9 aprile 2008

L'omaggio del Papa ai testimoni delle fede: «Un affresco delle Beatitudini» (Avvenire)


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L’omaggio ai testimoni delle fede «Un affresco delle Beatitudini»

DA ROMA MIMMO MUOLO

Roma: Benedetto XVI accolto ieri a San Bartolomeo all’Isola Tiberina. La Basilica, affidata da Giovanni Paolo II alla Comunità di Sant’Egidio, è «memoriale» dei martiri del ’900.

Quasi come un’unica grande processione. Quella informale e festosa che accompagna il Papa al suo arrivo sulla piazzetta davanti alla Basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina. E quella ideale dei tredicimila cristiani di diverse confessioni, nuovi 'martiri' del XX secolo, di cui l’antico tempio al centro di Roma conserva la memoria, dopo il Giubileo del 2000. Per questo Benedetto XVI è venuto. Per ricordare i testimoni della fede degli ultimi 110 anni.

E rendere, dunque, sempre presente questo «affresco delle beatitudini vissuto fino allo spargimento di sangue». In definitiva per sottolineare che, come quello appena concluso, «anche questo XXI secolo si è aperto nel segno del martirio».

Il Pontefice rende omaggio ai testimoni con le parole del suo discorso, ma soprattutto con la preghiera.
Per questo l’insieme della celebrazione della Parola, svoltasi ieri pomeriggio in una delle più belle Basiliche romane, affidata da 15 anni alla Comunità di Sant’Egidio (che cura anche la memoria dei testimoni della fede), trasmette nel suo complesso un messaggio di speranza. «È vero – fa notare Benedetto XVI – apparentemente sembra che la violenza, i totalitarismi, la persecuzione, la brutalità cieca si rivelino più forti, mettendo a tacere la voce dei testimoni della fede, che possono umanamente apparire come sconfitti della storia». Ma Gesù risorto, aggiunge il Papa, «illumina la loro testimonianza. Nella sconfitta, nell’umiliazione di quanti soffrono a causa del Vangelo, agisce una forza che il mondo non conosce. È la forza dell’amore – sottolinea il Pontefice – che sfida e vince la morte».

La persecuzione, del resto, spiega ancora Papa Ratzinger, è in un certo senso un segno di vitalità della Chiesa. E si verifica «quando i cristiani sono veramente lievito, luce e sale della terra». «La convivenza fraterna, l’amore, la fede, le scelte in favore dei più piccoli e poveri, che segnano l’esistenza della Comunità cristiana, suscitano infatti talvolta un’avversione violenta».

Le parole del Papa ricevono una significativa conferma visiva anche dall’icona dei nuovi martiri che campeggia alle sue spalle, mentre egli pronuncia il proprio discorso all’interno della Basilica gremita (vi sono numerosi cardinali e vescovi – tra gli altri il vicario per Roma, Camillo Ruini, il presidente del Pontificio Consiglio per i laici, Stanislaw Rylko, il segretario generale della Cei, Giuseppe Betori, e il nunzio in Italia, Giuseppe Bertello – e fuori, sulla piazzetta, migliaia di fedeli assiepati lungo le transenne che seguono attraverso i maxischermi). L’autrice dell’icona, Renata Sciachì, vi ha raffigurato vittime dei lager nazisti e sovietici, singoli testimoni, come il patriarca Tichon della Chiesa ortodossa russa, monsignor Romero, e Dietrich Bonhoeffer, fino a giungere ai nostri giorni, con la figura di don Giuseppe Puglisi. Sono gli stessi 'nuovi martiri' ricordati dai sei altari laterali, presso i quali, finita l’omelia, Benedetto XVI si reca, sostando brevemente in preghiera. Accanto a quello delle vittime dell’Asia e dell’Oceania c’è la sorella di don Andrea Santoro, Maddalena, che gli porge un cero acceso. «Sono uomini e donne che non hanno vissuto per sé», aveva sottolineato Andrea Riccardi, nel suo saluto al Papa, pochi minuti prima. Era stato, infatti, il Fondatore di Sant’Egidio, insieme al cardinale Ruini, al vescovo di Terni-Narni-Amelia, Vincenzo Paglia, e al presidente della Comunità, Marco Impagliazzo, ad accogliere il Pontefice al suo arrivo e ad accompagnarlo in Basilica, dove aveva trovato posto anche l’ex capo dello Stato, Francesco Cossiga. Poi, davanti all’assemblea riunita per la preghiera, Riccardi aveva ricordato come questi uomini e queste donne siano stati «scandalo per il mondo del ’900, che ha fatto sua suprema legge il 'salva te stesso', gridato a Gesù sotto la croce. Tale è ancora il mondo del nostro secolo.
E purtroppo tanti cristiani sono ancora uccisi». Infine Riccardi aveva ringraziato il Papa per la sua visita («Siamo toccati che essa avvenga nel 40° anno di Sant’Egidio») e ripercorso brevemente l’esperienza di questi quattro decenni, a partire dal ’68, quando «uno slancio vitalistico animava le giovani generazioni per fare un mondo migliore». Uno slancio «rifluito invece in un pesante ripiegamento». «In quella temperie – aveva detto il fondatore della Comunità oggi presente in 70 Paesi – sentimmo di non farci guidare da noi stessi. Siamo stati preservati dal freddo delle ideologie, dal calore bruciante del vivere per sé. Siamo stati guidati sulla via dell’amore».
Soprattutto per i poveri. «E i poveri ci hanno dato tanto».

Anche il Papa, in un breve saluto pronunciato sulla piazza, ringrazia Sant’Egidio «per l’attenzione agli ultimi e per la ricerca della pace. L’esempio dei martiri che abbiamo ricordato, continui a guidare i vostri passi, perché siate veri amici di Dio e autentici amici dell’umanità». Quindi Benedetto XVI si congeda, non senza un saluto agli ammalati e al personale del vicino ospedale Fatebefratelli (molti dei quali sono affacciati alla finestre). Ma gli ultimi sorrisi li riserva ai tanti bambini presenti che gli stringono le mani. I nuovi cristiani del XXI secolo.

© Copyright Avvenire, 8 aprile 2008

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