25 novembre 2007

Ratzinger studia coi cardinali la "fase tre" per Mosca (Rodari per "Il Riformista")


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Ratzinger studia coi cardinali la "fase tre" per Mosca

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Paolo Rodari

Mosca è lontana. Ma Benedetto XVI ora sembra credere maggiormente alla possibilità che con le Chiese ortodosse, e in particolare con quella del patriarcato moscovita, nonostante la strada sia ancora lunga, si possa prima o poi arrivare alla tanto sospirata unità. È l'impressione che si evince da quel po' di notizie che sono uscite ieri dal concistoro straordinario convocato dal Papa in Vaticano e dedicato all'ecumenismo. Ventiquattro ore prima della creazione dei nuovi 23 cardinali che avviene oggi nella basilica di San Pietro, 143 porporati si sono dati appuntamento nell'Aula Paolo VI per un summit a porte chiuse. Un summit che già si era ripetuto una volta nel pontificato di Ratzinger, diverse volte in quello di Wojtyla. Un summit che nel Medio Evo e poi ancora nel Rinascimento era prassi consolidata.
Oggi l' Osservatore Romano dedica un importante editoriale all'evento e riporta, significativamente, una frase che l'attuale responsabile del dicastero vaticano che si occupa di ecumenismo, il cardinale Walter Kasper, ha detto nella sua relazione introduttiva: con le Chiese ortodosse, dopo anni di complicate relazioni, si registra «una promettente terza fase del dialogo» e ora «sarebbe utile» un incontro «tra il Santo Padre e il Patriarca di Mosca». Un incontro che, nel pontificato del polacco Wojtyla e negli anni in cui arcivescovo cattolico di Mosca era l'altrettanto polacco di origine (ma nato in Bierolussia) Tadeusz Kondrusiewicz, è stato un miraggio.
Oggi però al posto Kondrusiewicz c'è l'italiano Paolo Pezzi (una nomina apprezzata da Alessio II) e le cose potrebbero andare meglio. Lo testimonia anche un'importante intervista che lo stesso Osservatore fece il primo novembre scorso con l'attuale numero due della Chiesa ortodossa russa, il metropolita Cirillo. Questi, dopo aver elogiato la scelta di Pezzi operata da Ratzinger, ha detto: «È del tutto evidente che la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa russa sono ormai sempre più consapevoli di essere alleate riguardo a moltissime problematiche che oggi interpellano l'umanità».

Oltre a queste "alleanze", c'è anche una personale stima di Alessio II nei confronti di Ratzinger. Stima che sembra poter finalmente fare accantonare le ripetute accuse di proselitismo mosse da Mosca a Roma negli anni passati. Del resto pare che proprio ieri il Pontefice abbia voluto sottolineare come evangelizzare non significhi "fare proselitismo". A Roma interessa la comunione con gli ortodossi, non altro.

A caldo, l'impressione che si ha di questi concistori straordinari dedicati a tematiche particolari è che servano parecchio. I principi della Chiesa si sentono coinvolti nell'azione di governo, possono - seppur con tempi d'intervento limitati - dire la loro, portare a Roma le proprie impressioni, porre domande, ascoltare le valutazioni di altri porporati e, soprattutto, quelle del Pontefice.
Ieri, in particolare, pare che, tra gli altri, siano intervenuti anche i cardinali Sepe e Martino i quali hanno voluto indicare come terreno comune di incontro tra i cristiani quello più "sociale" della cooperazione nell'aiuto ai poveri e agli ultimi. Benedetto XVI già il 29 maggio del 2005 a Bari, un mese e dieci giorni dopo la sua elezione, oltre a mettere al centro del proprio programma di pontificato la questione ecumenica ha indicato nella preghiera la strada principale affinché si torni a essere una cosa sola: «Vorrei ribadire - disse - la mia volontà di assumere come impegno fondamentale quello di lavorare con tutte le energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo. Sono cosciente che per questo non bastano le manifestazioni di buoni sentimenti. Occorrono gesti concreti». E ancora: «Chiedo a voi tutti di prendere con decisione la strada di quell'ecumenismo spirituale, che nella preghiera apre le porte allo Spirito Santo, che solo può creare l'unità».
Solo la preghiera, dunque, può portare all'unità. Lo ha ripetuto ieri anche il cardinale Walter Kasper che l'ecumenismo non è una scelta opzionale ma un sacro obbligo; non c'è nessuna alternativa realistica all'ecumenismo e soprattutto nessuna alternativa di fede.
Si tratta insomma di una scelta, quella per l'ecumenismo, che come ha sottolineato oggi l'Osservatore deve però lasciare l'iniziativa a Dio e non più all'uomo. Il giornale vaticano parla di una «nuova prospettiva per l'unità», quella che riconosce il primato dell'«opera di Dio».
Un primato da privilegiare ovviamente anche nei confronti dei protestanti. Verso questi sorgono oggi nuove sfide che vengono in particolare dai 400 milioni di fedeli che si riconoscono nei gruppi carismatici e pentecostali di tutto il mondo. Ma la riflessione di Kasper è tinta di speranza anche rispetto a questo mondo della cristianità.

© Copyright Il Riformista, 24 novembre 2007

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