20 luglio 2008

Il Papa scrive il nuovo ecologismo (Casavola)


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RIFLESSIONI

Il Papa scrive il nuovo ecologismo

Francesco Paolo Casavola

Da Sydney giunge la voce di Benedetto XVI, che per molti versi esprime nostri pensieri. È possibile separare la difesa dell’ambiente naturale da quella dell’ambiente sociale? Se l’uomo è il vertice del creato, non è possibile elencare erosione, deforestazione, sperpero delle risorse minerali e marine dimenticando le ferite di cui è afflitto l’uomo, i suoi mali collettivi quali alcolismo, abuso di droghe, violenza, degrado sessuale, che pur televisione e Internet presentano come divertimento. Chi attendeva una celebrazione ecologista, avrà da riflettere sul richiamo alla centralità dell’uomo. E non dell’uomo in astratto, ma dei poveri, dei vecchi, degli immigrati, dei privi di voce. Le nostre società allineano cronache crudeli di violenza domestica.
Si chiede il Papa: «Come può essere che lo spazio umano più mirabile e sacro, il grembo materno, sia diventato luogo di violenza indicibile?». Dal concepimento fino alla morte naturale l’uomo ha una dignità che sembra eclissata dietro le istanze della non violenza, dello sviluppo sostenibile, della giustizia e pace, della cura dell’ambiente. In realtà la nostra cultura secolarizzata, separando Dio dall’uomo, dà alla società fini pragmatici, e il dibattito pubblico e gli stessi processi della politica tendono a perseguire il bene comune dando di questo una rappresentazione utilitaristica ed economicistica. Ma il Papa ha avuto modo di confidare ai giovani e ai ragazzi suoi ascoltatori anche la personale ansia per un viaggio così lungo e le emozioni e le riflessioni suscitate dalla visione di tanta parte del pianeta sorvolata. Anche questa confessione privata è degna di qualche nostra non secondaria considerazione.
Nell’età della tecnica che viviamo, le distanze e le diversità tra le regioni della Terra sono come annullate dalla facilità degli spostamenti e dalla immediatezza delle notizie e delle visioni.
Eppure se si esce dai parametri della velocità e della contrazione dei tempi, la quotidianità dell’esperienza esistenziale si ripresenta come il vero habitat naturale della vita umana. Gli aborigeni australiani diventano simbolo della inabolibilità di questa dimensione della condizione umana. Qui ed ora, non dovunque e per sempre, sono lo stemma dell’uomo che costruisce le sue opere e i suoi giorni.
La religione certo tende ad essere universale, ma riconoscendo un primato ad ogni singola persona umana, la chiama sì ad un destino eterno, ma preparato e meritato entro un tempo limitato ad un breve passato e all’ancor più effimero e rapido presente. Un viaggio resta pur sempre la non superata icona della vita.

Il Cristianesimo ha, in questo ereditando dall’antico Israele, legato il senso della vita al viaggio verso la terra promessa. Questo andare verso mantiene desta la coscienza dei singoli, delle famiglie, della comunità, dei popoli, degli Stati sul significato del nascere, del vivere, e del morire. E così trapassa dal genere umano ad ogni persona il senso della destinazione della vita e della storia.

Se un valore va riconosciuto alla instancabile predicazione della Chiesa cattolica è quello dell’appello a che le persone, i popoli, la comunità internazionale degli Stati, non dimentichino di stare andando e di dovere andare il più consapevolmente che sia possibile verso mete razionali, condivise, ispirate a valori di pace, di perseguimento di una crescita in umanità di ogni vivente individuo e di ogni sua aggregazione. Che questo sia il destino che dà ragione dell’apparire della specie umana, come si insegnava già prima della nascita di Cristo, e cioè che gli uomini giovino agli uomini, è il messaggio che costantemente ci replica la Chiesa cattolica. Forse è il caso di non lasciarlo inascoltato. Anzi farlo nostro, anche a modo nostro.

© Copyright Il Mattino, 19 luglio 2008

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