9 aprile 2008

Il Papa parla di San Benedetto e afferma: "Senza riconoscere le sue radici cristiane, l'Europa non può riscoprire la sua vera identità" (Radio Vat.)


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All'udienza generale il Papa parla di San Benedetto e afferma: senza riconoscere le sue radici cristiane, l'Europa non può riscoprire la sua vera identità

Un uomo che, con la sua celebre “Regola”, diede il via a un fermento spirituale che conferì all’Europa del suo tempo “una nuova unità spirituale e culturale”, fondata sulla fede cristiana.
E’ la descrizione che il Papa ha dato di San Benedetto da Norcia, al quale ha dedicato la catechesi dell’udienza generale di questa mattina, in Piazza San Pietro. Anche oggi, come ai tempi di San Benedetto - ha affermato il Pontefice - l’Europa è alla ricerca di una identità, che non può non fondarsi su quelle antiche radici cristiane diffuse nel continente dal monachesimo benedettino. Il servizio di Alessandro De Carolis:


L’Europa del quinto secolo, l’Europa del ventesimo. La prima, crollato il sistema unificatore impostole dall’Impero romano, cerca di trovare dolorosamente una sua nuova identità.

La seconda, devastata da due guerre mondiali e dal crollo delle ideologie totalizzanti, sta evolvendo da anni, non senza fatica, verso una sua nuova fisionomia unitaria.

Questi due volti storicamente agli antipodi dell’Europa hanno in comune una radice, quella cristiana, che proprio 1500 anni fa, dal colle di Montecassino, scelse di “esportare” in tutto il continente un eremita 50.enne fattosi monaco, perché deciso a dare alla sua iniziale scelta contemplativa, privata, di Dio un volto pubblico ed eccelsiale duraturo. Quelle radici antiche - ha affermato Benedetto XVI, tornando a parlare oggi della grandi figure della Chiesa dei primi secoli - sono pure le radici moderne per la nostra Europa che rischia, senza la “linfa vitale” di Dio, di cadere in una utopia di autoredenzione:

"Oggi l’Europa - uscita appena da un secolo profondamente ferito da due guerre mondiali e dopo il crollo delle grandi ideologie rivelatesi come tragiche utopie – è alla ricerca della propria identità. Per creare un’unità nuova e duratura, sono certo importanti gli strumenti politici, economici e giuridici, ma occorre anche suscitare un rinnovamento etico e spirituale che attinga alle radici cristiane del Continente, altrimenti non si può ricostruire l’Europa".

Dei grandi meriti di San Benedetto - patrono d’Europa per volontà di Paolo dal 1964 e anche “patrono del suo Pontificato, come lo ha definito il Papa all’inizio della sua catechesi - Benedetto XVI si è soffermato a lungo, ripercorrendone la vita e la missione:

"L’opera del Santo e, in modo particolare, la sua Regola si rivelarono apportatrici di un autentico fermento spirituale, che mutò nel corso dei secoli, ben al di là dei confini della sua Patria e del suo tempo, il volto dell’Europa, suscitando dopo la caduta dell’unità politica creata dall’impero romano una nuova unità spirituale e culturale, quella della fede cristiana condivisa dai popoli del continente. E’ nata proprio così la realtà che noi chiamiamo 'Europa'”.

Prima di esercitare con i suoi monasteri quell’“influsso fondamentale sullo sviluppo della civiltà e della cultura europea”, Benedetto nasce essenzialmente come uomo di profonda preghiera. Quando l’idea di Montecassino è di là da venire, il futuro Santo si ritira in una grotta di Subiaco. Nella lucida consapevolezza dell’esperienza cristiana che sempre lo sosterrà, egli comprende che prima di tutto deve imparare il dominio di sé. Il contrasto con quella “autorealizzazione facile ed ecogentrica, oggi spesso esaltata”, ha stigmatizzato il Papa, San Benedetto sperimentò per sé anzitutto l’umiltà nella della ricerca del rapporto con Dio:

"Senza preghiera non c’è esperienza di Dio. Ma la spiritualità di Benedetto non era un’interiorità fuori dalla realtà. Nell’inquietudine e nella confusione del suo tempo, egli viveva sotto lo sguardo di Dio e proprio così non perse mai di vista i doveri della vita quotidiana e l’uomo con i suoi bisogni concreti. Vedendo Dio capì la realtà dell’uomo e la sua missione".

Bisogni concreti che trovano una sintesi nella famosa Regola del “prega e lavora”, scritta quindici secoli fa e tutt’ora, ha ossrevato Benedetto XVI, “sorprendentemente moderna”:

"Benedetto qualifica la Regola come 'minima, tracciata solo per l’inizio'; in realtà però essa offre indicazioni utili non solo ai monaci, ma anche a tutti coloro che cercano una guida nel loro cammino verso Dio. Per la sua misura, la sua umanità e il suo sobrio discernimento tra l’essenziale e il secondario nella vita spirituale, essa ha potuto mantenere la sua forza illuminante fino ad oggi".

Alle consuete catechesi in sintesi, oggi in otto lingue, Benedetto XVI ha fatto seguire dei saluti, uno in particolare rivolto alle Suore Figlie della Croce e ai laici che ne condividono il carisma, giunti a Roma nel ricordo di suor Maria Laura Mainetti, la religiosa uccisa la notte del 6 giugno 2000 da tre ragazze in Val Chiavenna, in Lombardia. “Fedele al dono totale di sé - l’ha ricordata il Papa - ha sacrificato la sua vita pregando per chi la colpiva”. Benedetto XVI ha poi salutato, tra gli altri, gli atleti che partecipano ai Campionati europei di Taekwondo - arte marziale coreana - incoraggiandoli “a promuovere anche attraverso questa disciplina sportiva il rispetto per il prossimo e la lealtà”.

Al termine dell’udienza, è stato Consegnato al Pontefice un volume di Teologia fondamentale, frutto di cinque anni di intenso lavoro ecumenico da parte di un gruppo di sei teologi cattolici della Pontificia Università Lateranense e luterani della Università di Tubinga, in Germania. Intitolato “Fondamento e dimensione oggettiva della fede. Secondo la dottrina cattolica romama ed evangelica luterana”, il volume è stato presentato lo scorso 7 aprile a Tubinga ed oggi a Roma, alla Lateranense.

A consegnare il testo Benedetto XVI in Piazza San Pietro, sono stati due rappresentanti del gruppo di ricerca interconfessionale - il direttore dell’area di ricerca, Eilert Herms, e il teologo cattolico, Lubomir Zak. Un dono significativo per il Pontefice, poiché si deve all’allora cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’avvio del dialogo teologico, poi proseguito dal cardinale Angelo Scola - allora rettore della Pontificia Università Lateranense - e infine sfociato nella creazione del gruppo di lavoro che ha redatto il volume.

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