoscitore della lingua latina, anzi possiamo affermare che mister X conosceva meglio la lingua latina di quella italiana. E ciò è solamente possibile nel caso che il soggetto sia uno straniero che in un primo momento ha acquisito l’idioma latino e poi successivamente quello italiano.
Infatti un italiano con profonda conoscenza del latino manterrebbe inalterato il suo background stilistico e linguistico, che al limite ne sarebbe migliorato. Non si sognerebbe mai di utilizzare ‘translatare’ al posto di ‘trasferire’, ‘novello’ al posto di ‘nuovo’…”. Il dossier si conclude riassumendo le caratteristiche dell’uomo che ha gestito il caso Orlandi: “Un uomo straniero di età superiore ai 45/50 anni, di altissima cultura, abituato a convivere con le gerarchie ecclesiastiche, domiciliato a lungo a Roma, città che conosce bene”. L’identikit di un ecclesiastico.
Dagospia 01 Luglio 2008
lasciate stare queste fandonie sono tutte falsità.
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