28 giugno 2008

Pietro e Paolo: Apostoli diversi ma uniti dall'amore a Cristo (Mazzucconi)


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Apostoli diversi ma uniti dall'amore a Cristo

Andrea Mazzucconi

Forse, quel che si dice dell'amore può valere anche per la santità. E cioè: «L'amore non è bello se non è litigarello». La santità che accomuna Pietro e Paolo viene celebrata nello stesso giorno, benché il loro rapporto sia stato un rapporto, talvolta, un po' «litigarello».
Ma come una sana dialettica di incontro-scontro-confronto può essere il sale di una relazione d'affetto, così le diversità, e talora le divergenze, tra i due apostoli sono state un'occasione di fecondo confronto e di crescita per la vita della Chiesa.
Pietro e Paolo, entrambi discepoli e apostoli di Cristo, eppure così diversi: Pietro un povero pescatore, Paolo un rigoroso intellettuale; Pietro un giudeo di un oscuro villaggio della Galilea, Paolo un ebreo della diaspora e cittadino romano.
Sono stati apostoli con due stili differenti, hanno servito il Signore con modalità diversissime, hanno vissuto la Chiesa in un modo a volte dialettico, se non contrapposto, ma entrambi hanno cercato di seguire il Signore e la sua volontà. E «insieme», proprio grazie alle loro diversità, hanno saputo dare un volto alla missione cristiana e un fondamento alla Chiesa di Roma, che presiede nella carità.
È proprio Roma, infatti, la terra del loro martirio; e il fatto che proprio quella terra abbia bevuto il sangue del principe degli apostoli e dell'apostolo delle genti, e ne sia stata fecondata, è servito come argomento per il «primato romano».
Pur non avendo fatto parte del gruppo dei primi dodici apostoli e pur non avendo conosciuto Gesù personalmente e storicamente, la testimonianza di Paolo è così potente, così eloquente, così ricca, così multiforme che la tradizione l'ha spesso chiamato semplicemente «l'Apostolo», cioè l'inviato per eccellenza, nonostante questo titolo, che lui pretende per sé, non gli sia mai stato riconosciuto negli Atti degli Apostoli.
Nei confronti di Pietro, Paolo non teme di far mostra della loro diversità e complementarietà; nella sua lettera ai Galati (2,7-10) scrive: «Visto che a me era stato affidato il Vangelo per i non circoncisi (cioè per i non ebrei, per le genti, per i popoli tutti, n.d.r.) come a Pietro quello per i circoncisi (cioè, appunto, per gli ebrei, n.d.r.) – poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani – e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Pietro e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Bàrnaba la loro mano destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi. Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare».
Questa missione «diversificata» esprime come, fin dalle sue origini, il Cristianesimo sia «plurale»: l'unico Dio narrato da Gesù Cristo può essere ridetto al mondo solo in una pluralità di espressioni. Non a caso la Chiesa ha riconosciuto quattro Vangeli, e non uno solo, e li ha accolti accanto a una molteplicità di scritti del Nuovo Testamento che rendono una testimonianza multiforme all'unico Signore, Gesù Cristo.
Non la fissità di un libro, dunque, ma la dinamicità di un evento suscitato dallo Spirito Santo, che è la libertà di Dio, è all'origine del Cristianesimo.
Dalla varietà degli scritti del Nuovo Testamento e dal pluralismo delle espressioni di fede della Chiesa antica viene un appello a vivere la propria fede non contro gli altri, ma in costante ricerca di comunione.
In particolare attraverso gli scritti di Paolo, la Chiesa ha compreso se stessa attraverso la categoria del «corpo»: come tale è formata da una pluralità di membra differenti, che tali restano, ma che sono chiamate a collaborare, a riconoscersi reciprocamente, confessando di avere bisogno l'una dell'altra. La diversità è costitutiva dell'unità ed è essenziale alla comunione, così come l'alterità è essenziale all'identità.
Un'importante conseguenza, che discende dal modello della comunione plurale come costitutivo del Cristianesimo, riguarda la concezione della verità e il rapporto tra verità e definizioni della verità. Occorre percepire che le definizioni della verità – ovviamente diverse nei diversi contesti: occidentale e orientale, europeo e africano – stanno all'intero del grande movimento della ricerca della verità, dell'approssimazione sempre imperfetta alla verità. La verità non è una confezione di regole e di dogmi, validi indistintamente per ogni stagione e per ogni luogo. La verità è la persona vivente di Gesù Cristo risorto, e la conoscenza di Gesù è possibile solo mediante la fede.
Pietro viene proclamato beato da Gesù perché la confessione di fede in lui quale Figlio di Dio è frutto di rivelazione del Padre, così come Paolo affermerà che è per rivelazione di Dio che ha conosciuto Gesù Cristo. Entrambi fanno parte di quei «piccoli» a cui la conoscenza delle cose di Dio viene consegnata per rivelazione, per dono di Dio (Matteo 11,25-27).
E il dono non è scontato; e può essere perso. Per questo, alla fine della sua vita, con profonda gratitudine, Paolo afferma: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede» (2 Timoteo 4,7).

© Copyright Eco di Bergamo, 28 giugno 2008

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