26 giugno 2008

Verità e libertà per dialogare con l'islam (Osservatore Romano)


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Conclusa ad Amman la conferenza del comitato scientifico del centro "Oasis"

Verità e libertà per dialogare con l'islam

Amman, 26. "Abbiamo affrontato il tema scottante della libertà religiosa, intesa in senso largo: non come pura libertà di culto ma come una libertà di espressione della propria convinzione religiosa che arrivi fino alla libertà di conversione. Ci siamo concentrati su questi aspetti che costituiscono il "caso serio" del rapporto verità-libertà soprattutto nel dialogo con l'islam": il patriarca di Venezia, cardinale Angelo Scola, parla così alla Radio Vaticana della riunione del comitato scientifico del Centro internazionale di studi e ricerche "Oasis" - da lui fondato nella città lagunare nel settembre 2004 - che si è conclusa martedì ad Amman, capitale della Giordania. Una due giorni sul tema della libertà religiosa come "bene per ogni società" alla quale hanno partecipato un'ottantina di esperti, di religione cristiana e musulmana, provenienti da venti nazioni, dall'Indonesia al Pakistan, dai Paesi del Medio Oriente agli Stati Uniti.
Dal contributo dei partecipanti "abbiamo potuto trarre con realismo una visione molto varia delle situazioni in quei Paesi - ha proseguito Scola - Paesi che, rispetto al tema della libertà religiosa, presentano una molteplicità di condizioni, da quelle dove vigono le maggiori restrizioni a quelle in cui sono invece più ampi i margini per la libertà di culto e di espressione". Un lavoro proficuo "che ci ha convinto della necessità di una ridefinizione dei valori e dei concetti di testimonianza, conversione e proselitismo".
Il cammino riguardante le tematiche della libertà religiosa e della libertà di conversione è sicuramente molto lungo e accidentato in Oriente, nei Paesi a maggioranza musulmana, perché - ha spiegato il porporato - "mancano spesso le condizioni oggettive di questa libertà di conversione, di questa libertà di espressione della propria identità religiosa". In Occidente, di contro, "siamo spesso troppo astratti nel concepire il problema". Ecco perché la strada da seguire è, sullo stile di "Oasis", l'ascolto delle testimonianze delle comunità cristiane in questi Paesi e il tentativo di riflettere su tali testimonianze.
Fra gli interventi di martedì, quello del vescovo Paul Hinder, vicario apostolico di Arabia, che ha sottolineato l'esigenza di "creare uno spazio di dialogo aperto e franco anche per parlare di etica della libertà". Hinder - riferisce la Sir - ha detto di "soffrire molto nel vedere milioni di cattolici e di fedeli di altre religioni, in larghissima maggioranza stranieri, che lavorano nei Paesi della penisola arabica, che non godono di libertà religiosa". Davanti a questi numeri "non basta una chiesa di ottocento posti" per parlare di libertà religiosa e di culto. "Viviamo in uno spazio chiuso, come in una gabbia nella quale siamo liberi" ha concluso il vicario apostolico.
Monsignor Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad dei Caldei, ha invece descritto la delicata situazione in Iraq: "Si vuole svuotare il Medio Oriente dai cristiani - ha affermato - la guerra ha distrutto tutto, anche la tradizione di convivenza". Un terzo dei cristiani ha lasciato il Paese per sfuggire a minacce, abusi e violenze. Per non parlare dei rapimenti di uomini di Chiesa, ben sedici sacerdoti, qualcuno anche ucciso come l'arcivescovo di Mossul dei Caldei, Paulos Faraj Rahho. Dora, quartiere cristiano della capitale, si è svuotato: "I nostri giovani non hanno speranza, non sono accettati - spiega Warduni - un iracheno in fuga è una specie di tabù. La situazione è divenuta insopportabile anche per le difficoltà della vita di tutti i giorni, poca acqua, elettricità, prezzi alti. È paradossale, abbiamo il petrolio ma siamo poveri".
Nonostante tutto il dialogo deve continuare. Senza tacere le differenze, ci sono punti in comune dai quali ripartire: la preghiera, il digiuno, la vita eterna. "Dio è fonte di libertà e verità - ha concluso il vescovo ausiliare di Baghdad dei Caldei - e testimoniare Cristo non significa essere fanatici. Le nostre chiese durante la guerra hanno accolto tutti, senza distinzione di etnia o fede, lo stesso hanno fatto le nostre scuole e le nostre istituzioni sociali. E questo ci fa conoscere ai nostri amici musulmani".
Un'altra testimonianza l'ha portata il vescovo ausiliare di Gerusalemme dei Latini, per la Giordania, Salim Sayegh: "In Giordania i cristiani non hanno mai vissuto segregati in un ghetto ma si sono sempre mescolati ai musulmani, partecipano alla vita sociale, politica e culturale in tutti i loro aspetti" ha spiegato Sayegh. Tuttavia il dialogo ecumenico e interreligioso non è facile: "Quello con le fedi cristiane - ha detto il vescovo - non va oltre la vita quotidiana anche perché la Chiesa ortodossa rifiuta il principio di un dialogo che abbia a tema la religione cristiana". Quanto al dialogo "ufficiale" con i musulmani, "di fatto non esiste sebbene i cristiani partecipino abitualmente a ogni incontro interreligioso che si svolge nel Paese". L'auspicio è che cristiani e musulmani cooperino sempre di più in quanto giordani, "dedicandosi alla costruzione di una società che ha bisogno dell'aiuto di tutti senza accontentarsi di relazioni corrette" ma "persistendo in un cammino di riflessione profonda che faccia crescere l'apertura all'altro".
Sull'urgenza di "una nuova cultura del dialogo" è stato incentrato anche l'intervento di Hasan Abu Ni'mah, direttore del Royal institute for inter-faith studies (Riifs), istituzione voluta dal principe el-Hassan bin Talal proprio per studiare e rendere operante il rapporto fra cristianesimo e islamismo nel mondo arabo.
Alla conferenza di Amman si è naturalmente guardato anche al dialogo tra la Chiesa cattolica e i circa duecento saggi dell'islam firmatari della lettera aperta ai capi delle comunità cristiane: iniziativa partita nell'ottobre scorso proprio dalla capitale giordana sotto gli auspici del principe Ghazi Ibn Muhammad, incaricato delle questioni religiose del regno. "Insieme al principe - racconta all'Ansa il patriarca di Venezia - ho trascorso tre ore sui luoghi del Battesimo di Gesù". Tre ore in una zona desertica, a 43 gradi, durante le quali entrambi hanno sostato in preghiera silenziosa l'uno accanto all'altro. "Da parte del principe - ha detto il cardinale Scola - questo è stato un segno di grande rispetto per la tradizione cristiana e in lui ho trovato disponibilità e attesa per l'incontro di novembre" in Vaticano con i saggi musulmani.
"Con quanta astrattezza si parla di islam - ha concluso il porporato - con discorsi molto spesso campati per aria! La scelta di Oasis è stata invece quella di guardare "agli" Islam e di entrare in rapporto con le espressioni concrete di vita dei popoli, con il tramite dei cristiani che vivono nei Paesi a maggioranza musulmana".

(©L'Osservatore Romano - 27 giugno 2008)

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